Più passa il tempo, più trovo
rimandi ad una domanda che ogni volta mi sorge spontanea, e a cui non so
dare risposta: perché proprio nel 1932 son nati tanti capolavori della
letteratura poliziesca?
Perché proprio quell’anno? Non lo so.
Qualche tempo fa ho scritto un pezzo su ll Caso Saint-Fiacre di Simenon, anch’esso del 1932. Ma nel 1932, uscirono innumerevoli capolavori: per es. Peril at End House, di Agatha Christie; Poison in Jest, di John Dickson Carr; The Greek Coffin Mystery, di Ellery Queen; Obelists at Sea, di Charles Daly King; Murder on the Yacht, di Rufus King; Sudden Death, Freeman Wills Crofts; La Maison interdite, di Michel Herbert & Eugen Wyl; The Devil Drives, di Virgil Markham; The Wailing Rock Murders, di Clifford Orr; La Maison qui tue, di Noel Windry; etc etc etc Tra gli altri, lo straordinario La Double Mort de Frédéric Belot, di Claude Aveline.
Chi sarà mai costui? avrebbe detto Don
Abbondio. Non è un nome conosciuto ai più, anzi si può dire che in
Italia solo pochi si ricordano di lui, e ancor meno hanno avuto la
fortuna, come il sottoscritto, di leggere i suoi romanzi polizieschi.
Claude Aveline, nato nel 1901 e morto nel 1992, fu
un grande intellettuale francese, poeta e critico famoso, attivista e
partigiano durante il Governo Petain, amico di Anatole France e Jean
Vigo, personaggio sempre in primo piano fino agli ultimi anni di vita.
Nel 1932 scrisse il suo capolavoro, nell’ambito della letteratura poliziesca, La Double Mort de Frédéric Belot; tuttavia,
fino a quel momento, non aveva scritto proprio nulla di poliziesco. Si
può dire quindi, senza alcun timore di sbagliare, che quest’opera
coincise col suo esordio nella letteratura di genere.
Straordinario romanzo, si è detto; ma anche
uno straordinario successo per l’epoca: il pubblico francese impazziva
per le storie gialle, e si può dire a ben donde che, diversamente
dall’Italia che era sempre stata anglofila fin dagli esordi, e che
quando aveva esordito con investigatori italiani, i riferimenti erano
pur sempre stati anglosassoni, in Francia, vuoi per campanilismo, vuoi
per la tendenza dei francesi a non riconoscersi inferiori chiunque
altro, ben presto molti autori francesi o comunque francofoni avevano
provato a scrivere storie gialle, e avevano dimostrato di essere alla
pari se non meglio di altri scrittori anglosassoni.
Il romanzo ebbe subito molte edizioni in
Francia e fu tradotto in breve tempo in tredici Paesi diversi, tra cui
l’Italia, in cui il romanzo, con un titolo abbastanza fedele “La doppia
morte dell’Ispettore Belot”, fu tradotto da Cesare Giardini (lo stesso
traduttore de Il caso dei Fratelli siamesi di Ellery Queen, prima che
venisse ritradotto da Gianni Montanari) e pubblicato ne I Libri Gialli
Mondadori, col numero 77, nel 1933.
Perché ebbe tanto successo questo romanzo in patria? Per vari fattori.
Il primo, è ascrivibile all’editore:
Bernard Grasset, aveva fondato nel 1907 “Les
Editions Nouvelles” e da quel momento, la sua casa editrice si era
distinta nella pubblicazione delle opere dei maggiori scrittori ed
intellettuali francesi, tra cui per esempio Monsieur des Lourdines di Alphonse de Chateaubriand, Filles de la pluie di André Savignon, e anche Du côté de chez Swan di Marcel Proust. Ma aveva anche pubblicato Diderot, Voltaire, Gide, Valéry. Insomma, nel 1932, le edizioni di Bernard Grasset, che come allora, si trovano ancor oggi in Rue des Saints Pères, 61 a Parigi, erano la punta di diamante dell’editoria francese, e presentavano opere estremamente serie.
Il secondo fattore, è sicuramente ascrivibile al romanziere:
Aveline era un gran nome in Francia, già a quel
tempo. Aveva pubblicato parecchie opere di critica letteraria, con la
sua omonima casa editrice, e contava già illustri amicizie, tra cui
soprattutto quella di Anatole France, di cui era diventato il seguace
più fedele. E poi quella di Jean Vigo, il regista de “L’Atalante”, uno
dei film più importanti del secolo scorso.
