mercoledì 18 maggio 2016

C. Daly KING : LA MALEDIZIONE DELL’ARPA (The Episode of the Vanishing Harp,1935) – trad. Dario Pratesi – I Bassotti, Polillo, N.54, 2008


Quando uscì, non lo presi. Il motivo è semplice: è un racconto, seppure lungo, e 8,90 euro
a parere mio non giustificavano quella spesa, tanto più che allora un Classico del Giallo costava la metà (ora non più). Tuttavia la ragione vera era un’altra: speravo che prima o poi l’intera collezione dei racconti di Mr. Tarrant sarebbe stata disponibile ad un prezzo inferiore, cioè nella Collana de I Classici del Giallo Mondadori, in cui allora gli inediti del Mystery uscivano non di rado.
Poi scomparve dalle librerie, e io, anche se avessi fatto un passo indietro e avessi nutrito la velleità di acquistarlo, non avrei potuto; e così è stato fino ad ora.
Perchè comprarlo ora, allora? Per due motivi: innanzitutto perchè mi si è offerta la possibilità di prendere parecchi volumi che mi erano sfuggiti alcuni e altri li avevo un po’ messi da parte preferendo degli altri,  per una svendita operata da una Libreria di Firenze; e poi perchè, nonostante una presa di posizione – a cui ho contribuito io stesso dando una mano sul Blog del Giallo Mondadori – di Mauro Boncompagni, che alle richieste circa la scomparsa nei proclami di inzio anno della pubblicazione dell’antologia di Daly King, ha risposto con un atto di fede nelle promesse passate di Forte, io non credo più a questa possibilità.
Nonostante dovunque si registri una renaissance nei confronti della letteratura poliziesca della Golden Age, dagli USA dei romanzi pubblicati da Crippen & Landru e John Pugmire, all’Inghilterra della recente vittoria di uno scrittore e critico come Martin Edwards che ha affrontato di nuovo la Golden Age, dopo che già John Curran con Agatha Christie e Curtis Evans ( statunitense) ancor prima con Connington e Rhode avevano posto l’accento sul rinnovato interesse dei lettori e degli sudiosi sul fenomeno Golden Age, in Italia si è restii ancora a condividere questo motus. Soprattutto in casa Mondadori. Soprattutto nelle collane da edicola.
Oramai mystery se ne vedono sempre più col lanternino : questo mese c’è un Freeman inedito (dovrò chiedere di nuovo ad Alberto Cottini che acquisti una copia per me e me lo spedisca, giacchè dalle mie parti, Bari, i Classici non arrivano più ), ma oramai quando vedi un Mystery uscire in Mondadori non c’è l’entusiasmo di una volta ma una specie di disincanto.. E’ per questo, che non credendo che esca più la traduzione italiana integrale di The Complete Curious Mr. Tarrant (o almeno in fondo in fondo auspicandolo ma non credendovi molto), ho afferrato al volo almeno l’occasione di leggere uno dei racconti di Daly King (un altro, pure pubblicato da Polillo, era stato raccolto nell’antologia “I Delitti della Camera Chiusa”: L’episodio del chiodo e del requiem)
Tarrant, che è un investigatore molto particolare, che ricorda molto Philo Vance (non a caso Daly King è un vandiniano della prima ora), e infatti si interessa di archeologia, psicanalisi (guarda caso come lo stesso Daly King che ne era un affermato studioso), pittura, fisica, e altri piaceri intellettuali, e che vive di rendita, presta gratis i propri servigi a chi possa solleticargli la curiosità sottoponendogli quegli enigmi così astrusi e così pazzeschiche nessuno riuscirebbe a risolvere. A patto che tuttavia lui, l’investigatore, sia libero di fare quello che voglia pur di arrivare alla soluzione. Del resto il fatto di non essere pagato è conditio sine qua non per cui Tarrant si ritenga scevro da qualsiasi contratto e da qualsiasi imposizione. Lavora secondo i propri metodi, che non sono quelli della polizia, che non sopporta, nonostante finisca spesso per agevolare con le sue collaborazioni (anche Philo Vance critica il metodo della polizia: per es. in The Benson Murder Case).
Qui il narratore, che parla in prima persona e presenta Tarrant in terza, rimanendo nell’ombra (come nei romanzi di Van Dine, guarda un po’…) introduce Daben Donatelli, suo compagno più grande di due anni di College, favolosamente ricco, e sposato con Molla, una donna bellissima e ricca e di origini irlandesi. Daben possiede un’arpa antichissima, parecchio simile alle arpe “nanga” egizie, la cui storia affonda nella leggenda quasi e che è legata alle vicende del clan di cui è discendente Daben. A tal punto che qualcuno nel XII secolo aveva buttato giù una profezia legata al destino dell’arpa, in base a cui quando di nuovo il matrimonio che si era tenuto al tempo tra un antenato di Darben e la sua sposa si fosse ripetuto, e l’arpa fosse scomparsa per poi apparire e di nuovo scomparire, la casata dei Daben si sarebbe estinta per sempre.
Ora il fatto saliente è che l’arpa è scomparsa. Da un bunker in cemento armato, in cui è posta la biblioteca di casa, fatto costruire all’interno della villa in cui vivono Daben e sua moglie (discendente della moglie dell’avo di Daben), cui si accede per tramite di un pannello segreto, l’ubicazione del cui meccanismo di apertura è noto solo a Darben stesso, e in cui non vi sono finestre, ma solo è presente un impianto per il condizionamento dell’aria, le cui aperure sono tali che non potrebbe passarvi neanche un topo.
Tarrant accetta di recarsi alla villa di Daben, ma quando arriva, neanche il tempo di prendere coscienza dei luoghi, e…l’arpa viene trovata, nella gioia di tutti, compreso il padrone di casa. Alla sua villa non si trovano solo lui e la moglie, ma il segretario Stuart (quando c’è un uomo ricco o una donna ricca, c’è sempre il segretario), Brinkerstall un finanziere tutore della moglie di Daben, il dottor Turpington e sua moglie, e il personale di servizio. Per un puro caso, mentre sta per scendere a cena, Tarrant capta sul suo piano un colloquio tra Molla e Stuart, da cui capisce che tra i due c’è del tenero,
La presenza di Turpington e di sua moglie è legittimato dal fatto che Molla è preda di crisi nervose: la sparizione dell’arpa connessa con la maledizione espressa dalla profezia, per lei che è molto legata alle tradizioni di famiglia è divenuta ulteriore forma di frustrazione psicologica ed emotiva, e per questo Turpington, che è un amico di famiglia, l’ha invitata ad accompagnare lui e sua moglie in crociera, per “staccare” dall’atmosfera che si vive in quelal villa.
Oltre questo…nulla che possa spiegare la ricomparsa dell’arpa, inspiegabile, come tale era stata la scomparsa. Chi mai sarebbe riuscito a far scomparire un’arpa, cioè un oggetto voluminoso, di legno, simile ad una specie di cetra, ma dalla forma a goccia, da una stanza impenetrabile?
Tarrant entra con Daben nella stanza e la esamina a fondo, ma non trova nulla: solo libri, e modelli di imbarcazioni, nella cornice in alto, sopra gli scaffali della libreria. Esamina le pareti, esamina il tappeto, esamina gli scaffali, ma non trova nulla.
Intanto la vita va avanti nella villa tra cene e partite a bridge. Ma proprio una sera che c’è stata un partita e Tarrant ha visto il pannello davanti a lui aprirsi e chiudersi e poi aprirsi e chiudersi quando Daben è passato avendo sotto le braccia un modellino di barca che deve riparare, sul più bello, quando Molla vuole vedere ancora una volta l’arpa al suo posto…l’arpa non c’è più. Inutile guardare dappertutto e riesaminare scaffali e quant’altro: l’arpa non compare. Tarrant giunge persino a vedere se vi siano impronte, sulla teca di cristallo che dovrebbe contenerla, non trovandone neanche una.
Dopo un viaggio a New York, e dopo che si è barricato una notte nella biblioteca, temendo che qualcuno attenterà alla sua vita, se è vero quel che pensa, l’impossibile avviene: a mezzanotte inoltrata Tarrant perde i sensi e chi entra silenziosamente si accerta che lui sia morto. Quando però Daben entra di mattina e si accorge che Tarrant è esanime, corre sopra a chiamare il medico; ma quando tornano precipitosamente, trovano Tarrant vivo e vegeto che impugna una pistola, che impone ai due di raccogliere i presenti, e alla loro presenza  individua il colpevole, rivela come l’arpa sia scomparsa e ricomparsa, e infine concede una via “di fuga” al quasi omicida, ponendogli come alternativa all’arresto, il suicidio col veleno.
Notevole racconto, si impone subito per la struttura narrativa che non è “da racconto” classico: quando pensiamo ad un racconto “anni trenta”, pensiamo a qualcosa che per forza di cose deve rinunciare ad una introduzione, ad una descrizione approfondita dei personaggi e delle loro avversioni tale da introdurre ad un delitto, ma deve introdurre subito, senza preamboli approfonditi, al delitto. Beh, questo nel racconto di Tarrant non c’è, perchè è un romanzo in miniatura: ha una introduzione in cui il narratore (dicevamo in prima persona) introduce il personaggio chiave, Mr. Tarrant, descrivendolo; descrive colui che si rivolge all’investigatore, il suo milieu e la ragione pratica per cui lo fa, cioè l’arpa; descrive l’arpa ed il momento storico a cui si riferisce, che a sua volta deve poi legittimare la profezia su cui si basa la maledizione; infine passa allla  descrizione dei personaggi  e dei luoghi in cui si svolge l’azione, e all’azione vera e propria.
L’azione che è il cloux del racconto, lo assimila al genere della Camera Chiusa. Non è però la Camera Chiusa che troviamo nella maggior parte della produzione, cioè in cui in un camera chiusa o in uno spazio delimitato (i puristi americani si oppongono a questa seconda possibilità parlando di Delitto Impossibile: neve, sabbia, polvere, isola in mare aperto) avviene un delitto, bensì è solo la sparizione di qualcosa che tecnicamente è impossibile che scompaia (e in questo caso ricompare per scomparire di nuovo) da uno spazio chiuso senza che qualcuno se ne accorga. Carr vi ricorse nelle ultime opere con Merrivale (The Cavalier’s Cup per es.) e in alcuni racconti o radiodrammi: per es. quello in cui una persona viene pugnalata a morte in una piscina, mediante un pugnale che svanisce, come invisibile parrebbe che fosse l’assassino (The Dragon in the Pool, 1944). Anche altri autori vi sono ricorsi: per es. la sparizione impossibile di una spada, in The Bishop’s Sword di Norman Berrow. Per certi versi, la sparizione dell’arpa, la ricomparsa e la nuova sparizione, sono molto simili al pugnale che è scomparso da una camera senza lasciare traccia: è evidente che se non è uscito, deve essere lì. Ma dove? L’abilità di King è proprio lì, piuttosto che nella scoperta del colpevole che è più semplice. Oltretutto, c’è un dato riconoscibile che assimila il racconto proprio al suo creatore: il movente è da ricercarsi in una personalità distorta, la cui affezione è spiegata in quanto  patologia psichiatrica. In questo dato, riscontriamo un’ulteriore vicinanza della copia col suo archetipo, che è Van Dine: al di là dell’evidente caratterizzazione dell’investigatore privato che sa tutto (Mr Tarrant è molto vicino a Philo vance), e alla presenza del narratore amico che narra in prima persona ma rimane sempre nell’ombra, un’ulteriore prova che Daly King fosse un vandiniano, in questo racconto, è dato dalla personalità dell’assassino (perchè non ha esitato a uccidere Tarrant) di cui l’investigatore trova un indizio leggendo un libro, proprio come in The Greene Murder Case: lì leggendo Handbuch für Untersuchungsrichter di Gross, qui Emozioni nelle persone normali, di A.M. Marston. E come in quel caso Philo Vance concede all’assassino la possibilità di uccidersi, così fa Tarrant qui.

