martedì 29 novembre 2016

LA MORTE SA LEGGERE raddoppia !!!!

ANNUNCIO IMPORTANTE A TUTTI I MIEI LETTORI

Dal prossimo mese di dicembre, il mio blog storico di narrativa poliziesca, LA MORTE SA LEGGERE, raddoppierà su questa piattaforma.
Coloro che ancora non hanno potuto leggere i numerosi altri miei articoli concernenti romanzi, racconti, attualità del mondo editoriale di crime fiction italiano e internazionale e interviste, potranno farlo su questa piattaforma, collegandosi al nuovo mio blog: LA MORTE SA LEGGERE 2.
Il primo articolo apparirà il 1° Dicembre prossimo.
Spero che altri lettori che ignoravano la mia vecchia piattaforma - che rimarrà operativa purtuttavia - possano conoscere e frequentare questo mio nuovo spazio, su piattaforma google.

Un saluto a tutti.

Pietro De Palma

domenica 27 novembre 2016

Peter Lovesey : Un fantasma per Cribb (A Case of Spirits, 1975) – Trad. Mauro Boncompagni – Il Giallo Mondadori N.2773 del 2002


Di Peter Lovesey abbiamo già parlato in occasione di Il Signore dell’Enigma. Oggi parleremo di un altro suo romanzo, Un fantasma per Cribb (A Case of Spirits, 1975), che vinse nel 1987 il Prix du Roman d’Aventures col titolo francese  Le Médium a perdu ses esprits.
A differenza del precedente che vedeva in azione Peter Diamond ed era ambientato nel tempo contemporaneo, questo vede in azione due altri personaggi  ricorrenti di Lovesey:
il sergente Cribb e l’Agente Thackeray.
L’azione è spostata indietro nel tempo, nell’ Inghilterra di fine Ottocento.
Peter Brand è un giovane medium, introdotto nell’aristocrazia inglese, in continua ascesa per popolarità, da quando ha partecipato in casa di Sir Harley Bratt ad una seduta spiritica, nella quale si sono verificati delle manifestazioni che hanno indotto i presenti, persone non suggestionabili, a parlare in giro dei poteri del giovane. Sia la Signorina Laetritia Crush, aristocratica, che Henry Strathmore, noto craniologo e per di più membro della Società Occultistica, ritengono di essere alla presenza non di un ciarlatano, bensì di uno straordinario medium. Tuttavia, vi sono state delle circostanze, indirettamente legate all’attività di Brand, che hanno richiesto l’interesse della polizia: sia in casa della Sig.na Crush, che in quella del dott. Probert , noto fisiologo dell’Università di Londra, in cui Brand si è esibito nella sua specialità, sono avvenuti degli strani furti: nella prima è sparito un vaso di valore assolutamente irrisorio, da una collezione che invece annoverava pezzi di valore decisamente superiore; nella seconda è sparita una tela, raffigurante una ninfa nuda, di un noto pittore, un quadro che per il soggetto e per la posa, era celato sotto un tendaggio, e di cui ignoravano l’esistenza sia la moglie che la figlia: insomma un passatempo lubrico, da recuperare, ma la notizia del cui furto un personaggio noto non può arrischiarsi di rendere pubblico, in una società come quella vittoriana.
Ecco perché si rivolge all’Ispettore Jowett di Scotland Yard, perché lo aiuti nel recuperare la tela.  A sua volta, tuttavia, quest’ultimo passa la palla delle indagini vere e proprie al Sergente Cribb assistito dall’Agente Thackeray.
Dalle indagini, risulta che mai e poi mai Brand avrebbe potuto rubare il vaso, proprio perché il medium ha una conoscenza non indifferente dell’antiquariato e se fosse stato lui a compiere il furto, certamente non avrebbe sbagliato nel sottrarre un vaso di valore assai modesto se confrontato a quelli inestimabili lì vicino.
