venerdì 22 gennaio 2016

Lettera a Franco Forte su Paul Halter e Paul Doherty, e risposta



(Lettera inviata il 19 gennaio u.s.)

Esimio Editor,
Lei sa benissimo che prima di collaborare (come faccio da molti anni) col Blog del Giallo Mondadori, ero già collaboratore di Luigi (Pachì) presso Sherlock Magazine.Tra l'altro un mio racconto lungo, un apocrifo sherlockiano, fa parte di quell'antologia S.H. in Italia che uscì come strenna natalizia due anni fa in Delos e verrà ripubblicata a dicembre prossimo da Mondadori.
Mi rivolgo a Lei, sulla base di quanto da Lei affermato nell'editoriale pubblicato sul Blog il 13 gennaio scorso.
Desidero infatti sapere se e quando verranno pubblicati altri romanzi di Paul Halter e Paul Doherty, che fino a qualche anno fa erano molto pubblicati e ora lo sono molto meno, a fronte del fatto che ad oggi di inediti complessivi rimangono circa venti di Halter e molti di più di Doherty. Inoltre rappresento qui la delusione di molti aficionados che da qualche giorno mi stanno telefonando, mandando messaggi whattsappp, scrivendo, chiedendomi ragguagli sul perchè Paul Halter improvvisamente, dopo essere stato scrittore di punta quasi, sia stato accantonato. Tanto più perchè io stesso avevo dato notizia, sulla base di quanto Paul stesso mi aveva detto a latere di una intervista che gli avevo fatto e che fu anche pubblicata in Italiano sul Blog Mondadori, che sarebbero stati pubblicati successivamente rispetto a quel tempo (ma son passati già due anni e mezzo, e per un altro non ve n'è traccia) due romanzi suoi, di cui a lui risultava che la Mondadori avesse acquisito i diritti, cioè Meurtre dans un manoir anglais del 1998, e L'homme qui aimait les nuages, del 1999.

Stessa cosa chiedo in merito alla pubblicazione di romanzi di Doherty pubblicato con i suoi pseudonimi (Harding e Grace): se è vero che la serie pubblicata con pseudonimo Grace è ferma all'ultimo romanzo pubblicato da Mondadori, quella di Fratello Athelstan che è molto famosa è cresciuta di cinque romanzi e quella di Corbett di cui la Mondadori ha pubblicato un romanzo 5 anni fa, conta 17 romanzi ad oggi, di cui i primi 4 pubblicati da Hobby & Work e gli altri inediti, quindi un potenziale pubblicabile notevole, senza parlare di tutte le altre serie. Doherty per di più coniuga delitti impossibili e giallo storico, anzi dei giallisti storici lui è il più famoso in assoluto....

Grazie dell'attenzione.

Pietro De Palma - Bari

P.S.
Immagino benissimo Dott. Forte quello che Lei potrebbe dirmi: la riduzione del 50% delle uscite mensili ha determinato il fatto che le uscite previste già nel 2016 vengano spalmate anche per tutto il 2017: allora l'Halter potrebbe essere pubblicato in quell'anno! Desidero solo sapere se questo avverrà almeno con i due romanzi di cui lui aveva annunciato la pubblicazione da parte Vostra, oppure no. Nel qual caso annuncerò ai gruppi anche di Anobii di comprarli in francese o in Inglese quando saranno tradotti da John (Pugmire).

Risposta di Franco Forte in data 22 gennaio

Si è già risposto da solo: Halter è solo "scivolato" in avanti e tornerà a
uscire regolarmente appena la situazione si sarà "normalizzata". Come lui,
tanti, tantissimi altri autori, che tanti, tantissimi lettori come lei,
invocano a gran voce. Come sempre, accontentare tutti è impossibile, e
dunque si procede cercando almeno di restare in equilibrio sul filo.
Saluti.
 
Franco Forte

Che dire?

Chi come me ha letto tutti i romanzi di Paul, deve o aspettare oppure procurarseli in francese oppure aspettare che John Pugmire un altro mio amico, li traduca in inglese .

Chi invece non li ha letti tutti, avrà modo di mettersi a caccia e cercare di procurarsi i restanti. Del resto aspetteremo sicuramente un altro anno, se non di più.

Nei prossimi giorni pubblicherò quello che mi ha detto Paul qualche giorno fa.

Pietro De Palma

lunedì 18 gennaio 2016

C'erano una volta...Halter e Doherty



L’editoriale a firma Franco Forte, pubblicato il 13 gennaio sul Blog del Giallo Mondadori, ha dimostrato, per chi non se ne fosse ancora accorto, che, nel settore da edicola delle testate mondadoriane destinate al genere poliziesco, qualcosa è cambiato.
Innazitutto dimostrerebbe che la posizione di Editor, responsabile della “politica editoriale” delle pubblicazioni, si sia notevolmente rafforzata: che mi ricordi, infatti, Franco Forte non era mai sceso in campo, nonostante tenesse il timone da almeno quattro anni, a differenza delle tante volte in cui aveva invece “parlato” ai lettori Sergio Altieri. Il fatto che per alcuni anni materialmente non si fosse mai presentato, poteva significare che non era sicuro, che voleva essere cauto; il fatto che ora invece esca allo scoperto potrebbe significare il contrario: l’acquisizione di una posizione netta e ben definita, che probabilmente si coniuga ad un certo successo (dice lui) e quindi un rafforzamento delle sue funzioni e delle sue scelte editoriali.
Uso il condizionale, perchè nel mondo editoriale di oggi, dominato ancora da una acuta crisi,  se un Editor è dato a 100 oggi non è detto che tale sia domani.
Da ciò deriva che probabilmente la soluzione dei due romanzi mensili rimarrà fisso per molto tempo, almeno fino a quando un nuovo boom delle vendite non convincerà qualcuno ad allargare l’offerta e magari variegarla: è quello che ci auguriamo tutti.  Ma fino ad allora…avremo un Classico, che presenterà delle ristampe, e un Giallo che presenterà degli inediti, e con la cui formula ci proporranno anche delle antologie di racconti, che in passato era uso fossero presentati dalle raccolte stagionali di “Ellery Queen presenta” e poi dai Super Gialli.
Già in passato i Classici presentavano solo ed esclusivamente ristampe: negli anni ’70, erano il modo per ripresentare delle traduzioni desuete, risalenti magari anche agli anni delle parate oceaniche e dei saluti romani, e tuttavia rinfrescate. Solo in un secondo tempo, negli anni ’90, ampliarono la loro proposta diventando una specie di ibrido: presentavano sempre ristampe, ma affiancandole a proposizione di inediti oppure  di vecchi titoli ma con traduzioni nuove e magari integrali. Così ne I Classici del Giallo Mondadori, se in origine il termine Classico aveva in sé il significato di “perfetto, eccellente, tale da poter servire come modello di un genere”, in seguito diventò sinonimo di “tradizionale”, contrapposto ad altri generi più moderni, rappresentati invece dalle proposte de I Gialli Mondadori. Fino ad arrivare ad un paradosso: dalla metà degli anni ’90, in una continua gara nel proporre nuovi titoli e nuovi autori, i Classici persero la loro connotazione di vetrina di ristampe e molto spesso presentarono inediti che facevano da contraltare a quelli dei Gialli. Così se in origine sul Giallo Mondadori, negli anni ’70 per esempio erano stati presentati romanzi inediti di grandi autori (Agatha Christie, Ngaio Marsh, Christianna Brand, Fredric Brown, etc…), in un secondo tempo si acquisì la tendenza a contrapporre l’inedito appartenente ad un tempo non contemporaneo ne I Classici, e l’inedito anche  di Giallo Classico cioè tradizionale o di altri generi ne Il Giallo Mondadori. Fino a quando non si generò una confusione: mi ricordo che per esempio gli Halter, in un primo tempo erano solo pubblicati ne Il Giallo –in quando di autore contemporaneo e classico – poi, invece, lo furono anche nella Collana dei Classici: probabilmente, nel momento in cui lo si inserì nel novero degli autori che rinverdivano i fasti del passato, e quindi fu considerato una sorta di manierista contemporaneo.

