lunedì 4 aprile 2016

Agatha Christie: Miss Marple racconta una storia (Miss Marple Tells a Story, 1935) - trad. Lydia Lax - Mondadori, 1981



Oggi parliamo di un altro racconto con Camera Chiusa di Agatha Christie: con questo, ne avremo esaminati già tre…quattro considerando anche quello non con Camera chiusa o Delitto impossibile, ma che forse è stato alla base di uno famoso di John Dickson Carr (vd.  http://camerechiuse.blogspot.it/2016/03/origine-possibile-di-crime-in-nobodys.html  )

Miss Marple Tells a Story, titolo originale dell’italiano Miss Marple racconta una storia, è un racconto di una decina di pagine, che è contenuto all’interno di due raccolte: The Regatta Mystery and Other Stories (pubblicato in USA nel 1939), e in Miss Marple's Final Cases (pubblicato in UK nel 1979).




Tuttavia, diversamente dagli altri racconti, la versione finale non è altro che la trascrizione della prima versione, commissionatale dalla BBC, prima di essere stampata nel 1935 per Home Journal, e da lei letta nel 1934 alla Radio. Nella versione pubblicata nel 1935, il racconto aveva un titolo diverso, “Behind Closed Doors”. Per quale motivo fosse stato poi cambiato non è dato sapere: forse, ipotizzo io, in seguito al fatto che Ellery Queen nel 1937 avesse pubblicato uno dei suoi pochi romanzi basati su una Camera Chiusa, con un titolo molto simile: The Door Between. E siccome il racconto della Christie uscì in libreria in una raccolta pubblicata per la prima volta in USA nel 1939, è probabile che si fosse pensato ad altro titolo per non trarre in errore i lettori.