Quindi, qualcun altro deve essersi macchiato di quel crimine, ma sicuramente la circostanza della presenza di Brand lì, proprio nei luoghi dove poi sono avvenuti i misfatti, suggerisce di approfondire le indagini, tanto più che ad un’ennesima esibizione del medium, alla quale sono presenti Jowett, Cribb e Thackeray insieme ad altra gente, la presenza di un paio di manette in una busta provoca in Brand una reazione di paura, tanto da suggerire a Cribb e Thackeray un supplemento di indagine.
Tuttavia sia Strathmore sia la Signorina Crush si dicono assolutamente convinti della buona fede del medium, tanto più che Brand rivela delle cose riguardanti uno zio della Crush, lo zio Walter, di cui nessuno all’infuori di lei sa qualcosa, tanto più che è morto, e di cui lui assicura la beatitudine nel luogo dove ora vive.
Perciò viene organizzato a casa dei Probert, un’ulteriore seduta spiritica, proprio da Strathmore in cui Brand sarà chiamato non solo a mettersi tramite il tavolino in contratto con uno spirito ma anche a far sì che si materializzi. La seduta spiritica si compone di due parti distinte: la prima in cui si tenta la materializzazione di qualcosa, ma il medium è collegato, mediante la catena delle mani intorno ad un tavolino, ad i presenti che sono: la Sig.na Crush, la Sig.na Probert figlia del medico, l’ispettore, il medium, il fidanzato della Sig.na Probert,  Sig. Nye ed Henry Strathmore. Durante la seduta si sentono rumori, poi qualcuno avverte una certa presenza nella stanza, ed improvvisamente viene vista una mano fluttuante nell’aria, poi sia la Signorina Crush che Alice Probert dichiarano che quella mano (che pensano sia dello zio Walter, noto bontempone) le ha sfiorate se non toccate, e quando William Nye insorge contro chi, seppure dell’altro mondo, sta toccando la fidanzata, delle arance vengono lanciate contro di lui, anche se non colpiscono solo la sua faccia ma anche un vaso di crisantemi. Fatto sta che la seduta viene interrotta, Brand con spirito cavalleresco, pulisce col suo fazzoletto la mensola del camino bagnata dell’acqua proveniente dal vaso di crisantemi, poi, dopo un po’ comincia la seconda parte in cui avverrà un esperimento mai tentato prima: per avvalorare la serietà della misurazione e la schiettezza del risultato, e per tentare una materializzazione completa dello spirito, è stata preparata una misurazione che coinvolgerà l’energia elettrica, da poco introdotta per uso domestico a Londra, e solo in determinati ambienti signorili: un trono avrà ai due bracci laterali avvitati a ciascuno due poli collegati a garzine imbevute di una soluzione salina; sarà proprio Peter Brand, lì assiso, a fare da tramite all’energia elettrica e chiudere il contatto; ovviamente un trasformatore ridurrà la corrente ad una 20 volts sufficiente a produrre un lievissimo pizzicore, ma un galvanometro collegato al circuito assicurerà con le sue continue misurazioni, che il medium resti seduto, non tentando quindi operazioni fraudolente che possano alterare la serietà dell’esperimento.
L’esperimento comincia e tutto va bene all’inizio. Poi ad un certo punto entra in casa Eustace Quayle, noto studioso di fenomeni occultistici e anch’egli conoscente di Brand, che è sospettato di aver commesso i furti nelle case. In occasione del trambusto, qualcuno rovescia una ciotola con la soluzione salina sul tappeto, su cui è posto il trono su cui è assiso Brand, e su cui posano i piedi del medium; la corrente viene tolta, poi viene rimessa, poi…quando si riva a trovare Brand lo si trova morto stecchito, anzi fulminato, dice qualcuno. Il fatto è che apparentemente non si capisce come possa essere morto: l’unico indizio che sia stato attraversato da corrente ad alto voltaggio, è la posizione contratta di una mano attorno al bracciolo, i capelli ritti in testa e le labbra scoperchiate, in una posa come digrignante i denti.