Insomma, il fatto che l’editore francese più
importante al tempo ed uno degli intellettuali francesi di punta
dell’epoca avessero deciso di puntare sul lancio di un’opera di
narrativa poliziesca, ebbe il suo immediato eco, nella società del
tempo, e contribuì alla diffusione del romanzo. Fu intendimento
premeditato o non voluto? Aveline lo fa capire chiaramente quando, nella
sua “Doppia nota sul romanzo poliziesco” pubblicata nell’Oscar
Mondadori, in appendice al romanzo (come nell’edizione Mercurie del
1963), dichiara che se “La doppia morte” fosse appartenuta ad una
collana specializzata, sarebbe passata inosservata dai critici, che si
ostinano ad ignorare la letteratura poliziesca. Un nome famoso di
editore sulla copertina, editore che non aveva avuto niente a che fare,
anche lui, con questa letteratura, attirò la loro attenzione. La lettura
della mia prefazione, li costrinse tutti a schierarsi pro o contro..ho
avuto buoni alleati e rudi avversari. Ma avevo raggiunto il mio scopo” (pag.153).
Si può dire che però, Aveline, ci mise molto di
suo, passando molte settimane alla Prefettura di Parigi, ad impadronirsi
di un mondo che rese in maniera mirabile. E lo rese talmente bene che
il successo gli arrise. Anzi, esso fu talmente clamoroso, che il buon
Aveline, che nel 1936 aveva pubblicato il suo “Le Prisonnier”, a cui si dice si fosse ispirato Albert Camus per il suo “L’Étranger”, pensò di scrivere dell’altro. Purtroppo egli aveva fatto
morire Belot al primo colpo e persino due volte e perciò introdusse
delle avventure che avevano avuto luogo prima che egli potesse morire Infatti come egli ebbe a dire in merito al suo primo romanzo …“
L’ennui c’est que j’avais tué mon policier du premier coup, et même
deux fois, je n’avais pas prévu qu’il aurait à reprendre du service.
Heureusement, je ne l’avais pas fait mourir trop jeune”. E così nel 1937, pubblicò il suo secondo scritto, Voiture 7 place 15, seguito da L’Abonné de la ligne U e infine da Le Jet d’eau.
Da allora passò molto tempo prima che riprendesse a scrivere storie
poliziesche: negli ultimi anni della sua vita scrisse l’ultimo capitolo
della Suite, L’Œil-de-chat. Comunque il suo
capolavoro è il primo dei suoi scritti, tanto che più tardi, in
occasione della ripubblicazione della sua opera completa, in forma di
“Suite poliziesca” presso Mercurie nel 1967, scrisse una “Doppia nota
sul romanzo poliziesco in generale e sulla suite in particolare”.
Come Aveline scrisse, il romanzo “è una storia
che ricomincia alla fine. Se c’è un romanzo che si presta a essere
riletto, questo, contrariamente all’opinione generale, è proprio il
poliziesco. Il lettore ha seguito un’indagine, mettendosi nei panni
dell’investigatore. Ebbene, ora può riprenderla, non più con gli occhi
dell’autore, ma con quelli del criminale. Con gli occhi, il cuore, le
viscere del criminale. Alle mosse del futuro trionfatore, si
sostituiscono le angosce di un essere braccato dalla polizia, oppure dai
propri rimorsi. Nel romanzo letterario ‘consueto’, il lettore può
sognare soltanto durante il suo primo contatto con l’opera… qui, invece,
egli si trova in grado di evocare un nuovo dramma. Qui può creare”.
Aveline immagina che Simon Riviere, ispettore di
polizia e figlio a sua volta di un ispettore di polizia giudiziaria, gli
narri la più sensazionale, ma anche l’ultima avventura di Frédéric
Belot, Capo della Brigata Speciale e suo padrino. Già il fatto che
Belot, uomo sempre attivo, abbia accettato un posto dietro una
scrivania, ha fatto parlare parecchi dei suoi conoscenti, tanto più che
egli così ha dato via libera a Picard, di diventare Direttore della
Polizia Giudiziaria. Ma le sorprese non sono finite: infatti Belot,
scapolo impenitente, annuncia la decisione di sposarsi con la signora
Deguise.Poi accade che una sera che Belot è atteso da Picard per una
questione delicata, egli non si faccia vivo. Riviere viene mandato a
cercarlo. E’ il 4 novembre.
