mercoledì 5 ottobre 2016

Maj Sjowall – Per Wahloo : La camera chiusa (Det slutna rummet, 1972) – trad. Renato Zatti – Postfazione: Hakan Nesser – Sellerio editore Palermo – 2010, 2^ edizione –- Pagg. 409


Di Maj Sjowall e Per Wahloo non ho null’altro, all’infuori del bellissimo Det slutna rummer, “La Camera Chiusa”.
Il romanzo, scritto e pubblicato nel 1972, in Italia è apparso, per Sellerio, solo nel 2010.
Sellerio, si sa, è conosciuta per essere una casa editrice dal forte impegno culturale; e anche sul versante del romanzo poliziesco non tradisce questa sua vocazione: pochi autori, e neanche notissimi (basti pensare alla serie del Commissario De Vincenzi, di Augusto De Angelis, o al più recente Wilcox, a Carofiglio, Gimenez Bartlett, Camilleri). Perché allora Sjowall e Wahloo avrebbero dovuto interessare questa casa editrice? Non lo sappiamo con certezza. Ma, le note sul risvolto della quarta di copertina, ci danno una delle soluzioni: i due autori con i polizieschi che hanno scritto non hanno solo dato un contributo alla narrativa poliziesca ma anche all’impegno politico, impegnandosi nel denunciare i mali e le storture della società capitalistica svedese. E anche questo Det slutna rummet, non tradisce quest’impostazione.
Innanzitutto segnalo il romanzo per una singolarità: all’interno della trama vi sono 2 plot ben contraddistinti, che non sembrerebbero avere alcun contatto tra loro: il primo presenta una classicissima Camera Chiusa e il secondo una rapina in banca. Cosa lega due fatti così lontani?
Sgombriamo intanto il campo da fantastiche ipotesi, che potrebbero venire spontanee: l’ammazzato non c’entra nulla con la rapina; eppure..i due plot hanno un punto in comune che si spiega solo nel finale.
Il romanzo comincia con una rapina in banca: alla fine di giugno, a Stoccolma, una rapinatrice solitaria svaligia una banca e ci scappa il morto, un cliente, uno che voleva fare l’eroe, centrato in pieno viso da un colpo di pistola che gli spappola viso e cranio. Dopo la rapina, un procuratore rampante, «Bulldozer» Olsson, chiede l’intervento della squadra speciale, in quanto sicuro che il colpo sia parte di altro e più vasto piano criminale.
Qualche giorno dopo, il 3 luglio 1972, il Commissario Martin Beck, con un matrimonio fallito alle spalle e dopo un lungo periodo di convalescenza, ritorna alla vita lavorativa in polizia, e proprio come primo incarico gli viene assegnato un caso che avrebbe fatto la felicità di John Dickson Carr. L’incartamento riguarda quello che appare un caso misterioso, ma forse solo perché degli eventi di natura umana o casuale l’hanno reso tale. Nella domenica del 18 giugno precedente, al numero 57 di Bergsgatan nel quartiere di Kungsholmen, due poliziotti Kenneth Kvastmo e Karl Kristiansson vengono inviati ad investigare, dopo una segnalazione proveniente dallo stabile:  una donna, che abita al secondo piano del palazzo, ha detto che da qualche giorno l’interno delle scale è ammorbato da un fetore indescrivibile, come di carne marcia. I due poliziotti ben presto scoprono che l’origine del puzzo proviene da un’abitazione al primo piano, abitata da un certo Karl Edvin Svard, un pensionato che pare essere in condizioni quasi indigenti, e che da lavorante faceva il magazziniere. I due, solo con la forza bruta, riescono ad entrare in casa sfasciando i cardini, giacchè la porta è munita di due robusti chiavistelli e di una “fox-lock”, una robusta sbarra di ferro che si infila negli stipiti, e si trovano davanti ad uno spettacolo raccapricciante: un uomo è steso a terra, vicino ad una finestra, ma non sotto, o meglio è steso quel che resta di un uomo, le cui carni putrefatte ed enfiate dal caldo soffocante, anche a causa di una stufetta, sono lì a chiedere che qualcuno apra la finestra e disinfetti il locale, visto anche il discreto numero di vermi da cadavere che gironzolano sul pavimento sotto di esso. Mentre un poliziotto, sta lì a vomitare, l’altro, più duro, controlla che gli addetti alla rimozione del corpo, non tralascino nulla, vigilando lui e poi loro che tutto ciò che sta attorno al cadavere venga raccolto e classificato, persino i vermi che se ne stanno cibando. L’unica cosa che verrebbe da chiedere che dovesse essere da qualche parte, e che non c’è, è proprio la pistola, una pistola di grosso calibro, visto che l’autopsia rivela essere morto Svard per un colpo di pistola che l’ha beccato in pieno petto, al cuore: se fosse suicidio, come il caso viene frettolosamente chiuso, si dovrebbe trovare l’arma. Ma l’arma non si trova. E allora Beck comincia la sua indagine, andando a ritroso, interrogando i due poliziotti, i necrofori comunali, il