L’autopsia rivelerà numerose fratture derivate dalla contrazione terribile dei muscoli e la morte certa: in sostanza, non si sa come, quello scranno è diventato una sorta di Sedia elettrica ante litteram. Non si trova nulla che possa aver provocato la morte, e anche se Brand stesso avesse toccato il polo positivo del trasformatore, situato dietro alla sedia, avrebbe dovuto allungarsi ben oltre la distanza consentitagli, neanche fosse stato un gorilla. Insomma non si capisce come egli sia morto, tanto più che il trasformatore è perfettamente funzionante.
Le indagini di Cribb e Thackeray rivelano tuttavia come tutti i presenti chi in un modo chi in un altro avessero motivi per desiderare la morte di Brand, e tutto ciò perché egli non era altro che un vile ricattatore ed un ciarlatano: avendo saputo di essere figlio illegittimo della Sig.na Crush e avendo visto la figlia di Probert posare completamente nuda davanti ad un pittore, mentre la famiglia sapeva che la figlia era impegnata in attività di beneficenza, Brand aveva ricattato più persone perché confermassero le sue qualità di medium e lo aiutassero a frodare gli astanti durante sedute spiritiche appositamente allestite.
In uno spettacolare finale, Cribb dimostrerà la morte di Brand per assassinio, come Brand fosse riuscito a inventare un modo praticamente unico per materializzare uno spirito, usando talco, una camicia da notte e della fluorite, senza interrompere il circuito elettrico, e come l’assassino possa aver utilizzato il trucco di Brand per ucciderlo a sua volta. Lo farà in un triplo finale, accusando prima uno, poi un altro ed infine inchiodando il terzo dei presenti alle sue responsabilità, in un crescendo di tensione.
Ci troviamo dinanzi ad un altro bellissimo romanzo, non c’è che dire! Noto tuttavia una certa differenza rispetto a quello recensito precedentemente, forse anche in virtù del luogo e del tempo scelti per ancorarvi la storia: è come se Lovesey avesse mutato la qualità della sua scrittura e delle descrizioni al diverso tempo. In altre parole, si percepisce immediatamente, nella lentezza con cui procede l’azione, come la storia sia ambientata in un altro tempo: almeno nel caso mio, quando leggo un romanzo ambientato nell’Ottocento, soprattutto inglese, di marca vittoriana, provo un certo spaesamento e noto un certo rallentamento nei ritmi delle azioni. Ancor più quando si tratta di un romanzo Giallo, in cui la tensione narrativa gioca una certa parte. Però, man mano che l’indagine va avanti, seppure stancamente, in quanto non si riesce a capire se e perché si voglia per forza catalogare la morte del medium come assassinio non essendovi prove che essa sia appunto ciò, l’interesse aumenta, in virtù di un pazientissimo dosaggio di indizi:
innanzitutto una foto pornografica trovata nel portafoglio del falso medium, con una serie di numeri e un quadratino disegnato; come essi potessero intesi da una persona analfabeta come Brand ma estremamente ingegnosa  come il modo per ricordare un indirizzo; come l’indirizzo fosse quello di una delle persone coinvolte; come essa fosse legata a lui, come altre, da certi tipi di legami; come egli avesse concepito una serie di ricatti; come durante la prima parte della seduta spiritica per materializzare una forma di mano (in realtà la sua cosparsa di fluorite) egli avesse interrotto la catena e quindi nel momento che almeno una persona che a lui fosse stata collegata aveva gridato alla bontà dell’apparizione, significava che fosse stata sua complice; ed un’altra ancora lo fosse