P. De Palma

venerdì 6 maggio 2016

Charles Ashton: Veglia Tragica (Dance for A Dead Uncle, 1948) - trad. Aldo Albani - I GRANDI GIALLI Pagotto, Anno I, N.3, 1949


Le mie battaglie sul Blog Mondadori mi hanno portato pochi amici, in Italia.

Potrei dire: pochi ma buoni. Ma è innegabile che vorrei tanto ampliare la mia cerchia di conoscenze, perchè ho sempre detto, e ne sono convinto, che più persone conosci più stimoli ricevi (ammesso e non concesso che loro pensino la stessa cosa di te).

In tanti anni posso dire di esser  amico di Igor Longo, ma da prima che fosse istituito il Blog; di essere in rapporti di conoscenza interessata con Mauro Boncompagni; di conoscere Fabio Lotti. Sono amico di Luca Conti. Tiziano Agnelli è un altro amico, come pure lo sono Sergio Angelini in Inghilterra (svolge lo stesso mio lavoro e ha un bellissimo blog in inglese di Crime Fiction: My Tipping Fedora), Curtis Evans (The Passing Tramp) e John Pugmire, soprattutto (L.R.I.), in America. Sono in rapporti anche con Martin Edwards, fresco vincitore di un Edgar Award 2016: bellissimo anche il suo blog  ( http://www.doyouwriteunderyourownname.blogspot.it/ )

In Italia, soprattutto negli ultimi tempi, ho approfondito la conoscenza di Alberto Cottini, che sento parecchio, tenendo conto che abitiamo si può dire agli antipodi in Italia.