responsabile del procedimento che ha frettolosamente chiuso l’indagine con un verdetto di suicidio (ma senza pistola, in una abitazione rigorosamente chiusa dall’interno con serratura e chiavistelli vari, con la finestra serrata da un chiavistello interno e senza altre uscite) e persino il medico legale, cui la polizia ha dato istruzioni, indirizzando già il caso verso il suicidio, che si è astenuto dal fare qualsiasi altra indagine. Dell’assassinio, perché questo Beck immagina che sia, rimane il rapporto che ha sotto gli occhi ed il proiettile che per puro caso non si è perso. Un po’ poco. Ma a Martin Beck basta: è il classico poliziotto metodico, attento, ligio, che passa tutto al setaccio, un po’ Lord un po’ Carella, che non si lascia scoraggiare dalla pochezza delle prove: neanche sul quel che resta del corpo può investigare, visto che quando gli mollano la patata bollente, son passati quindici giorni già dal ritrovamento del cadavere e , dato lo stato assai precario in cui si trova, e visto che nessuno si presenta a riconoscerlo (ma come farebbe?) o a reclamarne la salma, hanno provveduto a cremarlo; così deve Martin solo affidarsi alle poche risultanze che nell’autopsia erano state attuate esaminando quel che restava degli organi: la ferita d’arma da fuoco è l’unica cosa che potesse essere accertata; neanche era possibile investigare sul fatto che all’assassinato gli fosse stato inferto un qualche colpo per tramortirlo o gli fosse stato somministrato qualcosa da renderlo incosciente. La cosa, una delle poche su cui deve necessariamente basarsi, è che in quella torrida estate, nessuno ha sentito nessun colpo d’arma da fuoco; eppure avrebbe dovuto trovare qualcuno che l’avesse sentita, il commissario, perché il calibro pare piuttosto grosso. Anche se non si può accertarlo con precisione visto che manca il bossolo. Già un’altra cosa strana. Nell’incartamento egli trova un parere di qualcuno: l’arma doveva per forza essere a tamburo, mancando il bossolo, un revolver insomma: se non lo fosse stato, il bossolo sarebbe dovuto essere espulso dalla pistola all’atto dello sparo e trovarsi assieme al corpo e quindi essere ritrovato con esso: ma nessun bossolo si trova.
E’ omicidio allora. Ma..come è avvenuto? Rinunciando alla tentazione di risolvere il puzzle, che si presenta ingarbugliato, Beck, ricomincia dal principio: ritorna nell’appartamento, i cui muri hanno assorbito quell’odore caratteristico della morte, e ne esamina gli arredi e le povere cose ricavando l’impressione che si trattasse di un pover’uomo.
Nello stesso due criminali di primo piano, tali Malmstrom e Mohrén, cronicamente sfortunati perche vengono sempre acciuffati, hanno deciso di mettere a segno un grande colpo, e per farlo si associano ad un altro tipo, che fa il basista e che ha il compito di procurare loro varie cose, tra cui una Santa Barbara di tutto rispetto: pistole, revolver, fucili a canne mozze e pistole-mitragliatrici; egli fa anche il ricettatore e tratta droga e pornografia.
Un giorno per un errore, una vigilessa lo accusa di aver derubato una passante, viene con la vigilessa e la passante portato alla centrale di polizia, perquisito e rilasciato; ha però la sfortuna di beccare un cane antidroga che si interessa stranamente della borsa dalla quale poco prima gli agenti avevano tirato fuori la spesa. Il tipo capisce che deve cercare di farla franca e per questo decide di vendere i suoi “clienti” al procuratore «Bulldozer» Olsson, che si dimostra più che interessato alla cosa. 
Accade però che i poliziotti Larsson e Kollberg che fanno parte della talk-force che si occupa delle rapine, vadano a perquisire la sua abitazione, non trovandoci alcunché di interessante. Anche questa volta accade però l’imprevisto: in un locale condominiale trovano, occultata in una cassa di sabbia, risalente alla seconda guerra mondiale, una borsa militare contenente una parrucca bionda, una camicia azzurra, un cappello ed una pistola automatica, calibro 45, insomma gli indumenti e la pistola che riportano alla rapina in banca in cui c’era scappato il morto. E così questo povero tale, che chiameremo M, che già pensava di essersela scampata, si ritrova coinvolto in una rapina e omicidio di cui non sa nulla: il procuratore è sicuro che alla base del supercolpo che stanno progettando i due con lui ci sia  Werner Roos, un supercriminale.
Malmstrom e Mohrén secondo il Procuratore dovrebbero rapinare una superbanca a Stoccolma; peccato che invece essi abbiano preso di mira una banca di Malmo; e così mentre c’è gente che è pronta a far scattare una trappola altrove, quelli indisturbati fanno il colpo e se ne vanno.