stata, per aver gridato come fosse stata toccata da una mano. Insomma vi è un crescendo situazioni che legittimano un gran finale, che innalza improvvisamente il livello della tensione narrativa fino ad un climax inarrestabile, visto che prima viene inchiodato Probert, poi sua figlia, poi…l’assassino. E in cui Lovesey attraverso il suo personaggio Cribb, finalmente chiarisce come il povero (un gran fetentone in realtà!) Brand sia morto, non in virtù di un oggetto che c’è ma di uno che manca dalle sue tasche  e che invece ci sarebbe dovuto essere. Oggetto assolutamente insignificante, ma che la qualità dell’invenzione narrativa di Lovesey rivaluta per la prima volta credo, nella storia della letteratura poliziesca, in quanto arma mortale.
Per di più le descrizioni di Londra, e degli ambienti occultistici, il ricreare la moda dello spiritismo tipico della fine Ottocento inizio Novecento (ricordiamo che per esempio Conan Doyle fu un famoso studioso dell’occulto e di spiritismo) fà del romanzo un’autentica perla, così come le descrizioni delle prime macchine per generare energia elettrica. Insomma il romanzo ci immerge in un’atmosfera vera, come se per un momento anche noi appartenessimo a quel mondo e ci dedicassimo alle stesse incombenze.
La caratteristica maggiormente indicativa della qualità narrativa di Lovesey, mi sembra però il riuscire a spezzare il greve grigiore che una certa ambientazione d’epoca può produrre, quasi il bianco nero di una pellicola muta, con degli sprazzi di umorismo e di dissacrazione: la foto pornografica delle modelle inizio secolo; la Sig.na Laetitia Crush, rispettabilissima lady vittoriana, amica dei Probert, che nessuno sa essersi concessa più volte ad un vetturino taccagno e di qualità morali ben al di sotto (sembrerebbe, ma poi non è vero) delle sue, nella sua angusta carrozza, invece che su un letto profumato;  il Dottor Probert, membro della Royal Society, rispettato per le sue virtù morali, che nessuno sa doversi concedere visioni lubriche (come oggi vedere un film porno) di quadri con modelli femminili in pose e situazioni discinte, essendosi sposato ad una moglie (dice lui, “di una noia…”); la moglie, Winifred Probert, che mentre il marito si concede i suoi piaceri e le sue occupazioni, si incontra furtivamente e di nascosto in camera sua con il Dottor Quayle, vecchio suo amico e compagno di sbronze (e di altro !); infine la figlia Alice, fidanzata all’integerrimo Nye, che dice essere impegnata in attività di beneficenza ed invece si presta ad essere ritratta completamente nuda. E Nye infine che non sapendo nulla (felice e cornuto!) ma sospettando qualcosa, segue la fidanzata e finisce non per sorprendere lei, ma il povero agente Thackeray mandato da Cribb a pedinarla, appeso alla grondaia, che non vuol dire cosa abbia visto (le chiappe allo stato evitico di Alice) e perciò per cavalleresco onore si becca un pugno nell’occhio da Nye, che lo ritiene un guardone.
Insomma situazioni da feuelliton che spezzano l’azione quando è o sembra troppo snervante e donando qui e là delle pause, la rendono più frizzante.
Per di più, la soluzione è veramente straordinaria. Non è un delitto impossibile, ma il trucco inventato da Lovesey /Brand e sfruttato dall’assassino dimostra ancora una volta una ineguagliabile ricchezza di immaginazione: in un certo modo mi ricorda The Black Spectacles di John Dickson Carr: come una persona sarebbe dovuta essere in un posto ed invece  trovarsi altrove, pur convincendo gli astanti di non essersi mossa dal suo scranno. Anzi secondo me, proprio questo romanzo di Carr è il trampolino da cui Lovesey può aver preso le mosse!