Fatto sta che la storia elimina tutta la parte introduttiva che di solito in una storia più o meno lunga è legata alle cause che portano poi al concepimento dell’azione delittuosa, e si snocciola appunto come una storia che Miss Marple racconta a due suoi nipoti. Anche in questo si nota una certa diversità a seconda che si prenda in esame una o l’altra delle due raccolte in cui la storia figura: mentre infatti in The Regatta Mystery and Other Stories sono contenute storie sia con Miss Marple che con Poirot, la raccolta del 1979 è dedicata, come lascia capire il titolo, solo a racconti aventi come protagonista Miss Marple.
E’ deliziosa, sempre che lo possa essere una storia con delitto: un bel giorno si presenta – racconta lei ai suoi due nipoti – un suo amico per sottoporle una situazione delicata. Miss Marple che lo conosce da lungo tempo, si fida di tale Petherick, suo legale per tanti anni, e sa che se lui vuole sottoporle un caso è perché ha stima di lei. Pertanto accetta, e così Petherick conduce a casa sua il Signor Rhodes, un tale in preda ad una fortissima tensione: accenna subito al fatto che ha paura di morire, e sa che non potrà che accadere ciò, per rottura del collo, impiccato cioè, se qualcuno non lo tirerà fuori dai guai. Ma giudica peraltro così disperata la sua situazione, che non ha molta fede nelle presunte facoltà investigative di Miss Marple. Nonostante tutto le racconta il tutto: in una cittadina distante una trentina di chilometri, a Barnchester, lui e sua moglie, che erano sposati da circa un anno, stavano soggiornando nel Crown Hotel, e avevano preso due camere comunicanti, ma con ingressi separati. Una sera mentre lui era intento a scrivere un libro sulle felci primitive, dopo che la cameriera gli aveva portato la borsa dell’acqua calda, volendo chiedere alla moglie se desiderasse qualcosa prima di mettersi a letto, si era accorto, aprendo la porta intercomunicante, che la moglie, distesa sul letto, aveva un pugnale conficcato nel petto. Il fatto era che nessuno avrebbe potuto ucciderla, tanto più perché la porta di comunicazione col corridoio dell’Hotel era risultata chiusa dall’interno con chiave e chiavistello, e l’unico modo per entrare nella stanza della vittima, rimaneva solo la porta di comunicazione con la stanza del signor Rhodes, che però gridava a sua voice la sua innocenza. Tuttavia capiva anche lui che la situazione era disperata, e anche se il Coroner aveva giudicato la morte compiuta da ignoti, il signor Rhodes temeva che da un momento all’altro potesse essere arrestato con l’accusa di omicidio di primo grado. Il bello è che lui stesso non sapeva spiegarsi come ciò era potuto accadere, tanto più che non aveva visto nessuno entrare nella camera della vittima tranne la cameriera. Cameriera che però non aveva alcun legame con la vittima, tanto che questa possibile pista, dopo tutte le ricerche possibili, era stata abbandonata dalla polizia. E allora?
Miss Marple, dopo aver sentito la storia, individua quattro possibili soluzioni:
suicidio; uxoricidio; omicidio da parte della cameriera; omicidio da parte di un certo signor X.
Ma comunque, se fosse stata provata la presenza di un signor X, lui come avrebbe fatto ad introdursi nella stanza della signora, ucciderla, uscire e lasciare la stanza chiusa dall’interno?
Per di più, testimoni diversi, degni di nota, avevano affermato sotto giuramento, che nessuno sconosciuto era entrato nella camera della vittima, nel lasso di tempo, durante il quale essa era stata uccisa.
Miss Marple interroga il marito della vittima su possibili persone che avrebbero potuto uccidere la moglie, e così viene a sapere che lei non aveva nemici, e che era una ipocondriaca, e che per tale motivo il marito, a tutto quello che lei diceva, dava poca importanza. Nonostante ciò, tra le tante cose che la moglie aveva raccontato al marito, ce n’era una che avrebbe potuto spiegare il delitto: anni prima la signora Rhodes, quando era ancora nubile, aveva investito con l’automobile una bambina e la madre aveva giurato che gliel’avrebbe fatta pagare. Tuttavia una possibile vendetta non si spiega nella persona della cameriera, perché non ha mai avuto figli e poi è anche deficiente o quasi: eppure è la sola persona che sarebbe potuta entrare in quella camera.
Miss Marple riflette, e dopo aver preso visione (nella sua mente) dei luoghi, venendo a sapere che gli usci di entrata delle due stanze intercomunicanti non si affacciavano su uno stesso corridoio rettilineo, come aveva capito in un primo tempo, ma su uno che continuava ad angolo retto e le due porte si trovavano immediatamente una prima e una dopo l’angolo, e quindi gli eventuali testimoni assicuravano la loro testimonianza solo per uno dei due usci e non per l’altro, elabora una sorprendente soluzione, che ancora una volta lascia a bocca aperta, che risolve l’enigma salvando dal capestro il signor Rhodes, ed indica l’assassino in una tra due signore pure dimoranti presso l’Hotel e che sarebbero potute essere, o l’una o l’altra, la madre vendicatrice, così come risolve l’enigma della Camera Chiusa, ricorrendo ad una messinscena che si basa su uno scambio di persona. Null’altro dico per non togliere il piacere di leggere il racconto che, in una decina di pagina, consente di cogliere ancora una volta la sottilissima e pungente vena di una delle 4 Queens del crimine inglesi.
La soluzione non è solo un miracolo di deduzione ma anche di applicazione psicologica: infatti, spiega come mai qualcuno abbia visto entrare qualcuno, eppure dica di non aver visto entrare sconosciuti. Com’è possibile ciò senza incorrere nello spergiuro? Eppure è possibile, se chi si è visti entrare non è riconosciuto essere uno sconosciuto, ma una persona che in quel corridoio era naturale che ci fosse e che entrasse. Come poi sia riuscito a lasciarsi dietro una porta chiusa non solo con la chiave ma anche col chiavistello, è un altro miracolo di logica. In questo caso, per capirne l’andamento, deve ancora capirsi che sono entrate in gioco due persone diverse: questo è il nocciolo della questione! Due persone diverse, che non hanno agito però in complicità: in altre parole una è innocente e l’altra è colpevole. Eppure entrambe hanno avuto la loro parte nell’evoluzione del delitto. E se la prima non avesse fatto quello che ha fatto, la seconda non avrebbe potuto uccidere la donna ed eclissarsi come nulla fosse.
E’ inutile: ancora una volta, il miglior procedimento per lasciarsi una porta chiusa alle spalle ed una vittima in una stanza, senza che si possa a prima vista pensare alla soluzione più pertinente, è far agire due persone che agendo assieme, devono porre in essere una messinscena. La particolarità di questa è che è una messinscena per metà: nella prima parte, il soggetto interpreta realmente il suo compito, mentre nella seconda parte è l’assassino che imita il continuarsi di un’azione che di per sé sarebbe già bella e conclusa. Tuttavia la particolarità dell’azione è data da un fatto che sfugge al ragionamento del marito: cioè che il primo soggetto, quello vero, esce per la stessa porta da cui è entrato il secondo, che si è nascosto in un certo locale, senza che il primo se ne accorgesse. Così si ha un iter del genere: il soggetto 1 entra nella prima stanza, quella del marito, e da questa passa nella seconda, quella della moglie, e dopo aver fatto quello che ha fatto, nel cui mentre entra il soggetto 2 che si nasconde, esce dalla porta che da sul corridoio, mentre a questo punto il secondo soggetto, dopo aver fatto quello che deve fare, ed aver chiuso la porta dietro di sé col chiavistello, esce passando dalla stanza del marito ed esce nel corridoio dall’altra porta. In questo uscire ed entrare, una porta è rimasta chiusa dall’interno ed un’altra no.
Anche l’individuazione tra le due donne della colpevole è basata sulla psicologia, cioè sull’accentuazione di un difetto di pronuncia  - che avrebbe avuto un senso in una persona anziana e non in una più giovane, usando un determinato strumento ortottico, - e che quindi si era accentuato per evitare di essere riconosciuti.
Una sola caratteristica, il racconto sacrifica: la tensione. Che non può esserci, perché ovviamente le pagine di cui il racconto si compone sono talmente poche, che essa non ha il tempo per affermarsi, per crescere e magari per esplodere. E perché gli stessi personaggi, sono ovviamente ridotti all’osso: eppure, nella sua estrinsecazione, il racconto raggiunge vette inusitate, per essere riuscito nell’impresa di consegnarci un piccolo miracolo di introspezione e di intelligenza.


Pietro De Palma

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