Alberto l'ho conosciuto prima su Anobii sul quale è conosciuto con un suo nickname, e poi, apprezzando le sue uscite e vedendo che lui apprezzava le mie, ho voluto conoscerlo privatamente scrivendo e rispondendo alle sue email. Così è nata una nuova amicizia, seppure per tanta parte epistolare. Abbiamo gusti e passioni in gran parte simili, e ci piacciono pure gli stessi autori di Mystery. E così va a finire che spesso ci scambiamo o ci procuriamo vicendevolmente libri.

Ultimamente lui ha voluto stupirmi e mi ha inviato un romanzo molto raro in Italia, di cui avevo letto una sua succosa introduzione su Anobii: VEGLIA TRAGICA, di Charles Ashton. Già per questo dovrei innalzare una statua ad Alberto nel mio immaginario Pantheon (solo per avermi fatto leggere questo romanzo!).

Il romanzo lo avevo spulciato parecchie volte nelle liste di Gialli Pagotto, quando mi era capitata l'occasione ma, devo riconoscerlo, non mi aveva sollecitato granchè, perchè quel nominativo non mi diceva nulla. I Gialli Pagotto, storica serie degli anni '50, propose una serie inimitabile di capolavori francesi, ma in aggiunta propose anche qualcos'altro, tra cui appunto tale romanzo. In tempi più recenti avendone compreso il valore ho tentato di trovarlo, ma i risultati sono stati deludenti, perchè è abbastanza raro ed il costo, a trovarlo, sarebbe anche abbastanza alto.

Dico subito che confermo in toto la sua introduzione su Anobii: si tratta di un capolavoro del genere, e quello che più fa rabbia, è che pochissimi lo conoscono e a nessuno a Mondadori è mai venuto "il ghiribizzo"  di presentarne la traduzione integrale (quella di Aldo Albani lo è parecchio, ma non credo tutta). Bisogna dire in tutta verità che il suo autore, Charles Ashton, non è che sia molto conosciuto, anzi.. Persino su Gadetection (1), il sito specialistico più conosciuto al mondo, le notizie biografiche a suo riguardo sono nulle. Su Classic Crime Fiction invece si trova solo che "Charles Ashton, born 1884, had one main series character, Jack Atherley. Other than this we know little else". Nient'altro. Oltre ovviamente ai suoi romanzi, dieci in tutto : Murder in Make -Up, 1934; Tragedy After Sea, 1935; Death Greets a Guest, 1936; Calamity Comes to Flenton, 1936; Stonde Dead, 1939; Death for Two, 1940; Here's Murder Done, 1943; Fate Strikes Twice, 1944; Murder at Melton Peveril, 1946; Dance for a Dead Uncle, 1948.

Il romanzo di cui voglio parlare è l'ultimo della sua produzione: Dance for a Dead Uncle. Ignoro quale sia il livello dei precedenti romanzi, tranne che di Death Greets a Guest che mi hanno detto essere abbastanza interessante; tuttavia il livello di questo romanzo, è veramente alto.

John Ormesley è morto. Di morte naturale.

Qualche tempo prima della sua morte aveva cominciato ad interessarsi di sedute spitiche, per l'interessamento di un suo amico, il Maggiore Repford. Ma tali suoi interessi erano stati disapprovati dai suoi nipoti, soprattutto i due fratelli Philip e Harold che si occupavano dell'azienda di famiglia, e che erano figli di un fratello del vecchio; gli altri tre nipoti più giovani ( figli di una sorella) Francis, Desmond e Stanley, invece erano più distaccati e non avevano in alcun modo criticato gli interessi spiritistici del vecchio. 





Nel testamento, quantomeno bizzarro, il vecchio dispone che i due nipoti più grandi a turno debbano vegliare la sua bara al buio rischiarata solo da quattro candele ai quattro lati di essa, in una stanza completamente chiusa: e motiva questo, col fatto che il suo spirito voglia apparire ai due nipoti increduli; gli altri nipoti invece verranno risparmiati. Anzi lo zio invita gli altri a ballare al suon di musica al suo funerale, perchè egli pensa che la sua vita nell'oltretomba sarà felice. E vuole anche che nessuno si vesta a lutto ma come se andassero a fargli una visita.

Tale volontà, che sarà esplicitata da Hallerton il legale del vecchio una volta che tutti si saranno riuniti a casa Ormesley, presuppone che nel caso in cui i due rifiutassero potrebbero essere esclusi dai lasciti, che essendo stato lo zio favolosamente ricco, potrebbero essere parecchio generosi. In realtà, come testimonierà più tardi Hallerton, la volontà è un trabocchetto, l'ultimo tiro fatto dallo zio ai nipoti, perchè anche se avessero rifiutato non sarebbero stati esclusi dall'eredità. Tuttavia questo loro non lo sanno, e il tutto provoca le loro rimostranze e lo loro critiche: soprattutto è Clara, la moglie di Harold e Philip il fratello più grande, che criticano apertamente il valore blasfemo della richiesta, insistendo sul fatto che ballare ad un funerale è per loro un' offesa a Dio. Nonostante ciò, se Clara si ritira a pregare una volta arrivata a The Grange, la tenuta degli Ormesley, gli altri si riuniscono per parlare e discutere: Philip e Harold nonostante abbiano paura, sono ben decisi a non farsi fare fuori dall'eredità e quindi decidono di ottemperare alla richiesta del morto: prima Philip (alle 22), poi suo fratello (alle 22,05) dovranno restare da soli assieme al morto, al buio, nello studio, mentre gli altri dovranno riunirsi nella libreria per testimoniare che Philip e Harold siano effettivamente entrati a turno nello studio.

Intanto che Stanley e Cicely, la moglie di Philip, vanno a fare una passeggiata in giardino e vengono sorpresi mentre si stanno baciando (hanno una tresca) da una cameriera senza che loro se ne accorgano, gli altri sono tutti dentro. Arriva il Maggiore Repford, amico del vecchio, che lo ha instradato alle pratiche spiritiste. Subito capisce che la sua visita non è gradita perchè imputano a lui le passioni spiritiste dello zio e poi quanto ne è derivato.  

Ad un certo punto si sentono tre forti colpi, che sembrano a Durblin il vecchio maggiordomo, i tre colpi che il vecchio Ormesley soleva fare con un bastone per richiamare la sua attenzione. Nessuno sa capacitarsi chi li abbia fatti e da dove vengano. Cicely è rientrata ma Stanley va a vedere che fine abbia fatto Harold. Non vedendo nè Harold nè Stanley, mandano a cercarli Francis.