Ho parlato degli Halter perché questi saranno i romanzi che non vedremo per qualche tempo.

Se uno dice Halter a cosa pensa? Camere  Chiuse, Delitti Impossibili, atmosfere sovrannaturali. Beh, la mancanza di Halter ancora per il 2016, significa che l’amante delle Camere Chiuse potrà appagare i suoi “istinti” così maltrattati dall’odierna dirigenza, affidandosi alla Casa Editrice Polillo, che ne ha sfornate parecchie, dalla fondazione della sua collana più ammirata, “ I Bassotti”.  L’unico sfogo mondadoriano del 2016, sarà Il Segreto del Milionario di Helen Reilly, previsto per il mese prossimo, un gran bel romanzo, la cui ultima edizione risale a I Capolavori del Giallo, anni ’50, però ampiamente tagliato. Nel caso si volesse la traduzione integrale si dovrebbe andare con la mente ai mitici Libri Gialli anteguerra. Rivelo uno scoop: parlando ieri, domenica 17 gennaio con Mauro Boncompagni, curatore della collana de I Classici del Giallo Mondadori, egli mi ha detto che ha raccomandato di pubblicare la versione originale de I Libri Gialli. Se così fosse…preparatevi a correre alle edicole i prossimi giorni di febbraio e acquistare la vostra copia. Uso la forma ipotetica, perché anche in altra occasione, Mauro aveva raccomandato di fare qualcosa e non è accaduta: quando fu ripubblicato Poison In Jest, “Piazza Pulita” di John Dickson Carr, la raccomandazione concerneva la possibile integrazione delle parti mancanti ed il rinfrescamento della traduzione..
Si sa che io sono un Halteriano di ferro, e quindi mi aspettavo una maggiore considerazione nei suoi confronti. Che del resto si è persa man mano, nel passaggio da Sandrone Dazieri, agli editor che lo hanno seguito. Dazieri fu l’Editor sotto il quale il romanziere francese esplose letteralmente (mi ricordo anche tre romanzi ad anno, un po’ quello che è accaduto in tempi recenti con la Bowen) mercè l’appassionata difesa di Igor Longo che, dal momento in cui Marianna Basile non potè più per ragioni di salute curarne le traduzioni (aveva tradotto La quarta porta, Testa di Tigre, Il Cerchio Invisibile), si occupò sempre della traduzione di tutti i romanzi dello scrittore alsaziano. Va detto, ad onor del vero, che a proporre la traduzione dei romanzi di Halter fu proprio Igor Longo, che ne fu quindi lo scopritore per Mondadori (per quanto io sappia).

Tempo fa Paul, che ho intervistato circa un anno e mezzo fa, mi disse che i diritti di due suoi romanzi erano stati acquisiti da Mondadori, cioè  Meurtre dans un manoir anglais del 1998, e L'homme qui aimait les nuages, del 1999. Da allora non si è saputo più nulla, e se qualcuno nutriva la vaga supposizione che uno di questi due romanzi, finalmente sarebbe stato pubblicato nel corrente anno, ora ha potuto appurare che la sua vaga speranza è stata rimandata di non so quanto tempo: certamente di un altro anno, se non…
E’ anche vero però che quando fu scoperto, e nessuno lo conosceva in Italia, di romanzi da pubblicare ce n’erano tanti. E guarda caso si puntò, furbescamente, su quelli che avrebbero potuto far esplodere la serie, i migliori: uscirono, quando ancora Il Giallo adottava il formato paperback con due colonne per ogni pagina,  La quatrième porte, considerato il capolavoro di Halter, e La tête du tigre, entrambi pubblicati nel 1995. E poi a seguire gli altri: Le cercle invisible e  L'image trouble nel 1997, La mort vous invite e A 139 pas de la mort nel 1998, Le crime de Dédale  e  Le brouillard rouge nel 1999, e così via.  In teoria, del ciclo di Alan Twist, che è quello maggiormente conosciuto in Italia, compresi i due romanzi a me citati da Halter stesso, da pubblicare in Italia, ce ne sarebbero ancora 8; e 12 con o senza altro personaggio fisso. In tutto altri venti romanzi!
Venti!