Pietro De Palma

venerdì 25 novembre 2016

John Dickson Carr : Rombi di tuono per il dottor Fell (In Spite of Thunder, 1960) – trad. Mauro Boncompagni – 1^ ediz. Il Giallo Mondadori N.2271 del 1992, 2^ ediz. I Classici Mondadori N.1349 del 2014



Il romanzo di Carr risale al 1960. In origine questo romanzo in Italia era stato pubblicato da Editrice Ellisse col titolo “E adesso, Dottor Fell?”.
La prima edizione Mondadori fu allestita nel 1992 per Il Giallo, con la traduzione di Mauro Boncompagni, una delle prime che lui realizzò per Mondadori.
Eva Eden è un’attrice famosa, ma lo diventa maggiormente quando, nella Germania nazista, fa propaganda al regime. Fidanzata di Hector Matthews, viene invitata con lui a Berchtesgaden, nel Kehlsteinhaus di Adolf Hitler. Mentre è lì, Matthews, un bell’uomo alto, ma che non ha mai sofferto di vertigini , cade dalla terrazza, sfracellandosi nel burrone sottostante. E’ evidente che si tratti di incidente, perché non ci darebbe stato alcun motivo per suicidarsi, e per di più Eva era distante qualche passo da lui  come i testimoni Gerald Hathaway e Paula Catford, pure lì affermano, cosa del resto suffragata dai gerarchi nazisti lì presenti. Che però avrebbero avuto validi motivi per mentire e fare un favore alla bella Eva, che alcune voci dicono sia stata la causa della morte di Mathhews.
Anni dopo, Eva, che si  è sposata nel frattempo col famoso attore Desmond Ferrier e vive a Ginevra, vorrebbe togliere definitivamente ogni chiacchiera maligna sul proprio conto. Ecco perché invita i due testimoni del lontano episodio del 1939 di Berchtesgaden. E invita anche Audrey De Forrest, di cui è infatuato il figliastro di Eve  e figlio di Desmond. Audrey in realtà ha accettato la corte di Philipp quasi per ripicca nei confronti di Brian Innes, un pittore che vive a Ginevra, che non vuole riconoscere di esserne innamorato e che è amico del padre di lei, il quale, conoscendo la sinistra fama di Eve, chiede a Brian di impedire che la figlia accetti l’invito di Eve. Infatti lui è uno di coloro che credono Eve essere stata la causa della morte di Matthews, ed ora stranamente gli altri due invitati sono quelli che erano presenti diciassette anni prima alla morte dell’attore. Audrey non accetta e parte per Ginevra. Quando Eve Ferrier va all’Hotel du Rhône, dove Innes sta cenando con Sir Gerald Hathaway, avviene uno strano incidente: una bottiglietta che dovrebbe contenere profumo, contenuta nella sua borsa, in realtà contiene, a sua insaputa, acido solforico. L’indomani di questo strano incidente, ne avviene uno ben più grave, quando Eve, nella sua villa, cade da un alto balcone, sfracellandosi nel burrone sottostante, come se fosse stata buttata da qualcuno; solo Audrey è vicina, ma non tanto da averla spinta. Stranamente questa morte ripete quella di Matthews.
Desmond Ferrier, il marito di Eve, padre di Philipp ha nel frattempo chiamato Gideon Fell, suo amico a sbrogliare la matassa, cosa che il mastodontico Fell farà non prima che un attentato da parte di un personaggio mascherato, ne L’antro delle Streghe, un caratteristico locale di Ginevra, abbia  mancato per un soffio Audrey.
Classico romanzo di un Carr già acciaccato da problemi di salute, non è incentrato su una Camera Chiusa, come suo solito, ma su un’ affascinante variazione del delitto impossibile: ossia come sia possibile uccidere a distanza e con che arma, senza lasciare traccia, e facendo in modo che tutto lasci pensare che si tratti di un incidente. Questa variante di delitto impossibile era stata già vagliata da Carter Dickson, pseudonimo di Carr, precedentemente, nel 1939. E proprio il 1939, diventa il trait d’union tra il romanzo di oggi ed uno di ieri, tra John Dickson Carr e Carter Dickson, tra le due facce di una stessa medaglia. E’ come se Carr, cinquantatreenne, avesse voluto riprendere un discorso, riaffermando la sua identità, e legando In Spite of Thunder a filo doppio con l’altro: The Reader Is  Warned, Lettore, in guardia !, un romanzo della serie di Henry Merrivale, in cui si dibatte se è vero che un assassino possa uccidere a distanza, realizzando il cosiddetto “delitto perfetto”. Ma, come due romanzi sono legati attraverso il tempo, così anche nello stesso romanzo presentato oggi, due delitti si ripetono nel tempo, parrebbe alla stessa maniera: infatti, attraverso il delitto attuale, si reitera il ricordo di un altro accaduto nella fiction nello stesso anno in cui Carr/Carter Dickson aveva pubblicato il suo romanzo, appunto il 1939.