Harold non trova meglio che ubriacarsi in un bagno del primo piano mentre suo fratello Philip entra nello studio alle 22.00. Francis intanto torna dicendo che non ha trovato i due, ed è trascorso qualche minuto che si sentono di nuovo  i tre colpi provenienti questa volta da dentro la stanza seguiti da un orribile gemito, cosa che fa rizzare i capelli a tutti. I 5 minuti terminano e Philip non esce. Battono alla porta, lo chiamano ma nessuno risponde. Intanto scende Francis dicendo che non ha trovato Harold, e sapendo la notizia, avendo provato ad aprire la porta invano, Francis propone di fare il giro e cercare di entrare dalle finestre:lui, Hallerton e Desmond fanno il giro e trovano i battenti della finestra chiusi. Desmond rompe con una gomitata il vetro e quindi penetrano nella stanza rischiarata dalle quattro candele poste agli angoli del catafalco: agli angoli di uno dei cavalletti, appoggiato ad uno di essi è seduto Philip, con una corona di fiori in testa ed una fotografia del vecchio Ormesley posta sul petto. E' morto ucciso da un colpo di lancia alla schiena, e l'arma si trova per terra invece che in una panoplia sul muro, con la lama giocciolante di sangue. Per terra un fazzoletto di John  Ormesley. 

Philip è stato assassinato. In una stanza ermeticamente chiusa.

Intanto arriva barcollando Harold che dice di essere stato da Clara, e che vuole entrare nella stanza per non essere estromesso dall'eredità. Glielo impediscono e lo mettono al corrente della situazione.

Chiamano la polizia ed arriva l'Ispettore Lessington della Polizia di Contea, che si trova subito a malpartito: dalle testimonianze riscontra come tutti coloro che sono in casa erediteranno, e che nessuno avrebbe potuto avere a che fare col delitto perchè se Clara era in camera sua e Harold troppo ubriaco per camminare, Stanley era in casa di sopra a cercare Harold e Francis a cercare loro due, e gli altri in libreria, chi mai avrebbe potuto uccidere Philip dato per di più che è avvenuto in una camera chiusa dall'interno e la cui finestra era chiusa?

Al di là di questo trova delle testimonianze che mal si intrecciano: Harold dice di essere stato con Clara e lei invece afferma di essere stata sola; Harold sarebbe invece stato ad ubriacarsi in un bagno dove l'indomani mattina il personale di servizio ha trovato una bottiglia di whisky vuota; e Stanley mentre fa capire di esser stato sopra, perchè la testimonianza di Clara si intreccia alla sua, non sa come spiegare il fatto del suo ritardo. E del resto Francis è stato al piano di sopra perchè hanno trovato per terra il suo portasigarette.

Più va avanti più Lessington non cava un ragno dal buco tanto più che a delitti strano non è abituato chi al più ha arretato ladri di galline, e perciò non trovano di meglio che allertare Scotland Yard da cui mandano a supportarli l'Ispettore del C.I.D. Merton. 

Merton appena arrivato comincia ad interrogare tutti, nessuno escluso: persino Durblin, il maggiordomo, il Maggiore Repford e il medium che aveva partecipato alle sedute di Ormesley.

Viene a sapere tutta una serie di cose soprattutto su Philip, che non era certo amato: la moglie che gli era infedele non riusciva a sopportare la sua pedanteria; col fratello aveva avuto dei dissidi; teneva in scacco Francis che non ne poteva più di restare nell'azienda di famiglia da lui diretta (ma intanto non se ne andava); gi altri cugini non lo sopportavano; e persino il maggiordomo lo temeva per un fatto accaduto nel passato, quando si era scoperto che aveva sottratto degli spiccioli del vecchio Ormesley, che però lo aveva perdonato (ma Philip, cui era stato ordinato di non intromettersi, no). Poi nel luogo di lavoro era odiato per come aveva trattato le persone a lui sottomesse, compreso Francis, quando delle banconote erano sparite dal cassetto della scrivania, trattandole da ladri, salvo trovarle nell'intercapedine dietro al cassetto.

Tuttavia niente sembra muoversi. Eppure Merton comincia a pensare ad una eventualità, legata ad una stanza dietro al caminetto dove sono custoditi degli utensili da pesca. Poi è da annoverare che scompaiono Stanley, che va via senza avvisare nessuno, e Buckley, il medium. Quando si pensa che c'entrino qualcosa, rientrano e si mettono a disposizione. Si viene a sapere che Buckley la notte dell'assassinio era andato a casa del Maggiore e da qui era partito per The Grange (per trovarlo), dove era arrivato ed era stato visto dirigersi verso la casa, salvo poi in un secondo tempo andare via ; Stanley, interrogato da Merton separatamente, quando si pensi che c'entri con la morte, fornisce invece un altro chiarimento: i secondi tre colpi di bastone ed il lamento, li ha prodotti lui, al piano di sopra, nella camera del vecchio, battendo sul pavimento con le scarpe della vittima che sono state ritrovate dal vecchio Durblin buttate sotto una sedia invece che riposte come aveva fatto lui ordinatamente. Merton viene a sapere che nello studio erano stati accumulate molte corone di fiori in una parte dello studio al buio, laddove c'era una poltrona: quando si era entrati nella stanza non ci si era preoccupati di essi. Con Francis Merton formula la prima ipotesi, che l'assassino fosse dentro la stanza quando essi erano entrati, occultato sotto i fiori, e poi quando fossero usciti per chiamare la polizia, fosse riuscito a sgusciare via attraverso la finestra aperta.

La sera seguente, riuniti tutti, formulerà una seconda ipotesi che sconfesserà la prima, inchiodando un assassino astutissimo, disorientato da una teoria, la prima, formulata allo scopo precipuo di ingannarlo.

Romanzo bellissimo, si legge tutto d'un fiato. Si regge da solo su un'atmosfera allucinata, che presupporrebbe un intervento soprannaturale, perchè solo esso potrebbe spiegare la morte di un individuo colpito da un colpo di lancia alla schiena, dentro una stanza sigillata, in cui c'era solo una bara, con morto stecchito al di dentro. Come non pensare alla vendetta di un morto, arrivato dall'aldilà? Posto che la prima cosa cui si sarebbe dovuto guardare è che il morto ci fosse davvero nella bara e nessuno vi guarda fidandosi che il morto davvero vi sia (e c'è!) , e posto che nessuno, non sentendo che Philip non risponde, senta il bisogno che tutti sentirebbero, cioè abbattere la porta, interrogativo che si pone il buon Merton, anche qui la successione dei fatti, anche se l'assassino è uno solo, è spiegata e spiegabile solo riconoscendo come vi sia il concorso di due azioni, ognuna però a sè: l'assassinio e la produzione dei primi falsi tre colpi, la produzione dei secondi tre falsi colpi e lamento: Stanley e l'assassino non sono complici, ma hanno agito tutti e due in danno di Philip: il primo, volendo farlo spaventare , perchè non lo sopporta; il secondo per legittimare un intervento soprannaturale cui poi dovrà essere addebitato anche l'assassinio. Il bello è che anche l'assassino, quando sente i colpi provocati da altra persona, si spaventa a sua volta.