Il fatto che non li si pubblichino più significa due cose alternativamente:
o che Igor Longo abbia perso il peso che aveva un tempo in seno alla Redazione del Giallo Mondadori oppure che il romanziere francese non venda più.
Francamente la seconda ipotesi sarebbe un assurdo, se davvero fosse così , perché in altre parti del mondo, Paul  è letteralmente venerato: pochi giorni fa, il mio amico John Pugmire ha messo in vendita in USA il romanzo da lui tradotto, La Mort vous invite da noi pubblicato nel 1998 sotto il titolo “Le mani bruciate”. E il fatto che Halter, appena finisca di scrivere dei racconti, essi vengano immediatamente pubblicati su EQMM, dimostra la validità dell’autore. Quindi…mi verrebbe da dire che la prima ipotesi è quella più fondata: per qualche ragione, Igor Longo ha perso aderenze nella redazione. E in fin dei conti, non solo il sottoscritto, ma anche John, Roland Lacourbe, Philipp Fooz e tanti altri non lo sentono da parecchio tempo, compreso Mauro Boncompagni, più o meno dagli stessi tempi da cui non lo sento più io. Persino Giulio Leoni, che era anche suo amico, me ne chiese notizie.
Perdendo in sostanza un difensore, Halter ha perso in Italia chi ne perorasse la pubblicazione delle opere. Questo ritengo, salvo errori di cui chiederei ammenda. Ma al momento non c’è altro da pensare.
Un’altra ipotesi, spinge in altra direzione per spiegare il progressivo disaffezionamento della Mondadori da inediti, concernenti Camere Chiuse e Delitti Impossibili, tutti romanzi con Plot molto tenebrosi e pesanti (anche se gli Halter, narrativamente parlando, sono sempre parecchio leggeri, come tutti i romanzi francesi del genere, esclusioni fatte ovviamente per alcuni romanzi di Vindry): il fatto che, statistiche alla mano, il bacino di utenza del pubblico mondadoriano si è spostato verso una quota consistente di pubblico femminile, che apprezza particolarmente le storie gialle ma brillanti, tipo Bowen, o quelle edoardiane e consimili, tipo Perry. E quindi, ovviamente, se il salumiere vende il culatello ed il pubblico richiede lo speck, prima o poi, se non vuole chiudere “baracca e burattini”, vedrai che a fianco del culatello, il salumiere venderà anche lo speck.
Comunque sia, anche se si stima circa un 70% di pubblico femminile tra i lettori dei Gialli mondadoriani ( e questo spiegherebbe il perché del tracollo della gestione Altieri che puntava verso prodotti “molto duri”, cioè i romanzi degli autori italiani, cloni di Stefano De Marino), non si può per forza attribuire a tutto quel 70% gli stessi identici gusti: so per certo, per esempio, che ci sono parecchie lettrici a cui piacciono i Romanzi delle Camere Chiuse, giacchè sono anobiane, ed io in Anobii da anni ci sguazzo.
Devo proprio chiedere a Paul se qualcuno dei suoi romanzi non ancora pubblicati in Italia (non credo che ne vedremo più), sia venduto anche in ebook. La forma digitale, infatti, darebbe a noi lettori italiani la possibilità di tradurre, per chi non lo sappia fare direttamente a mente, tramite i supporti adatti, cioè i traduttori on line o quelli a pagamento, tipo Babylon , la possibilità di leggere i suoi romanzi, forse in un italiano molto raffazzonato, come è quello dei traduttori, ma certamente capibile.
In attesa di ciò consiglio a chi ne avesse letti pochi, di frugare tutti i negozi di libri usati e fumetterie che vendano gialli, perché solo lì è possibile ancora trovare Halter di parecchi anni fa.
Del resto il discorso fatto per il mio amico Paul, vale anche per Doherty, i cui romanzi sono stati ampiamente pubblicati fino a sette otto anni fa, poi…la nebbia. 
Anche per Doherty vale per me l’ipotesi che Igor abbia perso terreno nell’influenza sulle scelte direttoriali. E questo è una grande sconfitta per tutti noi, perchè assicurava, finchè è stato un consigliere molto apprezzato, un parco di titoli del tipo che piace a noi tutti.
E Doherty piaceva molto in Italia. E soddisfaceva anche il pubblico a cui piace il giallo storico, oltre che quello cui piacciono le Camere Chiuse.
Igor Longo ha perso terreno, io penso, anche perchè coloro che lo appoggiavano sono venuti meno. E quindi è rimasto solo a combattere da solo contro i mulini a vento. Io credo che occorre a questo punto che noi tutti gli diamo una mano, perchè a Igor Longo si chieda di uscire dal solitario eremo in cui si è rinchiuso.
Quale alternativa abbiamo? Di farci sentire a gran voce. Come? Inviando email al Giallo Mondadori.Vi posso assicurare che quando arrivano le email, vengono lette alla Mondadori. Molti anni fa, quando già cominciavano a latitare gli Halter, ne scrissi due di lettere email e seppi che erano state lette e commentate. Oltre ovviamente quella che inviai all'epoca di Sandrone Dazieri, cui mi rispose lui stesso e mi indicò come pormi in contatto con Igor Longo.
Scriviamo tutti a giallomondadori@mondadori.it (non scrivete sul Blog chiedendo le stesse cose, perchè Forte lì non partecipa e vi risponderebbero i soliti, quelli che paludono a scena aperta a tutto quello che fanno i responsabili, e quindi la vostra richiesta morirebbe lì) e facciamo sentire anche la nostra voce in merito alla programmazione poliziesca da edicola. Così i responsabili non leggeranno solo richieste a furor di popolo di Bowen e Gardner (a patto poi che sia effettivamente vero),  ma anche di Halter e Doherty.

Chissà, allora, che qualcuno non si ricordi anche di noi.

Pietro De Palma

domenica 17 gennaio 2016

Norman Berrow: Le orme di Satana (The Footprints of Satan, 1950) – traduz. Giancarlo Carlotti, prefaz. Mauro Boncompagni – ShaKe Edizioni, Collana Nnoir Sélavy, 2010, pagg. 224.




Norman Berrow è un nome sconosciuto ai più: neozelandese, al pari di Ngaio Marsh, ma meno noto al pubblico degli amanti del giallo classico, conserva però un suo posto nella letteratura di genere, avendo cercato una sua risposta a John Dickson Carr: terreno di sfida è il delitto impossibile e, talora, la Camera Chiusa.
Non si sa quando sia nato, né tantomeno quando sia morto, e dove. La mancanza così vasta di note anagrafiche potrebbe anche far  pensare che il nominativo fosse uno pseudonimo; ma al di là di questo, e del fatto che fosse neozelandese, che si fosse sposato e avesse dimorato a Gibilterra, anche per del tempo, visto che alcuni dei suoi romanzi là sono ambientati, e che avesse combattuto nel secondo conflitto mondiale, al di là della foto, che alleghiamo, non si sa altro. Quello che si sa è che, in determinati ambienti, Berrow e i suoi romanzi furono molto amati: The Bishop’s Sword, Ghost House, The Three Tiers of Fantasy, The Footprints of Satan, sono alcuni dei titoli più rappresentativi dei venti complessivi che fino agli anni ’50 gli furono pubblicati.
Se per alcuni è un nome completamente sconosciuto, ad onor del vero bisogna dire che “Le orme di Satana” non sono il primo titolo in assoluto di Berrow ad essere pubblicato in Italia: infatti, nel lontano 1958, I Gialli del Triangolo, avevano pubblicato di Norman Berrow, “La belva di San Roque”, The Claws of the Cougar. Attualmente tutte le opere di Norman Berrow, sono disponibili presso Ramblehouse, una casa editrice americana, specializzata in opere di autori negletti.
Norman Berrow cercò di emulare Carr, creando una serie di situazioni che spesso lo richiamavano: la sparizione di una strada, in The Three Tiers of Fantasy, ci porta alla memoria l’uguale sparizione di una strada in The Lost Gallows di Carr; la sparizione di un’antica spada da una teca sigillata (The Bishop’s Sword), ci può richiamare la sparizione carriana di una coppa da una stanza (The Cavalier’s Cup)e così via. E’ da dire che però l’inventiva di Berrow non si può dire proprio che fosse povera. Parecchi sono i temi bizzarri che si trovano nelle sue opere: un pollice gigante che uccide (The Spaniard’s Thumb), la stanza che canta (The Singing Room), gli omicidi di un demonio detto “The Black” (Oil under the Window). 