Si reca presso la casa in cui dimora, in Rue de
Crimée 26, e chiede alla portinaia di Belot, sentendosi rispondere che
il suo padrino non è uscito. La porta di casa è chiusa, e non avendo le
chiavi, si serve di alcuni strumenti che i poliziotti come lui portano
addosso e la forza. Quando entra in casa “è buio pesto”.
Accende la luce nell’anticamera, e vede appeso il
soprabito e il cappello di Belot. Trovando chiusa la porta dello studio,
la apre e illumina lo studio anch’esso nell’oscurità: al
centro della stanza vede Belot per terra, rantolante.. Accende il
lampadario e si rende che è ferito alla testa e anche al corpo, e vicino
a lui c’è la sua pistola, una Browning. Emozionato fa per telefonare ai
suoi superiori e chiedere aiuto e un’autoambulanza, quando..vede
spuntare da sotto un pesante tendaggio che divide lo studio dal salotto,
una mano contratta. Scosta la tenda e si trova il corpo di un altro
uomo, riverso con la faccia per terra, anche lui vestito di grigio e
anche lui con una Browning. Lo rivolta e.. “vidi che anche quest’uomo
era Frédéric Belot. Ma un Frédéric Belot morto” (pag.31).
Da questa scoperta, prende l’avvio una storia che
ha dell’incredibile, in cui “il doppio” è l’elemento predominante, in
cui le verità sono tali fino a che non si scopre qualcosa in grado di
rovesciarle completamente, in cui gli avvenimenti si può dire che siano
uno conseguente all’altro, come tante scatole cinesi.
Innanzitutto bisogna scoprire, chi di quei due sia
il vero Belot e chi l’impostore. Perché è evidente (o sembrerebbe tale)
che uno abbia ucciso l’altro.
Sottolineo il “sembrerebbe” perché in questo romanzo, più che in altri,
bisogna prendere con le molle e diffidare di tutto ciò che viene dato
per certo, perché prima o poi assumerà un significato difforme.
Sembrano uguali, due fotocopie, ma poi si scopre,
dall’autopsia di quello morto, che porta i baffi posticci e la
colorazione del volto è data con un fondotinta. Quindi è l’impostore.
A questo punto si scopre però dal raffronto dell’arma (la pistola di
Belot ha il caricatore con impressi due segni profondi di lima) che
quella che ha sparato e ha ucciso per primo è quella di Belot: perché
avrebbe dovuto sparare per primo? Questo è il primo interrogativo, che
viene posto. Ma risulterà essere uno dei tanti, quando si conoscerà il
resto. Per es., vicino al falso Belot, viene trovata una
scatola piena di proiettili aperta: cosa significa? Che stava
ricaricando l’arma? E perché? Se davvero si fosse introdotto
nell’appartamento, si sarebbe dovuto supporre che fosse armato cioè con
la pistola dotata di caricatore pieno, in grado cioè di uccidere il vero
Belot. E invece la sua arma è scarica. Ma è anche vero che vi sono
bossoli da ogni parte. Ma, guarda caso, anche l’arma di Belot è scarica
come se avessero svuotato i caricatori l’uno contro l’altro.
Già questo potrebbe significare un altro
interrogativo (nascosto): in quale modo recondito, un poliziotto e un
killer, a breve distanza l’uno dall’altro, sparando all’impazzata l’uno
contro l’altro, avrebbero causato così poche ferite (anche se mortali)
l’uno all’altro? Al morto un colpo in fronte, all’altro uno al corpo ed
un altro alla testa. Mah..
A questo punto interviene un altro avvenimento che
conferisce ancor meno certezza alla faccenda: il falso Belot possiede la
tessera della polizia ufficiale con impressa l’impronta digitale del
suo pollice. Perché farsene una falsa, quando avrebbe potuto
rubare quella vera? Anche il vero Belot ne ha una con la foto dissimile
in un particolare dei capelli con l’altro ma per il resto completamente
uguale, e con una impronta digitale diversa. Solo che quando si vuole
confrontare le due a quella dell’archivio, si scopre che è scomparsa.
Perché?
Tanti perché, troppi.
Belot è ricoverato in condizioni disperate.
Nonostante le ferite è ancora vivo, e rantola frasi dissennate o che
almeno sembrano tali. Intanto, Riviere fa una scoperta della massima
importanza: l’appartamento di Belot è diviso su due piani. La tragedia
si è svolta al primo piano; ora lui va a vedere di trovare degli indizi e
perquisisce anche il secondo e si trova dinanzi ad una cosa che non
sapeva: il piano è diviso secondo la lunghezza in due parti, che formano
due mini appartamenti. In fondo all’armadio a muro della casa di Belot
trova un pannello con una serratura di sicurezza, e dietro il vuoto: una
porta segreta di comunicazione fra i due appartamenti? E perché?