Quindi anche qui c'è una messinscena.

La soluzione è altamente spettacolare: mi ha ricordato in un certo modo quella di Whistle Up The Devil di Derek Smith, per un particolare della soluzione comune ai due romanzi, che è concernente il ruolo della finestra:  per come si è sviluppato l'assassinio, non essendoci altre uscite oltre porta e finestra, se la prima era sorvegliata da più persone ed era chiusa, è indubitabile che l'assassino sia entrato ed uscito dalla finestra: è ovvio! Ma come ha fatto? Il trucco è straordinario. 

In un primo tempo Merton controlla che la maniglia non possa essere stata fatta girare da sola, mettendola dritta in verticale e poi sbattendo la finestra dall'esterno, provocando uno scossone provocante la sua ricaduta orizzontale; poi capisce il trucco, mettendolo in connessione con la stanza delle canne da pesca, la cui finestra dava sul giardino vicino alla finestra dello studio. E' evidente che sia stata preparata prima la finestra (non c'è nessun pannello staccabile con lo stucco, o scorrevole, nè tantomeno molle segrete, come in lavori di Carr) e solo uno poteva farlo, uomo o donna.

Del resto, alla riuscita di questa Camera, è funzionale anche l'orario: alle 22 di sera c'è buio ed il buio ha giocato a favore dell'assassino, che ha rischiato grosso pur aiutato dalla poca luce, approfittando che chi era presente allla rottura del vetro non vedesse quello che avrebbe visto con più luce (sgombro tuttavia da ogni dubbio il fatto che il battente il cui vetro era stato rotto fosse effettivamente sano prima dell'intervento).

Mi vien da dire, che come ha detto anche Alberto nella sua recensione su Anobii, questo romanzo è immeritatamente sconosciuto e tale risulta anche nelle maggiori liste; e che risale al 1948, un periodo in cui la grande tradizione degli anni '30 era già dimenticata, e si stava affacciando la nuova messe giallistica, basata non più su enigmi cervellotici ma anche e soprattutto psicologici. E qui di psicologia ce n'è tanta, e tanta deduzione! Solo Bob Adey e Jack Adrian riportano l'esistenza di questo romanzo nel loro Locked Room and Other Impossible Crimes, pur senza fornire alcuna notizia di carattere biografico.

E' tuttavia un romanzo della fine degli anni '40 che potremmo dire chiuda in bellezza una serie, di cui vorremmo leggere altri titoli o avere notizie in merito. E' come se fosse stato inteso come una chiusura di un'epoca con un enigma super anni trenta, in un periodo però che nonostante le nuove spinte editoriali, vedeva titoli ancora di grande respiro: come non ricordare che proprio il romanzo di Derek Smith (il più conosciuto, che poi è stato il primo ad essere pubblicato ma non il primo ad essere stato scritto) è del 1953, e grandi successi di Carr sono di quegli anni: He Who Whispers del 1946, The Sleeping Sphynx del 1947, Below Suspicion del 1948? E che A Graveyard to Let, con H.M., è del 1949  ed è uno dei migliori romanzi con Merrivale (ne parleremo prossimamente)? E che The Woman in the Wardrobe dei fratelli Shaffer è del 1951? Mentre What A Body! di Alan Green è del 1949?

La cosa che mi sembra assolutamente vergognosa, e lo rimarco, è come questo autore avrebbe meritato ben altra notorietà ed invece anche in Inghilterra è praticamente uno sconosciuto. E quindi devo riconoscere ancora una volta come la lungimiranza di chi mise in piedi la Serie  de "I Grandi Gialli" Pagotto fosse davvero grande (ancora maggiore quando vedo che il romanzo è del 1948, e la pubblicazione italiana è di un anno dopo, segno che chi stava dietro la serie o aveva il privilegio di leggere ottimi autori o aveva dei grandi consulenti stranieri)!

Tanto più che nello stesso meccanismo della soluzione c'è un'idea geniale  che al tempo stesso è di una semplicità disarmante. Che in ultima analisi mi fa dire che proprio quelle soluzioni più semplici di enigmi insolubili, fanno rimanere più a bocca aperta e riflettere su un fatto:

Ma come ho fatto a non pensarci prima? Perchè la bravura dello scrittore sta ad evitare che il lettore pensi proprio a quello.



SENSAZIONALE.



Pietro De Palma

(1) Successivamente alla stesura di questo articolo, e soprattutto della presentazione dello stesso in inglese nel mio blog DEATH CAN READ (parecchio conosciuto in ambito internazionale), un amico di Chicago, John Norris, che ha il bellissimo blog "Pretty Sinister Books" molto simile per concezione al mio, è riuscito con un'intuizione che io non avevo avuto, a dare un'identità ad Ashton, trovando alcune notizie biografiche dell'autore su una delle sue opere, nel catalogo di un editore. Ecco il suo commento:
 ASHTON, Charles (Charles Henry), 1884-1968 STONE DEAD. London : Mellifont Press, [1944]. [Second edition]. A country-inn mystery from photographer, war-hero, silent movie star and ultimately crime-writer Charles Ashton. Originally published by Robert Hale in 1939. Crown 8vo (18cm). 96pp.

AHA! He was an movie actor. Off to imdb.com. Enter Charles Ashton and look for the one with silent movie credits. Lo and behold! a full biography on Charles Ashton:

"British actor Charles Ashton became an actor not long after receiving a medical discharge from the army due to injuries he received at the Battle of Ypres in World War I. He made his film debut in Pillars of Society (1920). He appeared in a string of films for such well-known directors as Maurice Elvey and Victor Saville. Ashton was one of the many silent-era actors whose career ended with the advent of sound, and he made his last film in 1929. However, he did begin another career as a successful novelist in the 1930s and 1940s, mostly of crime thrillers."




mercoledì 4 maggio 2016

Hake Talbot : Terrore nell’Isola – trad. A.M.Francavilla – I Classici del Giallo Mondadori N. 731 del 31 gennaio 1995 – pagg.223







“An Island Called The Kraken”

THE CRASH OF THE SEA on the rocks was the first sound Nancy heard. She found herself, still dressed in her evening gown, lying across the foot of the bed. It was nearly a minute before she realized she was in the room given her on her arrival at The Kraken that afternoon. The girl pulled herself to her feet and groped her way toward the dim outline of the window. The wind that had lashed the Carolina coast since sundown was beginning to die, but the night was still dark. Nothing could be seen but the white crests of the breakers below.