Il romanzo pubblicato da Shake, “Le orme di Satana”, The Footprints of Satan, presenta la spiegazione berrowiana di un fatto effettivamente accaduto nel 1855 in alcuni posti sperduti d’Inghilterra, quando, furono trovate impronte di piede caprino impresse nella neve, e in posti inaccessibili, quali dei tetti molto spioventi o anche sopra gli alti muri di recinzione dei possedimenti. Del caso se ne occuparono illustri giornali britannici quali il Times, che pur prendendo timidamente posizione in tal senso, ammisero la possibilità che Belzebù in persona, non si sa per quale motivo, avesse voluto far visita a quelle sperdute lande nella stessa notte.
Norman Berrow parte dal fatto storico, per costruire la sua storia: nella cittadina di Winchingham, sulla salita di Steeple Thelming, in una notte d’inverno, mentre tutti i compaesani sono lì rannicchiati sotto le coperte e al calduccio, appaiono delle inconfondibili impronte di piede caprino nella neve: possibile che Satana abbia deciso di farsi una passeggiata? Fatto sta che la cosa avrebbe destato solo un certo interesse come un secolo prima, se la cosa non fosse stata connessa alla scoperta di un impiccato. Infatti la comunità locale fa chiamare la polizia per accertare che non si tratti di uno scherzo di pessimo gusto, e i poliziotti testimoniano, fotografandole, che quelle sono proprio impronte di piede caprino. La cosa strana è che le impronte, che in un primo momento sembrano messe a caso, seguono invece un ordine: è come una processione. Di casa in casa, le orme si snodano per tutto il paese: qua e là scompaiono, per apparire a distanza di qualche passo, su tetti e muri (anche in posti inaccessibili), finchè vengono notate impronte umane, seguite da quelle caprine, fino alla collina, laddove in uno spiazzo desolato, vien trovato impiccato ad un albero morto, un uomo morto, Mason, vestito con un completo grigio a doppiopetto con una cravatta vistosa (anche qui possiamo trovare riferimenti carriani: per es. l’uomo trovato pugnalato,vestito di nero, con un cilindro, una barba posticcia ed un manuale di cucina inArabian Nights Murder).
Il fatto inspiegabile è che tutt’intorno all’albero ci siano solo le impronte dell’uomo e quelle del..caprone, e nessun altra. Per risolvere l’arcano mistero, chiamano l’Ispettore Lancelot Carolus Smith, che dovrà dibattersi tra reali impronte caprine, apparizioni di un essere soprannaturale detto “La Dama Blu”, personaggi bislacchi come Jake Popplewell ed il suo vecchio somaro Boomer, la signorina Forbes, Greg Cushing (nipote di Jake), i coniugi Croxley, i coniugi Maltravers
Un bel giorno trovano Croxley, che si era allontanato da casa dicendo alla moglie che si recava al posto di polizia, in mezzo ad un campo, ucciso da una “zoccolata”: anche qui non ci sono altre impronte che le sue e quelle dell’essere con gli zoccoli. Lancelot Carolus Smith che già brancolava nel buio dopo il primo delitto e la scoperta di orme di zoccoli sul davanzale di una finestra della casa di Mason, finestra chiusa e sbarrata dal di dentro, ora rischia di stramazzare, fino a quando, improvvisamente vede la luce. E individua l’assassino.
Diciamo subito che la dote principale di questo romanzo è l’atmosfera: greve e incombente, attanaglia il lettore, almeno fino a quando, il lettore scaltro e rotto ad ogni tipo di soluzione gialla (la minoranza) capisce cosa Berrow ha nascosto; e quando ha capito cosa , per forza di cose si capisce in quale cerchia debba essere trovato l’assassino.
Quello che manca, invece, a mio parere, è l’incastro perfetto tra complessità del plot e complessità d’atmosfera: se l’atmosfera è assai efficace, in virtù di un sapiente mixaggio dei vari elementi, ad essa non corrisponde fino alla fine la complessità del plot; aggiungerei, che il fatto che si rifaccia a Carr, individua anche un’altra pecca, che è di tipo caratteriale-psicologico: Berrow secondo me non doveva essere fino in fondo molto soddisfatto di sé, letterariamente parlando, e quindi cercava sempre di rifarsi agli altri, a quelli che avevano successo oltre Carr : come dice Boncompagni…Quentin, Wallace, Oppenheim, Woolrich (ed io aggiungerei anche Downing).
L’atmosfera di Carr introduce ad un mistero che è tale davvero, e che si dispiega per tutto il romanzo, e che trova la risposta solo alla fine, e questo perché Carr presenta un parco di personaggi relativamente ampio; Berrow, almeno nei romanzi che ho letto io, ne presenta di meno. Ciò se da un lato gli consente di focalizzare l’attenzione esclusivamente sulla messinscena del delitto, dall’altro, presentando un parco ristretto di sospettabili, finisce per far capire al lettore supersmaliziato (quello principiante e medio non corrono pericoli), molto prima di quanto accada in Carr, chi possa essere il responsabile. Questo accade perché cambia la prospettiva dell’impianto generale della messinscena: Carr guarda a 360°, Berrow a 180°: il primo impianta una storia e sopra ci tesse un romanzo ampio, il secondo impianta una storia ma pur se essa è di grandissima inventiva e qualità, tuttavia non riesce oppure non vuole gestire un parco ampio di sospettati. E quindi il romanzo a mio parere perde in intensità, soprattutto nel finale, laddove il lettore si aspetterebbe un exploit ed invece il tutto finisce con uno sgonfiamento della tensione, non con uno scoppio.
Inoltre, al personaggio di Norman Berrow, manca un caratteristico modo di parlare che lo identifichi (le bestemmie per Fell o Merrivale, le allusioni forbite per Appleby, le frequenti espressioni francesi di Poirot) e lo stesso suo nome può essere nient’altro che una somma di nomi di altri investigatori celebri (il Lancelot Priestley di John Rhode e il Carolus Deene di Leo Bruce.
Al di là di questo, il romanzo si impone per una qualità d’atmosfera rara, e per una spiegazione sorprendente dei due delitti impossibili : io qualcosa l’avevo indovinata, per es. l’assassino. Scoprire invece il movente e la spiegazione della camera chiusa invece è molto più difficile, e  qui Berrow vince. Alla grande.