Chi è il misterioso inquilino di Belot? La
portinaia, la signora Morin, che prima aveva detto alla polizia che la
foto del morto le riusciva familiare ma non sapeva dire lì per lì chi
fosse, ha un’illuminazione: è l’inquilino misterioso. A questo punto è
chiaro che i due si conoscessero. E perché mai allora il secondo aveva
preso le sembianze del primo, che conosceva? Grazie alle chiavi trovate
nelle tasche del ferito, riesce ad aprire il pannello e si trova in un
miniappartamento anonimo anche se elegante, in cui non trova nulla se
non una carta d’identità, in un vestito, che si riferisce a tale Jean
Martin abitante al 43ter di Rue Arthur-Rozier, che è in pratica dietro
Rue de Crimée: una casa con un piano diviso in due, con una entrata
indipendente da quella principale e posta in una via diversa. Perché
mai? E perché soprattutto gli armadi delle due case contengono
esattamente gli stessi capi, delle stesse misure e dello stesso colore?
Simon Riviére a questo punta fa una scoperta di
importanza capitale per il succedersi degli avvenimenti, suffragata da
una che viene fatta nell’archivio della polizia: sia lui che un perito
della Scientifica scoprono in posti diversi che la foto dello
sconosciuto (Jean Martin si è frattanto scoperto che non è mai nato!)
non è così sconosciuta. Infatti, la madre di Belot annuncia a Simon che è
andato a trovarla per informarla sulle condizioni del figlio, che la
foto dello sconosciuto è quella di..suo figlio. Cioè in pratica, si
realizza un absurdum : il Belot che si credeva impostore è quello vero,
mentre quello vero è un impostore.
Ma a questo punto un assurdo più assurdo si fa
avanti: perché mai Belot avrebbe dovuto rasarsi i baffi e inscurirsi la
pelle, per assomigliare ad un suo sosia, che a sua volta gli
assomigliava precedentemente? Cioè perché tutto questo pasticcio?
La spiegazione la da Picard, amico di Belot e capo
di Riviére: fu lo stesso Belot ad imporgliela, il giorno in cui conobbe
il suo sosia, un tale Ferroux, ingiustamente accusato di
un’appropriazione indebita, che gli assomigliava come una goccia
d’acqua. In quel momento Belot capì che facendo fare ad un suo sosia
quello che lui avrebbe fatto da quel momento in poi, cioè il capo di una
divisione che gli imponeva il lavoro d’ufficio, in seguito ad una
promozione, lui, Belot, avrebbe potuto svolgere sotto mentite spoglie
delle delicatissime indagini di polizia.
Ecco spiegato il falso Belot, ecco spiegata la
sparizione di documenti, e la creazione di una falsa identità
poliziesca: era tutto parte di un piano. Ma perché poi il falso Belot ha
ucciso quello vero?
E perché il falso Belot, negli attimi prima della morte (perché muore anche lui, in ospedale) ha gridato: “Non lo uccida! Non lo uccida!” e non invece “Non mi uccida!”?
E chi ha consegnato una lettera da parte della
Prefettura alla sig.ra Deguise, che si è capito aveva una relazione con
Belot? Alla Prefettura tutti negano. Insomma c’è una terza persona che
fa di tutto per apparire sulla scena: un complice, un testimone, o..un
assassino?
Perché a questo punto, Riviére ponendo occhio a
questo fatto avvenuto al tempo della scoperta della divisione del
secondo piano, e alle parole del moribondo, pensandoci e ripensandoci e
soprattutto ritornando sul luogo del delitto e raccogliendo i bossoli e
facendoli comparare, si accorge che essi provengono da una sola arma, e
soprattutto capisce perché c’era “buio pesto” a casa della vittima
quando aveva trovato i due corpi: se davvero uno dei due avesse sparato
all’altro uccidendolo e nel contempo fosse stato ferito mortalmente e
per di più alla testa, come avrebbe potuto andare a spegnere il
lampadario e chiudere la porta, e perché poi? Se davvero avesse avuto
tutte queste forze, le avrebbe spese per cercare di chiedere aiuto. E
invece..niente di tutto questo.