Nancy stood for a minute gazing out into the night, wondering idly what time it was and why she had not undressed. All at once she became aware of the fact that she had no answer to these questions or to a dozen others. Everything that had happened since dinner was as blank as though she had fainted at the table and been carried up to bed.

Earlier events seemed clear enough: the end of the long drive from New York; the shining mahogany speedboat; the island itself, so curiously named The Kraken, and seeming strangely rocky against the low shore only a quarter of a mile away; the great stone house; the unexpected nature of her fellow house guests; the storm, with its attendant doubts for Rogan’s safety; and the curious incident of the broken mirror.

Yes, all that stood out sharply in her mind. She could even recall the beginning of dinner, with Jack Frant’s lean little figure looking so out of place at the head of the table, his seven guests ranged on both sides of him, and the five empty chairs. Nancy winced at the picture. Somehow those vacant chairs seemed more ominous than if all thirteen places had been filled. Her last definite memory was of Jack’s high-pitched laughter when Evan had knocked over the salt cellar. After that there were only occasional flashes—old Miss Makepeace’s acid smile—the black faces of the Negro servants— meaningless words—and then nothing. Yet if she had fainted at dinner, why had no one taken care of her? She could not believe she had been merely carried upstairs and dumped on the bed like a bundle of soiled clothes, but what other explanation was possible?

Well, the answer certainly was not to be found here. With growing alarm Nancy felt her way to the door and pulled it open. A faint glow from her right illuminated the four-foot corridor, and she followed it to emerge upon the wooden gallery built along one wall of the main room of the house—a room so huge that the candles placed on a table in its center did little more than call attention to the shadow-haunted darkness which pressed in upon them. Except for the candles and an occasional hiss from the burning driftwood in the great fireplace, there was no sign of life.

As the girl turned to the stairs that led down on her right, a low-toned clock struck somewhere in the depths of the ancient house. Mechanically she counted the strokes—ten of them. Dinner would have been over about nine, so she must have been unconscious all that time. Suddenly, the full implication of the hour struck her. If it were only ten o’clock, where were the other members of the house party? Normally they would be here, grouped around the fire, playing cards, or strumming the piano. Even if they were in the library, there would at least be more lights and the sound of voices. Instead she found only four candles and a dying fire ( Hake Talbot, The Hangman’s Handyman, Ramble House, 2009)

Così comincia il primo dei due romanzi che Hake Talbot (pseudonimo di Henning Nelms) scrisse: The Hangman’s Handyman, che anticipa di due anni Rim of the Pit (1944).

Già dai primi righi ci vediamo proiettati in un’ isola sperduta, battuta dai venti di tempesta, che ha un nome che è già un programma: Kraken, come il mostro mitologico degli abissi marini. E l’atmosfera già esprime le sue prime avvisaglie strane e minacciose.

Nancy Garwood, attricetta e showgirl, si ritrova distesa di traverso sul fondo del letto: ha ancora il vestito da sera e lì per lì non si ricorda come possa essere arrivata lì. Si ricorda di quando vi è arrivata nel pomeriggio assieme a Jackson Frant e della cena; dell’atmosfera pesante e palpabile di quella casa in pietra sull’isola battuta dalla bufera; dei domestici, silenziosi e senza identità quasi fossero delle ombre; della strana tavola e degli invitati seduti attorno:otto compreso il padrone di casa e cinque posti vuoti, a formare tredici posti, presagio di sventura. Si ricorda il sale caduto per errore sulla tovaglia, si ricorda dello specchio rotto, si ricorda delle facce spaventate. Poi non ricorda più nulla.

In quella casa silenziosa, troppo, scende nel salone. L’orologio batte le dieci. Lei si ricorda che era a cena alle nove. Un’ora dev’esser rimasta incosciente. Ma..comunque gli invitati dovrebbero essere lì, a suonare il pianoforte , a giocare a carte.. Invece, non c’è nessuno.

Nancy sempre più tesa, gira per il salone buio e minaccioso, a lume di candela.

Osserviamo la scena: Hake Talbot, con consumata esperienza vorremmo dire (ma questo è l’esordio) introduce la storia quasi fosse non un romanzo poliziesco ma uno fantastico, gotico: sembrerebbe quasi uno della Radcliff o di Walpole: una dimora baronale, su un’isola battuta dalla tempesta; un’invitata svenuta, che si ritrova sola in una stanza, vestita come lo era a cena; scende ma non trova nessuno; tutto deserto, vuoto, buio. Un senso di oppressione ci accompagna, sminuito solo dal chiarore della candela, che aumenta quest’atmosfera così palpabile, perché dona alle cose che ci circondano un’aura diversa, da quella della luce elettrica: illumina direttamente ciò che ti è davanti, ma lascia nell’oscurità tutto il resto.

E mentre Nancy avanza spaventata, impaurita e tesa, ecco un rumore potente ed inaspettato: qualcuno bussa al portone:

“Hesitantly Nancy crept down the stairs and had almost reached the center of the room when she heard the thud of the knocker beating against the main door. The shock to the already frightened girl was so great that she was forced to clutch the edge of the table to steady herself. In a few seconds her sturdy common sense came to her rescue. She had wanted company—well, here it was. If some evil were abroad on The Kraken it would be in the house, not out in the storm. She picked up one of the candles and moved forward, holding it before her like a shield.

Then, leaving the inner door of the vestibule wide behind her, she opened the outer door.

Seen in that flickering light, the man who stood there bulked enormous. He was clad in dripping oilskins, and the sou’wester cast a mask of shadow over the upper part of his dark face.

“Please, ma’am, would you have half a bed for a poor ship-wrecked sailor that got crowded out of Davy Jones’ locker?”

Nancy felt her small stock of courage drain away. Then to her relief she heard a chuckle that she recognized, her candle was caught as it fell, the man’s sou’wester was jerked off and she looked up into his laughing eyes.

“Rogan Kincaid!”

“Remember me? I was afraid you wouldn’t.”

“I couldn’t see you at first. I’m—I’m awfully glad you’re here.”

“Thanks. I’m glad to get here. There’ve been times in the last few hours when I didn’t expect to make it.” He glanced into the darkness beyond her. “This is Frant’s island, isn’t it?” (op.cit).

Lei va ad aprire, perché neanche i domestici lo fanno, come se la casa fosse vuota, e si trova davanti Roger Kincaid, giocatore di professione, con un passato non cristallino, ma che conosce la natura umana meglio di altri, e soprattutto sa andare in fondo alle cose, anche a quelle che apparentemente non si vedono.

Talbot riserva a Kincaid un’entrata da protagonista, da prima donna: già in quest’entrata possiamo capire che ci troviamo dinanzi al “deus ex machina” della situazione.