P. De Palma

giovedì 7 gennaio 2016

Franco Vailati: Il mistero dell’idrovolante – 1^ ediz. I Libri Gialli N°128 del 1935/2^ ediz. G.I.M. N°8 del 1977



Si chiamava Leo Wollemborg Junior, ed era figlio di Leone Wollemborg, un ricco economista di origini tedesche che era stato Ministro delle Finanze del governo Zanardelli nel 1901 e senatore a vita dal 1914, e di Alina Regina Fano, sorella del matematico Gino Fano. Nacque a Loreggia, in provincia di Padova (ma secondo alcune fonti, tra cui un arbitrato internazionale tra USA e Italia, pare che potesse essere nato a Roma) nel 1912, e a Padova seguì gli studi, iscrivendosi all’università e diventando più tardi giornalista. Nel 1932 scrisse il romanzo Elena. Qualche anno dopo consegnò alle stampe il suo unico romanzo poliziesco, la più bella Camera Chiusa italiana degli anni ’30, che Mondadori pubblicò ne I Libri Gialli nel 1935, con il titolo Il mistero dell’Idrovolante, anche se in realtà il titolo originale era Il mistero dell’Idroplano: per l’occasione Leo Wollemborg J. utilizzò lo pseudonimo di Franco Vailati.  Riparato in America nel 1939, dopo la promulgazione delle leggi razziali in Italia, in quanto ebreo, e poi diventato cittadino americano prima e soldato americano dopo (combattè nella seconda Guerra Mondiale), ritornò in Italia negli anni ’50 , in come corrispondente del Washington Post, occupandosi di Politica estera e collaborando anche con testate italiane. E’ morto nel 2000 a New York. La “Columbia University” ha instituito in suo nome una borsa di studio. Scrisse saggi, tra cui Stars, Stripes And Italian Tricolor: The United States And Italy, 1946-1989.
Il Mistero dell’Idrovolante è una complessa Camera Chiusa che rende omaggio al romanzo deduttivo in voga negli anni ’30.
Il DORNIER-WAL 134 è il più grande degli idrovolanti di ultima generazione ormeggiati alla foce del Tevere, ad Ostia, e “per ampiezza, comodità e perfezione tecnica, poteva realmente rivaleggiare con i  migliori modelli in servizio sulle linee straniere” (pag.7): è utilizzato sulla tratta di mare Ostia-Palermo, per portare 15 persone a bordo (dodici passeggeri, due piloti, ed un meccanico che può necessitare per interventi di necessità ed emergenza).