La ragione di tutto ciò porta ad una terza persona,
X, che avrebbe ucciso i due Belot, il vero ed il falso, e poi messo la
pistola accanto al falso Belot. Ma anche qui sorge una domanda
spontanea: come avrebbe potuto sparare con una pistola di ordinanza
della polizia? Era sua o ne era pervenuta in possesso?
La ragione la si troverà in una storia d’amore
finita per sbaglio, e la comprensione delle morti sarà solo la
conseguenza del mancato depistaggio da parte di un falso assassino a
favore di uno vero. Il finale sarà tragico e tristissimo, e la
spiegazione finale, immaginifica, ricostruirà il grande puzzle, ponendo
ogni tessera al suo giusto posto.
Innanzitutto diciamo che l’edizione italiana prende
un colossale errore di prospettiva nel titolo: intitolando il romanzo
“La doppia morte dell’Ispettore Belot”, gli attribuisce un grado che non
ha. Belot infatti in questo romanzo, che è il primo, ma anche l’ultimo
perché in esso appare da morto, non è più Ispettore ma..Commissario. E
del resto è proprio la sua promozione a causare la sua morte, si
potrebbe dire. Al di là di questa gaffe..
Claude Aveline, che Michel Lebrune aveva definito “véritable novateur du roman de mystère, un humaniste et un grand humoriste”, e di cui Pierre Boileau avrebbe detto che aveva dato al Genere del Romanzo Poliziesco « ses lettres de noblesse », cercò in più occasioni di sghettizzare il romanzo poliziesco, prendendone le difese:
“Il n’y pas de romans nobles appartenant aux
Belles-Lettres (qui en décide?) et de romans moins nobles parmi lesquels
on range selon l’arbitraire habituel romans populaires, d’aventure,
romans policiers”.
Egli tuttavia, pur essendo uomo di studio, di
critica, capì che non sarebbe bastata un’opera solo critica del genere
per tentare di sdoganarlo, ma sarebbe stato necessario che lui stesso
desse il buon esempio, scrivendo un romanzo. Che fosse anche la riprova
che anche un fine letterato avrebbe potuto scrivere un romanzo
poliziesco, con gusto, ironia ed inventando un problema talmente
astruso, che solo con una spiegazione al di là della comprensione umana
sarebbe potuto essere spiegato.
Il dotto studioso, il critico cinematografico, il poeta, l’ironico inventore di aforismi, tipo “La mort d’autrui soumet le vivant, résigné, aux lois inévitables. La sienne, il la considère comme un assassinat” (=la
morte degli altri è una cosa inevitabile, la propria è un assassinio),
inventa un romanzo appassionante, teso e vibrante, tortuoso e
machiavellico, ma anche profondamente umano, rinnovando al pari di altri
maestri dichiarati del poliziesco (Very, Steeman, Boileau, Windry,
Lanteaume), il genere. E dipana il velo del mistero con un virtuosismo
raro, dando vita ad un continuo gioco di specchi, in cui l’indagine
assume i toni di analisi quasi psicanalitica e di una sconcertante ma
estremamente vibrante introspezione psicologica.
Aveline, inoltre, per coinvolgere ancor più il
lettore nella storia, la umanizza raccontando il dramma dell’Ispettore
Riviére, il vero detective della storia, e “ figlioccio” di Belot, che
apprende che l’uomo a cui lui è molto legato umanamente, perché grande
amico del padre e suo protettore in Polizia, è stato barbaramente ucciso
in casa sua. E’ un fatto risaputo (e accettato) che se il protagonista è
personalmente invischiato in una indagine, il lettore seguirà con
maggior passione l’evolversi della vicenda.
Non solo. Per coinvolgere ancor più il lettore,
Aveline immagina egli stesso coivolto nell’azione, in quanto lo
scrittore è anche il narratore della storia. In questo si avvicina
moltissimo a Van Dine, in quanto lui stesso era il narratore delle
vicende di Philo Vance.
Aveline, scrivendo un romanzo poliziesco, con la
migliore scrittura possibile, evocando una storia in bilico tra
l’assurdo ed l’improbabile, e risolvendola in modo che la soluzione sia
l’unica in grado di ricondurre l’assurdo e l’improbabile
ad una dimensione possibile, e infilandoci anche una storia d’amore
struggente e risvolti psicologici notevoli, crea quindi un nuovo tipo di
romanzo, un romanzo poliziesco “serio”.
Questa serietà del romanzo, lo pone seriamente in
contrasto con la letteratura poliziesca del suo tempo, che normalmente
(senza toccare i vertici) da massimo risalto al plot a scapito del
resto. Qui, invece, tutto ha un proprio ruolo, tutto è necessario: Tutte
le figure rappresentate hanno un’anima.