Ovviamente Carr ci sguazza in situazioni di alterazione storica, di flash-back: ha modo di inventare un contesto plausibile, di descriverlo con colori vividi e di far calare il lettore in un’atmosfera ancora una volta unica: quella della Germania nazista, pochi mesi prima dell’invasione della Polonia. Secondo me, Carr è stato il più grande romanziere storico di genere poliziesco, mai nato. La sua tecnica è diversa da quella seguita più comunemente oggi, almeno in Italia: mentre oggi più che altro si affermano gli artisti e letterati detectives (Leonardo Da Vinci, Dante Alighieri, Pico della Mirandola) in Inghilterra c’è ancora il Giallo storico, derivato da Carr, quello cioè in cui viene ricreata l’ambientazione, fedele il più possibile, in cui si muove un certo personaggio: è il caso seguito in The Devil In Velvet, oppure in The Witch of the Low Tide, e in quei tutti romanzi quasi tutti senza personaggio fisso, in cui Carr ricrea mirabilmente un certo avvenimento storico (a questa impostazione è fedele da noi, Comastri Montanari più che altro). Tuttavia, Carr, nel romanzo che presento, crea una sintesi: allaccia il passato al presente, e lo fa attraverso la rievocazione storica di taluni personaggi: ricrea così il tempo immediatamente antecedente all’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Come fa? Introduce un certo ambiente (nel nostro caso è il Nido d’Aquila di Adolf Hitler, la Kehlsteinhaus, a Berchtesgaden, sulle Alpi Bavaresi, il famoso rifugio di Hitler su un picco delle montagne ( dotato di un ascensore personale ) in cui il dittatore riceveva di solito rappresentanze (Mussolini glielo dotò di camino adornato di marmo rosso italiano). E lo fa in maniera suggestiva. Mette persino intorno a Eve e Matthews, sulla terrazza – quella che si vede in alcune foto d’epoca con Hitler, Eva Braun, Gobbels – lo Scharführer Hans Johst  con alcuni altri personaggi minori nazi  . Ora che Hans Johst  fosse o meno Scharführer non lo so né gli fosse stato conferito il grado come una sorte di riconoscimento ( era il primo grado di ufficiali delle SA e poi uno dei gradi più bassi delle SS, una specie di Sergente) ma è certo che Hans Johst  non è un soggetto inventato: infatti Johst  fu nella Germania nazista quello che nel regime sovietico fu Majakovskij, ossia il poeta di regime.
E’ bene dire che anche il modus operandi dell’assassino, il suo strumento di morte, l’arma cioè, per quanto impropria e già introdotta in un  radiodramma del 1942, già prima che Fell chiarisca come abbia fatto l’assassino ad uccidere a distanza ( il modo và detto è quantomai carriano perché carico di suggestioni) viene annunciata in tono sommesso, come se Carr desse al lettore attento un indizio su come indirizzare la sua indagine, sottovoce. Infatti a pag. 122 dell’edizione del 1992, Carr fà raccontare la storia di un celebre delitto, per cui la Svizzera è famosa, quello dell’Imperatrice Elisabetta d’Austria, nel 1898, a Paula Catford: l’imperatrice fu pugnalata da uno stiletto così sottile che non si accorse di esserlo stata, e così camminava non sapendo di essere virtualmente già morta: infatti lo stiletto aveva trapassato il cuore e il polmone, determinando una emorragia interna importante, cosicchè di lì a pochi istanti la vittima morì non sapendolo. Ora, attraverso questa rievocazione, a parere mio, Carr fornisce subdolamente, un indizio importantissimo al lettore attento. E’ come se dicesse: “guarda, anche in questo caso non si tratta di assassinio a distanza, ma di qualcosa che è stato fatto prima, di cui la vittima non si è accorta, se non nel momento in cui è deceduta!”. E nel ricordare il famoso delitto di Ginevra, Carr ancora una volta fa un flash-back, riprende, cose di cui aveva parlato anni prima.
Come nel mio primo breve saggio pubblicato sul Blog Mondadori, che parecchi ricordano, incentrato sui primi 4 racconti di Bencolin, mettevo in luce le affinità tra Bethune e Bencolin, e quindi tra il romanzo del 1972, Deadly Hall e quello del 1930, It Walks By Night (http://blog.librimondadori.it/blogs/ilgiallomondadori/2009/09/07/la-prima-produzione-di-john-dickson-carr-i-quattro-racconti-di-bencolin/ ), così Carr in questo romanzo fa un altro flash-back. Infatti, ricordando il caso del 1890, è come se stendesse un ponte temporale e ritornasse indietro nel tempo, quando in He Who Whispers, 1946( Il Terrore che mormora ), aveva parlato di un delitto simile: i giochi di specchi sono sempre in agguato in Carr!  