Il giorno 12 luglio, sta per partire dall’Idroporto, quando arriva un uomo trafelato: è il Rag. Larini, e  deve arrivare in tempi strettissimi a destinazione per trattare un importantissimo affare per la Banca di cui è dipendente, la Banca Metropolitana, ma non c’è più posto sul velivolo, come gli viene più volte ripetuto dagli impiegati. Pertanto corrompe il meccanico in servizio sul DO -WAL 134, con una grossa somma, e quello accetta di cedergli il posto in cabina, al fianco dei due piloti, mentre lui farà il viaggio nel deposito bagagli. L’idroplano sta per prendere il volo ma manca l’ultimo passeggero che arriva trafelato: è il banchiere Agliati, un tipo con dei baffi ed una bella pancia. Prende posto nel velivolo e questo parte. Nulla di rilevante: i passeggeri cominciano a prendere conoscenza, almeno alcuni di loro. A bordo c’è anche il giornalista Giorgio Vallesi, che è sul velivolo per scrivere per conto del suo giornale, un articolo di colore proprio sulla traversata di codesto aereo, vanto dell’Italia. Oggetto dei suoi sguardi interessati è la bella Marcella Arteni, che sembra corrispondere; e poi c’è una strana signora che attira i suoi sguardi, tale Vanna Sandrelli, per il fatto che pur vestita elegantemente di rosso, ha con sé stranamente una borsa color verde, che stride notevolmente con l’abito di Ventura, ed è per giunta stranamente nervosa. Gli altri passeggeri sono: una coppia, i coniugi Martelli; tre mercanti di campagna: Marchetti, Sabelli e Bertieri; e tre personaggi di rango politico: un pezzo grosso del Ministero degli Esteri e i suoi due segretari.
Uno dei mercanti, Sabelli, si alza e va al bagno: è un piccolo locale di un metro quadrato di ampiezza e un metro e settanta d’altezza, un buco in sostanza, con un gabinetto, ed ha un piccolo finestrino sul soffitto per aerare. Dopo di lui, si alza Vallesi che fa una passeggiata sino alla cabina di pilotaggio, separata da una porta a vetri, e ritornato dai suoi compagni di viaggio, annuncia che a bordo c’è un quasi clandestino, il Rag. Larini, che viaggia assieme ai due piloti, avendo corrotto il meccanico, che ora sta nel vano bagagli, perché gli cedesse il suo posto dietro ai due piloti, e aggiunge scherzosamente che è parecchio grasso, e potrebbe il suo peso compromettere il tonnellaggio dell’aereo. Tutti non ci fanno caso: solo il banchiere Agliati, che è pure grasso lui, sembra preoccupato: si alza e va al bagno. Dopo un po’ si vede uscire dal vano bagagli un uomo in tuta, il meccanico, che va in cabina di pilotaggio e poco dopo ne ritorna portando un involto. Intanto, un altro mercante Marchetti va al bagno: aspetta, poi ritorna indietro; poi di nuovo, finchè sbotta rivolto ai compagni sul fatto che il banchiere si sia chiuso nel bagno e non ne esca nonostante sia passata mezzora. Preoccupato Vallesi bussa ma non ottiene risposta, cerca di aprire la porta ma è chiusa, e così devono avvisare il comandante, che decide allo scalo previsto a Napoli, di cercare di portare aiuto al banchiere: ma, qual è la sorpresa di tutti quando, sfondata la porta, che risulta essere chiusa dall’interno da un chiavistello, trovano il vano completamente vuoto: dov’è finito il banchiere Agliati? Volatilizzato nel cielo attraverso la finestrella, oppure spinto giù fra le nuvole attraverso lo scarico del WC? E qualsiasi sia stata la sua meta, la sua sparizione a cosa è stata dovuta? A suicidio, disgrazia o omicidio?
All’Idroscalo di Beverello, vicino Napoli, a occuparsi delle indagini è il Commissario Boldrin, che però non  cava un ragno dal buco: il locale e quello che sembra, non vi sono aperture nascoste, e l’unica via di uscita sembra essere la finestrella; tuttavia l’impossibilità della situazione è data dal fatto che il banchiere era piuttosto grasso e non sarebbe mai passato attraverso una finestra piccola come quella. E allora? Boldrin non sa che pesci prendere.
In suo soccorso arriva il Vice-Questore Renzi, della Questura Centrale di Roma, nipote di un pezzo grosso del Ministero degli Interni: Renzi, letta la notizia su un giornale di Roma, chiede di essere inviato a Napoli come osservatore, in quanto son tutti romani i passeggeri, e il mezzo è partito da Roma; inoltre ha letto che tra i passeggeri c’è un suo vecchio amico, il giornalista Vallesi, compagno di bisbocce molti anni prima.
Le indagini sono estremamente complesse: Boldrin ha eliminato come cause sia la disgrazia, che il suicidio, per le impossibilità manifeste che un tipo grasso come Agliati abbia potuto issarsi fuori da una finestra molto più piccola della sua circonferenza, o sia potuto scivolare via, tanto più che l’aereo non si è rovesciato in volo e quindi non sarebbe potuto scivolare attraverso la piccola apertura posta sul soffitto. Tuttavia l’unica possibilità rimanente è di per sé impossibile a sua volta, perché se fosse stato ucciso, almeno un’altra persona ci sarebbe dovuta essere in quel minuscolo bagno, cosa che è assolutamente impossibile che sia accaduta vista l’angustia dello spazio destinato a ritirata.
Presente Renzi, tuttavia, le indagini pur non facendo luce sulla scomparsa impossibile, consentono, attraverso gli interrogatori dei testi, di stabilire che: la signora Vanna Sandrelli, la signora in rosso, ha fornito false generalità; due dei tre mercanti, Sabelli e Marchetti, commercianti di granaglie, si conoscevano, mentre il terzo, Bertieri è in realtà Pagelli, una vecchia conoscenza della polizia, e non è un commerciante ma un inviato della Banca d’Itala e Argentina, che deve concludere un determinato affare a Tunisi. Inoltre il commissario Boldrin fa una scoperta: perquisendo i bagagli dei passeggeri, si accorge che in una delle valigie di Sabelli, sulla fodera spicca una sequenza di numeri: sembrerebbe un codice, ma poi si ipotizza (e viene confermato dalle indagini successive) che siano più numeri telefonici messi uno accanto all’altro. Pur non sembrando avere alcuna connessione col resto degli eventi, cercano di dare una paternità a quei numeri ed ecco che una delle sequenze stranamente porta ad uno dei Vice-Direttori della Banca d’Italia e Argentina.
Mentre si sta cercando di venirne a capo, un altro fatto delittuoso turba l’opinione pubblica: Marchetti che si sarebbe dovuto incontrare con l’amico Sabelli alla stazione di Napoli per proseguire per Palermo (cosa che avrebbero fatto altri passeggeri dell’idrovolante, bloccato per le indagini a Napoli) non lo trova e allora su indicazione avuta precedentemente dallo stesso, avendo le sue valigie, le mette al posto dell’amico, in attesa che sul treno si faccia vivo. Ma di Sabelli nessuna traccia, finchè a qualcuno non viene in testa di aprirle alla presenza di Marchetti ed in una di esse ne trovano in mezzo a segatura, le braccia e la testa . Marchetti viene messo in stato di fermo per omicidio, ma non sa nulla, almeno così dice; e nel frattempo, qualche ora dopo viene scoperta un’altra coppia di valigie, uguali a quelle di Sabelli nelle mani della polizia, sul treno Napoli-Brindisi, in cui viene trovato il tronco, e  le gambe di Sabelli.
Ha connessione la morte di Sabelli con quella di Agliati, sempre però che sia morto?
Un altro fatto strano avviene: in Corso Italia a Roma, dove Renzi è ritornato, un ufficio è stato messo a soqquadro, ma la cosa strana è che non manca nulla. Renzi per un caso viene invitato ad occuparsene, e in una stanza trovata chiusa dal di dentro, trovano delle casse piene di segatura, mentre in un’altra, Renzi trova vicino ad un telefono un numero che s’inquadra nella stringa di numeri trovata nella valigia di Sabelli , mentre risultano scomparsi tutti gli asciugamani nel bagno. Renzi ipotizza sia stato quello il luogo dove Sabelli è stato ucciso e fatto a pezzi. Successive indagini consentiranno di ricostruire la dinamica dei fatti che gira tutta attorno alla Banca d’Italia e Argentina, e ai rapporti col banchiere Agliati, non prima che qualcuno abbia cercato di uccidere la stessa moglie di Agliati e la figlia quattordicenne, nei pressi di Villa Borghese.
GiorgioVallesi propone una propria soluzione al mistero della scomparsa di Agliati: egli non sarebbe stato in realtà grasso ma solo avrebbe usato un salvagente a ciambella moderatamente gonfio; una volta entrato nella ritirata, attraverso il finestrino, essendosi sbarazzato del salvagente facendolo volare via, si sarebbe issato e camminando sulla carlinga esterna dell’idrovolante (ipotesi pazza) sarebbe riuscito ad introdursi nel deposito bagagli, attraverso la porta esterna che può aprirsi anche dall’esterno; lì dentro, avrebbe comperato il silenzio del meccanico, che sarebbe uscito e rientrato con un pacco, che a detta di Vallesi sarebbe potuta essere una tuta da meccanico; in quella veste, mentre gli altri fossero stati intenti a buttare giù la porta, sarebbe uscito dall’aereo. Tuttavia la soluzione di Vallesi ha delle pecche evidenti: il molo di Beverello era supersorvegliato dalla polizia e nessuno oltre i presenti era uscito dall’idrovolante; inoltre viene confermato dalla testimonianza dei piloti, che il meccanico non aveva portato altro con sé nel deposito che un pacco, e che questo conteneva non una tuta ma una pagnotta di pane, e frutta, come attestano i noccioli di pesca trovati nel vano bagagli.
Partendo dall’ipotesi di Vallesi, salvando quello che ritiene interessante e rigettando il resto, Renzi riuscirà a risolvere il mistero della Ritirata Chiusa, a trovare la vera identità di Agliati, con un passato di imbroglione e profittatore, a ricostruire quella di un altro suo ex compare divenuto un personaggio importante della finanza, che temeva le rivelazioni del suo ex amico,  e ad arrestarlo, in compagni di altri membri della banda, dopo un inseguimento assieme al Questore di Roma, vicino a Frosinone, in un campo dove stavano occultando una cassa contenente i resti del banchiere Agliati.
Movimentato giallo italiano, Il mistero dell’Idrovolante (o dell’Idroplano, come pare fosse stato intitolato da Wollemborg/Vailati) , è un omaggio al giallo deduttivo anni ’30. Complesso e anche difficile in taluni passaggi, per esempio quello relativo al ragionamento circa le due coppie di valigie contenenti i resti umani di Sabelli, in base al quale viene assolto il più probabile degli assassini, Marchetti, che per di più ha ammesso che la valigia contenente la testa, pur essendo dell’amico, era in suo possesso, il romanzo a parer mio ha tuttavia due grandi pecche: manca di atmosfera e l’assassino non è uno dei passeggeri, cioè degli attori del dramma.
Sarebbe potuto essere un bel romanzo, se avesse posseduto un’atmosfera , e invece sembra essere invece una cronaca giornalistica, nuda e cruda, un mero esercizio di genere, un divertissement, e come tale deve essere visto, con ritmo certo e anche tensione, e in certo modo scanzonato e leggero.  Probabilmente perché è un omaggio alla moda del giallo, senza che l’autore ne sentisse il trasporto o la passione, o il bisogno forse, in cui la parte predominante è svolta dal ragionamento deduttivo che è sì freddo ma anche virtuosistico nelle sue elucubrazioni e nelle ipotesi. L’autore era un giornalista, e il romanzo pare talora qualcosa più d’una cronaca: quello che gli manca è l’afflato del romanziere che riesce, attraverso la propria vena innata o attraverso dei trucchi di stile, a creare un’atmosfera in ragione della quale il lettore sia avvinto. Che qui non c’è. Su questo piano, il romanzo perde il confronto con il più disastrato di quelli di De Angelis (sempre che esista) o anche con Varaldo che, con tutti i “se” e i “ma”, era uno scrittore di mestiere e non un giornalista imprestato alla narrativa.
Tuttavia, dicevamo, altra pecca che può esser vista beninteso come una genialata,  secondo me è il fatto che l’assassino non sia uno dei passeggeri: non mi pare di poter dire che Wollemborg potesse aver letto Obelists Fly High di Daly King o viceversa (e questo sarebbe stato possibile se l’autore americano avesse conosciuto l’italiano), perché entrambi i romanzi sono del 1935, e la prima edizione del capolavoro di Daly King apparve in Italia, con traduzione di Franco Invernizzi, nella Collezione Poliziesca diretta e curata da Augusto De Angelis 1938 (Editrice Ariete). Stessa cosa non può dire di Wollemborg/Vailati a proposito del romanzo Death in the Clouds ( Delitto in cielo) di Agatha Christie , perché anche tale opera apparve nello stesso anno; semmai si potrà riflettere sul fatto che ben tre opere su un delitto in cielo, apparvero nello stesso anno, 1935. Però, mentre nei romanzi di King e Christie, il colpevole va cercato tra uno dei passeggeri, nel romanzo di Vailati non è così: e allora come è stato ucciso e trasportato via, Agliati? Ecco questo è il perno del ragionamento, che è a mio modo di vedere una vera perla. Ancora una volta devo , però, ragionare sul fatto che le più belle Camere Chiuse, almeno le più spettacolari, sono quelle che non nascono da una coincidenza o da un imprevisto o dall’azione solo dell’assassino, ma da una messinscena operata con l’ausilio più o meno collaborativo se non proprio complicità di uno o più soggetti, operando un vero e proprio gioco illusionistico.
Da questo punto di vista, il romanzo di Wollemborg/Vailati posso dire che avrebbe fatto invidia a Christianna Brand, autrice di Tour de Force, romanzo di qualche anno dopo, che ricorre alla stosso tipo di messinscena. E per altro particolare, attinente alla tecnica del delitto impossibile, avrebbe fatto invidia al John Dickson Carr, autore del posteriore The Crooked Hinge.