Notate per esempio come riesca a renderci
estremamente vicina, con finissima psicologia, l’invidia della portinaia
sciatta e sporcacciona, nei confronti di chi, la signora Lesueur, con
lei, con una portinaia, non si sbottona, perché è superba : “come se fare un mezzo servizio non fosse come essere una serva” (pag.75).
Inoltre, qui, come una tragedia greca, la storia
non si risolve, non ha un finale che riporta il sereno, dopo la
tempesta. No. Qui il sereno non ricompare. Anzi..
Infatti la soluzione è amara oltre ogni misura:
infatti un tentativo di suicidio si è tramutato in ben altro; e chi
doveva essere suicida, diventa, non volendolo, omicida. Poi, c’è qualcun
altro che interviene e muta la natura degli eventi, facendo sì che paia
che i due Belot si siano sparati l’un l’altro. Solo che..non capisce
l’importanza della luce.
Un piccolo, insignificante particolare che ha tutta
questa importanza? Forse anche più, ne ha una anche metaforica: la luce
dell’appartamento porta la luce sul caso, senza la luce ci sarebbe
stato davvero “un buio pesto”.
In questo romanzo tutti i protagonisti di questa
assurda vicenda finiscono con il diventare gli alter ego degli eroi
omerici prigionieri del fato e dei capricci degli dei, costretti a
recitare delle parti e a vivere una tragedia che non riescono ad evitare
perché inconsapevolmente ne hanno messo proprio loro, gli ingranaggi in
moto. In un certo senso, anche l’assassino non è veramente tale.
Nei romanzi del periodo, nessuno si ferma a
contemplare la morte. Essa è solo funzionale alla storia, ma in nessun
modo la sua tragedia viene analizzata. Qui invece questo avviene.
La storia quindi perde i connotati di gioco
dell’intelligenza, per assumere quelli di analisi dell’anima. In un
certo senso, tutto ciò rende la lettura non certo facile, e l’incedere
piuttosto pesante.
Per di più, come evocato dallo stesso titolo, qui
tutto è doppio, si potrebbe dire che questo di Aveline sia il “trionfo
del doppio” nella letteratura poliziesca: Belot vero è un doppio (quello
che appare e quello che è); Belot è doppio come persona fisica (il
Belot vero e quello falso); la verità di Picard è doppia: la verità non
detta e quella rivelata; la casa è un doppio: due piani, due ingressi
separati, e un piano diviso in due; l’assassino è doppio: il vero ed il
falso; la pistola è doppia, la collezione degli indumenti è doppia, la
stessa carta d’identità è doppia; il falso Belot è doppio : la sua vera
identità celata e quella falsa assunta e dimostrata agli altri come
vera; la storia della signora Diguise è doppia perché ella crede di
amare Belot ed invece è innamorata di Ferreux, il falso Belot. Anche
l’assassino è doppio: perché prima c’è un falso omicida che fa credere
di esserlo e poi il vero omicida. La stessa signora Diguise è doppia
perché nella vita reale ha un altro nome, ed è doppiamente doppia in
quanto negli ultimi righi della storia si capisce che ella è l’amica in
comune (doppia amica) sia del narratore (Aveline) sia del detective
(Riviere) tra loro amici.
Finisco con un pensiero dello stesso Aveline, tratto dalla “Doppia nota sul romanzo poliziesco in generale e su questa suite in particolare”:
Quanto al romanzo, suscitò — dopo un unanime
elogio della scrittura che mi ha commosso e del quale non ho tenuto
nessun conto (questa edizione offre al lettore un testo interamente
rifatto) — i commenti più contraddittori. Realizzava e tradiva le
promesse della prefazione. Rompeva con le vecchie formule e non
apportava la minima novità. Era «super-poliziesco», algebrico, e
sacrificava l’intreccio alla psicologia. Su due punti, come mi
aspettavo, doveva trovare «contro» la maggioranza della giuria.
1° Malgrado la mia affermazione preliminare, avevo voluto scrivere un romanzo poliziesco;
2° il tema del sosia… era incredibile”.
Pietro De Palma
P.S.
Chi volesse sapere di più anche sulle altre opere
di Aveline, può andare a rileggere un articolo che scrissi per Sherlock
Magazine Web qualche anno fa. ( al link : http://www.sherlockmagazine.it/rubriche/3709 ).
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