La natura del personaggio è affidata anche che alle vesti che indossa: un pesante impermeabile e un cappellaccio dalle larghe tese, ci ricordano istantaneamente (almeno vale per chi sia avvezzo al personaggio letterario) il personaggio più famoso di Carr, il dottor Fell. E’ un modo come un altro, per dire al lettore che: si tratta dell’investigatore; ci saranno condizioni tipiche dei romanzi carriani, cioè delitti impossibili o camere chiuse.

Il delitto impossibile è quello che connota il romanzo, ed è anche l’evento che ha provocato l’amnesia della ragazza.

Kinkaid esorta Nancy a fare uno sforzo. A cercare di ricordare cosa sia successo, un po’ uno psicanalista che inviti il suo paziente ad aprirgli i suoi pensieri. Ed ecco che questo sforzo indotto, dà i suoi frutti: si ricorda come Kinkaid, atteso come un’intera famiglia di quattro persone, fosse in ritardo, mentre le restanti persone, spaventate dalla tempesta, avessero deciso all’ultimo istante di non partire per l’isola; nonostante ciò i posti a sedere apparecchiati erano rimasti tredici, un modo perché Jackson Frant, industriale chimico, potesse prendere in giro il suo fratellastro, Lord Evan Tethryn, enormemente superstizioso.

La derisione era continuata in un crescendo di tensione: prima leggendo un antico documento che attestava qualcosa di antico, un innominabile segreto di famiglia, che il fratellastro aveva lanciato nel fuoco; poi urtando deliberatamente la mano dell’attrice al fine di far cadere e rompere lo specchietto da cipria; e poi facendo versare il sale sulla tovaglia, e nel contempo ammonendo la nipote, fidanzata del fratellastro, Sue Broadwood che così non avrebbe potuto sposarsi con quello per sette anni. Insomma questa tensione accresciuta e rinfocolata da uno mentre l’altro fa di tutto per calmarsi, porta ad una inevitabile catarsi: la maledizione lanciata da Evan contro Jack.

Una maledizione che pare fosse un’antica tradizione di famiglia, il segreto innominabile: la possibilità che chi la lanciasse riuscisse a far morire il destinatario. Ancor più: a farlo marcire!

Così aveva fatto l’esasperato Lord Evan contro il fratellastro Jack Frant. E al sentire la maledizione “Che Od ti faccia marcire!”, Jack era caduto fulminato, morto: a quanto pare Od, la divinità marina cui si era rivolto, era stata lesta ad accontentarlo. Il cadavere era stato quindi trasportato nella sua camera e lasciato lì.

Ecco il delitto impossibile. Ma cosa c’è di impossibile nella morte istantanea per quanto sicuramente ricadente in una pura coincidenza, di un uomo maledetto dal fratellastro? Si sarebbe potuto trattarsi benissimo di un attacco di cuore! Fino a qui niente indica un’impossibilità manifesta: c’è solo una coincidenza anche se strana. L’impossibilità invece si estrinsecherà davanti ai nostri occhi, quando vivremo "in fieri" il momento in cui Kinkaid si reca a vedere il cadavere, non nel passato del ricordo offuscato di Nancy. Che ricorda solo di essere andata nella camera di Jack dove era stato deposto il corpo per svenire di nuovo.

Per quale motivo Nancy avrebbe sentito il dovere di andare a trovare il cadavere di Jack? Lo si spiegherà dopo, con un sibillino “..intimamente forse ma certo non bene.. ” (pag.75)  che vuol dire tanto: Nancy ci andava a letto, ma come persona non lo conosceva poi tanto. Mentre Kinkaid si preoccupa di prestarle le prime cure, si vede aprirsi una porta ed uscire un personaggio, Arnold Makepeace, che comincia un conciliabolo con Rogan.

Faccio notare che l’espediente della tensione accresciuta, che abbiamo già visto sia nel risveglio di Nancy che si ritrova in una casa sconosciuta e nell’oscurità, e nello scontro verbale tra i due fratellastri, riappare ora nel breve dialogo tra questi due personaggi: Arnold convalida il racconto di Nancy parlando della morte improvvisa di Jack Frant, e aggiunge che sicuramente si tratta di un colpo apoplettico, e che anche il dottor Braxton (altro personaggio) non avrà alcuna remora a riconoscere ciò. Il fatto è che Arnold parla quasi urlando, con un tono che fa capire a Rogan, come il suo interlocutore voglia far apparire il tutto come naturale, mentre, spaventato com’è, in cuor suo pensa di no.

Insomma, egli nel presentare ovvio il colpo apoplettico si auspica in cuor suo che anche Braxton lo definisca tale. E la tensione si accresce. E continua quando prima Rogan frugando tra le ceneri del camino, trova quasi intatto il malloppo di pagine che erano stato lanciato sul fuoco (che è una serie di cronache antiche attestanti poteri di magia nera donati alla famiglia dei due fratellastri da Od, uno spirito elementare, quasi un demone) e poi quando egli stesso, nella biblioteca,  trova una serie di libri di carattere espressamente occultistico, letti e riletti. Una collezione con in vuoto, un volume che è stato tolto e che egli trova su una poltrona a faccia in giù. Aperto, il libro si apre all’ultima pagina di un celebre racconto di Edgar Allan Poe: Cronaca del caso del Signor Valdemar. Ve lo ricordate quel caso? No? Parla del mesmerismo, di un caso di magnetismo animale effettuato su un uomo in punto di morte, che rimane in uno stato di morte sospesa, finchè risvegliato da questo stato, di decompone in un baleno. Uno che l’abbia letto comincerà a chiedersi: perché Talbot volontariamente accenna proprio a questo racconto di Poe ? Altra tensione..

Fatto sta che un po’ dopo proprio di questo caso di Poe, si parla. E Kinkaid comincia a sospettare che non gli abbiano detto tutto: possibile che la maledizione alluda più specificamente alla capacità di colui che la lancia di far morire e più specificamente far marcire in men che non si dica il cadavere altrui?

Saliamo le scale più tardi assieme a Kinkaid, sentiamolo aprire la porta della stanza di Frant e capire il perché di quel secondo svenimento di Nancy: Frant sarebbe dovuto essere nelle condizioni di un uomo morto da poche ore, ed invece si trova in quelle di un cadavere vecchio di un mese, cioè in decomposizione tanto avanzata che l’unico modo per assegnargli l’identità di Jack Frant è un anello che non può essere stato infilato da morto.

Ecco l’impossibilità. Che ci ricaccia in un’atmosfera di tensione, di paura, di mistero, di orrore soprannaturale: dobbiamo allora credere per forza che la maledizione sia la causa della morte di Frant. E che Od, la divinità delle acque, un demone, abbia avuto la sua parte determinante nella morte di Frant.

Se a tutto questo si aggiunge anche un intruso,  che penetra nella villa con lo scopo di uccidere Jack Frant, da lui ritenuto colpevole della morte della moglie ad opera del dinitrofenolo, una sostanza pericolosissima derivata dal carbon fossile, usata primariamente per la produzione degli esplosivi, e poi invece utilizzata per le diete dimagranti, allora abbiamo raggiunto il punto di saturazione.