Pietro De Palma

mercoledì 6 gennaio 2016

Martin Porlock (Philip MacDonald) : La villa dei delitti ( Mystery at Friar’s Pardon, 1931) – trad. Dario Pratesi – I Bassotti N° 56, Polillo, 2008


Philip MacDonald, oltre che il suo vero nome, utilizzò vari pseudonimi per pubblicare i suoi romanzi: Anthony Lawless, Oliver Fleming e Martin Porlock. Con quest’ultimo confezionò solo tre romanzi: Mystery at Friar’s Pardon (1931), Mystery at Kensington Gore (1932) e X Vs. Rex (1933). Il primo e il terzo sono giustamente considerati dei capolavori e sono stati entrambi tradotti presso di noi, mentre il secondo  è ancora inedito, ed è l’unico su cui i pareri siano discordi: Nick Fuller ne parla come di uno stranissimo romanzo senza né capo né coda, mentre Martin Edwards al contrario loda l’originalità della storia, che è una di quelle in cui il cadavere scompare e riappare.
Di quelli pubblicati in Italia, oggi parliamo del primo.


Mystery at Friar’s Pardon, pubblicato nel 1931, è uno dei capisaldi della produzione di Philip MacDonald, uno dei più grandi innovatori della Crime Fiction.
In esso viene introdotto il personaggio di Charles Fox-Brown, e per farlo MacDonald impiega addirittura un capitolo per tratteggiarlo nei minimi dettagli: figlio di una coppia benestante, rimane orfano all’età di tredici anni affidato ad uno zio che però non vuole occuparsene. Presto si arruola per partecipare alla Prima Guerra Mondiale e da semplice soldato scala tutti i gradi diventando prima sergente maggiore, poi entrando nel rango ufficiali e finendo la guerra come maggiore, pluridecorato.
La successiva vita civile è una serie di successi ed insuccessi: una serie di fortunate intuizioni lo rendono imprenditore e potenzialmente benestante, finchè una lontana parente non gli chiede aiuto (in denaro) e così diecimila sterline le vengono prestate. Tuttavia la donna, che il denaro non l’ha mai utilizzato solo per vivere, ma solo per vivere bene, muore in un incidente di caccia e le diecimila sterline (che era il patrimonio che Fox Brown aveva guadagnato con il suo lavoro) sfumano per sempre, per cui egli deve ricominciare a lavorare, diventando amministratore di proprietà. In questa veste viene assunto dalla “Leonessa”, Enid Lester-Greene, scrittrice di successo, e donna diventata molto benestante in virtù dei suoi romanzi d’amore, per amministrare la sua proprietà.
Assieme a lei, fa la conoscenza di Norman Sandys, suo segretario, che ben presto lo edoce su quelle che saranno le sue mansioni, che gli procureranno più soldi di quanti lui, Norman, ne guadagni come segretario. Charles però dovrà traferirsi presso la magione che Enid ha comprato tempo prima, spendendo molti soldi per farne il suo castello, ristrutturandola completamente, e riaprendo l’ala est, che i precedenti proprietari avevano reso inaccessibile, murandone l’entrata. Infatti, Friar’s Pardon, questo il nome della magione, era stata costruita sul finire del diciassettesimo secolo, e pur essendo un edificio di pregevoli armonie, ben presto si era guadagnato una fama sinistra che aveva mantenuto nei restanti due secoli: i proprietari erano morti in una medesima camera, annegati, benchè non fosse stata rinvenuta neanche una goccia di acqua in essa, né essi avesser o i vestiti bagnati. Si era così diffusa la credenza che vi fossero entità malvagie nella villa, cioè che essa fosse infestata. Ma Enid Lester-Greene non crede agli spiriti e  decide in spregio alle credenze di andarvi ad abitare; anzi, a far ristrutturare proprio la camera maledetta preceduta da una sorta di vestibolo, unendo i due locali in un enorme studio, dove ella dorme e scrive i suoi capolavori.
Ben presto nella casa, si diffondono voci di fenomeni paranormali: voci, passi, mani che appaiono fuori dalle finestre, porte che improvvisamente si chiudono da sole, vasi che si rompono senza che nessuno li abbia toccati, come se oggetto di Poltergeist. Molti, in quella casa hanno qualcosa da dire: oltre Norman, anche Lady Maud Vassar studiosa di occultismo e nobile, Claude Lester fratello di Enid, il barone Trevor Ignatius Pursell, la nipote acquisita Lesley Destrier, e molta parte della servitù, riferisce di esser stata presente ad alcuni di questi fenomeni: solo Enid e Charles Fox-Brown sono scettici a riguardo.