Intanto il commissario Beck per cercare di dare un nome all’assassino si Svard,  comincia ad indagare nel suo ambiente lavorativo: subito raccoglie vari giudizi dei suoi ex colleghi da cui ricava essere stato lo Svard “un gran bastardo”, una persona capace di costruirsi una seconda attività all’ombra dei furti di merce dai colli avuti in affidamento, denunciati come effetto del danneggiamento del trasporto, senza che le stesse agenzie di assicurazione avessero mai sospettato nulla. Le indagini lo portano anche ad un palazzo più elegante della topaia in cui è stato trovato, dove pare abbia abitato qualche tempo prima, dove incontra Rea Nielsen, l’affittacamere, una donna molto diversa dall’ex-moglie, anticonformista da far paura, di cui poco a poco si innamora. Parallelamente all’amore che sente crescere, Beck viene informato da una banca di un conto, intestato a Svard, molto consistente, che contrasta con le sue condizioni indigenti; inoltre egli appura che l’uomo aveva paura di qualcosa, o qualcuno. Dalla successiva constatazione che ogni mese versava un importo fisso sul suo conto, ricava che egli avesse ricattato qualcuno, e che quel qualcuno deve averlo ucciso. Un’osservazione poi della sua amica, che si è chiusa inavvertitamente la porta dell’appartamento alle spalle, gli da modo di capire come il mistero della Camera Chiusa possa essere spiegato. Ma perché questo abbia un valore è necessario capire come egli abbia fatto ad uccidere il malcapitato. E così Beck ritrova il bossolo: è fuori dalla casa, su un pendio erboso che guarda in direzione della casa: come ci è finito là?
A questo punto la rivelazione che incanala le due indagini: delle rapine e della Camera Chiusa: il bossolo ritrovato, si spiega esser stato espulso dalla stessa arma usata nelle rapine.  Ecco come i 2 plot si intersecano. L’assassino verrà così incastrato: la cosa curiosa è che egli, quasi per uno scherzo del destino, o per colpa di altro apparato della società, la giustizia, viene condannato per un reato di cui egli giura essere innocente, cioè una  rapina in banca con il morto; mentre viene assolto dal reato di omicidio nei confronti di Svard, delitto di cui egli aveva riconosciuto la paternità.
Il romanzo di Sjowall e Wahloo è un procedural, anche se particolare: segue l’iter delle indagini di Beck da un lato; Olsson e la Squadra Specialedall’altro. Se li esaminassimo separatamente, avremmo due generi diversi: un hard-boiled classico, con un detective triste, uno sfortunato delinquente, e una storia d’amore; un giallo classicissmo con Camera Chiusa. E ognuno dei due avrebbe la possibilità di un proprio iter autonomo, anche se non la forza di un romanzo. Ecco allora  cosa i due autori escogitano: uniscono i due racconti assieme, dando loro un finale comune e quindi unendoli ad arte, e realizzando un romanzo indimenticabile.
Tra le tante presenti nel romanzo, la figura del Commissario Martin Beck, è quella di un anti-eroe, di un personaggio ormai abituato alla vita consuetudinaria, che all’improvviso si accorge del fatto di non riuscire più a fare le cose che faceva prima dell’incontro con Rea, poliziotto Martin Beck, privo di una qualsiasi ambizione condivisa invece dai suoi colleghi, che ci ricorda tanto l’Arkady Renko di Gorky Park, il poliziotto malinconico di Martin Cruz Smith.
Un’ultima cosa che è una chicca: chi lo leggerà, troverà a pag. 350 la spiegazione del perché abbia detto all’inizio che è un giallo che avrebbe fatto la felicità di John Dickson Carr, e del perché io pensi che probabilmente proprio a Carr i due autori abbiano fatto riferimento, confezionando una Camera semplice ma assai efficace, e in cui il calibro della pistola ha una grande importanza.
Il modo di tratteggiare le figure, di descrivere i luoghi e le circostanze, lo stesso incedere e l’analisi dei particolari, fa sì che l’atmosfera del romanzo non sia mai solare, ma come offuscata da una coltre spessa di nebbia; e delle atmosfere uggiose, la trama conserva la malinconia. E la critica sociale è molto spesso velenosa, come quando per esempio si rapportano le carriere criminali di Malmstrom e Mohrén a quelle di tanti insospettabili che forse sono maggiormente criminali: chi corrompe per appalti e specula sulle abitazioni, chi avvelena l’ambiente, etc..
Se non fosse un procedural, direi trattarsi di un Hard-boiled con movenze da Giallo Classico. E come tutti gli Hard-Boiled di una certa classe, ha il finale in..pianissimo, un finale amaro, con una promozione a Beck che non arriva e lui che dimostra, nell’accettazione della sua mancata promozione, di essere tutto sommato un uomo semplice, del tutto diverso dagli arrivisti che lo circondano.
Un romanzo poliziesco originale nell’ideazione.
Da leggere.

Pietro De Palma

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