Insomma un bel po’ di carne sul fuoco. Tutto qui?

No. Ricordiamoci della premessa che avevamo annunciato spiegando l’arrivo di Kinkaid vestito in quel modo: delitti impossibili o camere chiuse. Il delitto impossibile c’è stato: più impossibile di uno che, maledetto, muoia all’istante, e nei minuti successivi si decomponga come se fosse morto da almeno un mese, non credo esista.

Il fatto è che ad un certo punto della storia qualcuno cerca di uccidere Kinkaid: Rogan sale in camera sua,  serra il chiavistello dall’interno al buio, e poi qualcuno cerca di strangolarlo, non riuscendovi, ma lasciandolo svenuto. Il fatto è che se questo qualcuno è entrato dalla porta, da essa non è uscito, perché dopo che Evan ha abbattuto la porta a spallate, in alcuni la trovano serrata dall’interno, e le zanzariere che sono fissate alle finestre dimostrano la loro vetustà, la loro impossibilità nel poter essere smontate e rimontate dall’esterno o qualsiasi artificio nel passarvi attraverso, oltre che la loro integrità. Chi mai allora può esser riuscito a quasi uccidere Rogar e volatilizzarsi, “vanished into air” come direbbe Carr? Non può esser stato che Od in persona!

Ma perché mai Od dovrebbe voler uccidere Kinkaid?

Il tentativo di omicidio trova la propria causalità solo nell’accreditare con ancor maggior forza l’esistenza di forze soprannaturali.

Non vado oltre, solo per non togliere a chi avesse ancora la fortuna di leggere questo romanzo, il gusto di scoprire l’assassino, dopo una serie di depistaggi e depistaggi di depistaggi.

Dirò solo che il finale è strepitoso.

Perché mi ha impressionato favorevolmente?

Innanzitutto ci troviamo dinanzi ad un delitto così impossibile che più impossibile non si può, ed anche ad una bella Camera Chiusa. Talbot, insomma, per la sua opera prima crea un romanzo, in onore di Carr e di Rawson, e vi inserisce tutto il corollario carriano e rawsoniano per eccellenza: delitti impossibili e camere chiuse, in ambiente soprannaturale; trucchi illusionistici (lo stesso Hake Talbot si dilettava in magia).

Altrove, poi, ho già asserito che secondo me questo romanzo d’esordio centra un bersaglio: si rifa ad uno schema consolidato di mystery classico (isola battuta dalla tempesta, villa isolata, maledizione, delitto impossibile e in più anche una camera chiusa, sostituzioni di persona, continui ribaltamenti di trama) creando un’atmosfera densa e palpabile in grado di affascinare.

Curiosamente sembrerebbe quasi che questo fosse una prova riveduta e corretta di altro romanzo e che quindi The Hangman’s Handyman invece di venire prima seguisse Rim of the Pit. Per quale motivo? Perché non presenta le falle esistenti nel secondo, che sono più che altro riferite al finale.

Mi sono accorto, pochi giorni fa, parlando con Mauro Boncompagni, di non essere il solo ad aver asserito pubblicamente che questo romanzo sia meglio strutturato rispetto al secondo, nonostante siano molti ancora a ritenere Rim of the Pit superiore al nostro: quando io mettevo in evidenza come, dopo il can can delle situazioni impossibili rimarcate in tutto il romanzo, il finale apparisse insoddisfacente e per nulla pirotecnico come ci si sarebbe aspettato che fosse, mi sono accorto che dicevo la stessa cosa che Mauro rimarcava, affermando che a suo parere (posizione espressa da lui a Bob Adey) Talbot aggiungendo impossibilità ad impossibilità, non fosse riuscito nella spiegazione finale a rispondere a tutte le domande: insomma non fosse riuscito a soddisfare tutta l’aspettativa che aveva generato precedentemente, perché aveva voluto concentrare la spiegazione del tutto, solo nel finale, “con un effetto di complessità un po’ troppo estenuante”.

Dicevamo cioè la stessa cosa (e la posizione di Mauro contrastante con quella di Adey, la dice tutta sulla sua autorevolezza anche in campo internazionale, nell’attestare una posizione autonoma rispetto al resto della critica=n.d.r.).

Questo ci porta a considerare come, invece, il primo romanzo, con una certa umiltà che manca invece nel secondo, non si arrischiasse in questo “tour de force” finale, ma invece risolvesse gli enigmi, volta per volta, lasciando al finale solo l’individuazione dell’assassino (cosa per nulla facile). Infatti, prima risolve la Camera Chiusa, e poi spiega il delitto impossibile.

Al di là di questo vi sono delle somiglianze tra i due romanzi.

Innanzitutto, le allusioni mitologiche: qui è ad una divinità elementale, Od, un demone degli abissi marini; lì ad altro demone, uno degli indiani, un Windingo. Inoltre tutti e due i romanzi, presentano trucchi di magia eseguiti e spiegati dagli ospiti, come ad esempio il trucco del bicchiere avvolto in un tovagliolo, che passa attraverso il tavolo e che fornisce a Rogan Kinkaid l’idea che alla base della Camera Chiusa vi sia una illusione, un trucco, non un espediente reale. Dirò solo che l’illusione della camera Chiusa di  Talbot è stata poi utilizzata da Paul Halter nel suo “La mort vous invite”.

Qua e là si notano delle sviste, che è possibile notare solo dopo aver letto più volte il romanzo: prima si legge che all’esame dei polpastrelli del cadavere decomposto, da parte di Kinkaid, il sergente Dorsey, il fotografo della polizia Feldman e il medico legale dottor Murchinson, si nota che era stata asportata la pelle dei polpastrelli (pag.127); poi, a fine romanzo, si legge che il cadavere era di Frant perché Feldmann ne aveva preso le impronte digitali (pag. 203): incongruenza forse da spiegare con una precedente stesura diversa del romanzo?

Al di là di questo, anche Talbot, come Halter, può aver usato, per confezionare la trama del suo romanzo, una serie di riferimenti a lui precedenti: gli invitati presenti in una villa su un’isola, richiamano alla mente And Then There Were None, di Agatha Christie, del 1939;
i 13 invitati a cena, un altro romanzo precedente della Christie, Lord Edgware Dies, del 1933; e infine, sarei perfino tentato a credere che la stessa disavventura di Rogan a bordo del natante in mezzo al mare in tempesta e il suo approdo sull’isola dove l’aspettano altri invitati, potrebbe riferirsi a Careless Corpse, 1937, di Charles Daly King.

Insomma…uno straordinario romanzo, che tiene avvinti fino all’ultima pagina.



Pietro De Palma