Eppure una sera, dopo una sontuosa cena, dopo che la stessa padrona di casa si è ritirata nel suo studio per lavorare, una telefonata proveniente dallo studio chiede disperatamente aiuto, ma dopo aver tentato di entrarvi senza successo perché la porta è chiusa dall’interno, Fox-Brown dimostrando sprezzo del pericolo, camminando sul cornicione esterno, riesce a rompere il vetrodella finestra chiusa e penetrare nell’ambiente, trovando Enid morta, senza segni di alcun genere che indichino una lotta.
La polizia è chiamata sul posto, e ben presto anche il medico legale, che insolitamente riconosce Fox-Brown: il dottor Riley, informa l’Ispettore Willis e il Capo della Polizia, Amblethorpe, di come Fox-Brown, quando era a Capo di una sezione del Controspionaggio durante la guerra, avesse risolto un caso piuttosto rognoso. Così, si affidano alle sue doti investigative.
Fox-Brown riuscirà a capire come l’assassino sia potuto uscire dalla camera lasciandola chiusa dietro di sé e come abbia fatto ad uccidere Enid e a scappare in pochi minuti, senza essere visto. E soprattutto a dimostrare che non si è affatto trattato di un evento soprannaturale (come facevano pensare le morti già accadute durante i secoli e tutte avvenute con medesima causalità), dimostrando come sia stato possibile che Enid morisse affogata in una stanza in cui non vi era la minima goccia di acqua. E come fosse stato possibile che una persona X parlasse spacciandosi per Enid, utilizzando la linea telefonica interna, senza che altri se ne accorgessero.
E rivelerà il nome dell’assassino, anzi degli assassini, nel corso di una falsa seduta spiritica che lui stesso organizzerà, avvalendosi della partecipazione straordinaria del medico legale (ex attore) nella parte di un illustre spiritista, ingannando sulla bontà della seduta persino Lady Maud.
Straordinario romanzo, vero e proprio capolavoro, Mystery at Friar’s Pardon, possiede un’atmosfera unica. Per di più MacDonald struttura la trama in sezioni ben distinte, creando i presupposti per un genere che Carr svilupperà in larga parte: prima crea le premesse perché l’investigatore dilettante possa andare ad abitare presso una determinata villa, poi riserva un intero capitolo alla figura dello stesso, poi descrive la magione e i misteri ad essa collegati, ed infine passa a descrivere i personaggi che vi si muovono, dando lungo spazio ai fenomeni che vi accadono, accrescendo così la tensione, finchè arriva la catarsi con il delitto impossibile, un delitto impossibile che più impossibile non è: una donna muore affogata, con tutti i segni dell’affogamento, senza che lei o i suoi vestiti siano bagnati, e senza che neanche una goccia d’acqua sia trovata nella stanza dove ella è morta, anche se ve ne dovrebbe essere un mare. Dico delitto più che impossibile, perché oltre a questo vi è pure una Camera chiusa, e ancor di più una voce che viene riconosciuta come quella di Enid, ma che non dovrebbe essere sua, che chiede aiuto quando, come stabilirà Charles, ella era già morta.
Sia la Camera Chiusa che il trucco della telefonata rientrano in quella casistica di trucchi di un Delitto di Camera Chiusa, già introdotti da Carr nella sua famosa Locked Room-Lecture e poi richiamati nella Lecture in Nine Times Nine  di Boucher, quando le Camere chiuse vengono ristrette ad uno schema a seconda che siano avvenute prima, durante o dopo: in questo caso la morte è avvenuta prima, e quindi c’è stato un trucco. Quale? Lo stesso cui ricorre Carr in Hag’s Nook, che è del 1933, mentre questo romanzo è del 1931.
Charles comunque fornisce un indizio al lettore attento, molto prima che risolva l’arcano, quando guarda l’orologio e confronta l’ora (pag. 135).
La Camera Chiusa anche qui – mi ripeto ancora una volta – è spettacolare, forse una delle migliori e più affascinanti che siano mai state inventate, perché vi partecipano due persone: una ha il compito di impersonare Enid, l’altra di ucciderla e simulare con una messinscena spettacolare, l’intervento di potenze soprannaturali. Per certi versi proprio l’impossibilità di un delitto del genere, mi richiama un altro romanzo alla memoria, anche quello posteriore a questo, il primo di Talbot, The Hangman’s Handyman: anche lì ricorre un’impossibilità manifesta (una maledizione per cui un cadavere di poche ore si presenta come se fosse morto da molti giorni e presentasse una putrefazione molto accentuata).
Ma al di là, dell’impossibilità creata, il romanzo è straordinario perché, in virtù di una tensione sapientemente amministrata, crea le condizioni del perché il lettore quasi quasi creda ai fenomeni di poltergeist e nello stesso momento si chiede in che modo mai si sia riusciti a simulare un affogamento, senza acqua. E inoltre miscela, ad una storia di mistero anche una d’amore, più classica che mai, che in qualche modo ci fa ricordare un romanzo precedente di un anno al nostro, di Dorothy Sayers: Strong Poison, 1930. Anche lì il protagonista, Lord Peter Wimsey, innamorato della scrittrice di polizieschi Harriet Vane, deve evitare che essa venga accusata di un omicidio tramite avvelenamento e salvarla provando la colpevolezza di un altro, come accade qui, giacchè Charles Fox-Brown, innamorato di Lesley Destrier, deve evitare che ella sia accusata dell’omicidio della zia acquisita, dopo che all’interno della mensola del suo caminetto sono state trovate una serie di prove compromettenti, messe lì evidentemente dall’assassino per stornare da sé i sospetti; del resto qui, come nel romanzo della sayers compare un veleno, solo che nel nostro caso non è usato per uccidere ma per stordire.
Se col romanzo di Dorothy Sayers quindi rilevo una comunanza, e quindi il romanzo precedente avrebbe potuto fornire a MacDonald un’idea per il suo romanzo, parimenti devo osservare che secondo me, Mystery at Friar’s Pardon può aver influito su Carr non solo per la soluzione alla base dell’omicidio impossibile in The Hag’s Nook, ma anche e soprattutto per la serie dei romanzi di Henry Merrivale: abbiamo infatti lì come qui un detective che ha avuto a che fare col Controspionaggio Militare in qualità di funzionario (Merrivale è a Capo del Controspionaggio Militare, Fox-Brown è stato a capo di una sezione), e abbiamo qui come lì fenomeni che evocano il paranormale, che giustificherebbero uno o più delitti impossibili, se il detective, elemento scettico e razionale non opponesse la sua verità dei fatti, in cui il paranormale cede il passo ad un delitto accuratamente premeditato, commesso da uomini, e non da spiriti; inoltre lo stesso sistema per chiudere la porta dal di fuori, simulando un evento soprannaturale giacchè il suicidio è impossibile che sia avvenuto, si trova nell’elencazione di Fell, durante la sua Conferenza in The Hollow Man.

Pietro De Palma