Infatti in quel romanzo del 1946, si parla di un Dottor Georges Antoine Rigaud, che avrebbe dovuto tenere una conferenza su un celebre delitto che coinvolse una famiglia inglese a Chartres, in Francia, nel 1939 e che poi muore in circostanze a dir poco misteriose, sul tetto di una torre. Guarda caso ecco di nuovo il 1939. E’ come se fosse un catalizzatore! E come non riconoscere l’evidentissima somiglianza tra il Rigaud di He Who Whispers e il Grimaud di The Hollow Man? Non solo. Il gioco di specchi tra questi altri due romanzi è chiaro: Fay Seton, personaggio presente nel primo dei due romanzi, era stata accusata dalla calunnia del popolino, di Vampirismo. E guarda caso qual’è uno dei temi del secondo? Il vampirismo. Che poi ricorre anche in un radiodramma, Vampire Tower, titolo che sarebbe dovuto essere quello al posto di The Hollow Man, se all’inizio della prima stesura fosse seguito un seguito. Invece, come pochi sanno, dopo il falso inizio di Vampire Tower,( il romanzo, non il radiodramma!) in cui era calato di nuovo Bencolin, Carr preferì cambiare registro e inserire il Dottor Fell:
After the false start in Vampire Tower (which he had rewritten as The Three Coffins), Carr realized that he could not bring back the satanic Bencolin who had enjoyed tormenting his prey. The original Bencolin of Carr’s college stories, however, had been gentle, amiable, and even a bit shambling. If Bencolin were to come back to life, he would have to be that original Bencolin” (Douglas G. Greene, John Dickson Carr: The Man Who Explained Miracles, p. 173).
E quale personaggio è presente sia in The Hollow Man/The Three Coffins, sia in Vampire Tower ? il Dottor Grimaud. E di cosa si parla? Di un’avvelenatrice.
Vabbè che le avvelenatrici sono presenti in gran parte dell’opera di Carr: come non ricordare The Bourning Court? Guarda caso in In Spite of Thunder, cosa pensano coloro che ritengono Eve l’assassina di Mathhews? Che l’abbia ucciso con un fantomatico veleno (quindi è un’avvelenatrice) che non lascia traccia. Poi si capirà che il veleno c’entra, eccome, in questo romanzo anche se Eve non era affatto un’avvelenatrice. Semmai lo è…
Già, un veleno. Usato per uccidere a distanza. Così il veleno è l’arma. Ma..come ha fatto ad arrivare a destinazione il veleno se non ne è stata trovata traccia?
Paul Halter in un suo romanzo ha introdotto proprio il medium usato da Carr, all’interno di un ambiente soprannaturale unico (sarà il prossimo Halter che recensirò), per di più lo stesso “tramite” è menzionato nel titolo. Più non voglio dire.
Ma cos’ha di bello questo romanzo ?
Il pregio del romanzo, non sta tanto nell’atmosfera o nella soluzione (ripresa da un radiodramma: quanta grazia in quei meravigliosi testi!) quanto nella menata per il naso del grande vecchio, che confonde le acque con un sacco di discorsi fuorvianti, in cui si dicono sciocchezze a non finire: tu pensi chi cavolo possa essere il colpevole, analizzi i possibili candidati, li elimini uno alla volta (Paula è troppo ovvio; Audrey ti chiedi cosa c’entra iin tutto questo pasticcio; Desmond potrebbe esserlo ma poi ti chiedi perchè mai avrebbe chiesto l’ausilio del dottor Fell, anche se qualche volta il colpevole troppo sicuro fa intervenire il detective; ti chiedi persino se lo stesso Brian Innes possa esserlo (strano, il cognome richiama un altro grande scrittore!), ma non riesci a capire chi sia il vero colpevole, che sta lì nell’angolo, che confonde le acque con lo strano attentato ad Audrey. E poi Carr il Grande, estrae dal cilindro un colpevole assolutamente plausibile e nel tempo invisibile. E si spiegano tante cose. Tra i Carr, della serie Fell, degli ultimi anni, In Spite of Thunder è il migliore, senza dubbio. E giustamente è stato riproposto da Mauro, dopo tanti anni.
L’ho riletto qualche giorno fa dopo tanti anni, e il piacere è stato maggiore.

Pietro De Palma

sabato 19 novembre 2016

Christianna Brand: Cockrill perde la testa (Heads You Lose,1941) – trad. Marilena Caselli – I Classici del Giallo Mondadori N.890 del 2001




Il primo romanzo di Christianna Brand, con l’Ispettore Cockrill fu Heads You Lose, scritto nel 1941. Prima di esso, nello stesso anno, Christianna aveva però esordito con “La morte ha i tacchi alti” (Death in High Heels), romanzo che le aveva riservato un’ottima accoglienza e che le era servito di sprone, quando ancora lavorava come commessa, convincendola a continuare la sua carriera di scrittrice. E’ un romanzo con dei delitti impossibili e che ha una vena sottilmente macabra, venata dal velo della pazzia e comunque dalla bizzarria, che dona al romanzo un suo fascino particolare
Stephen Pendock è lo squire del villaggio. Grace Morland è una pittrice, che ora gli sta parlando nella terrazza della sua casa. Di lui è innamorata, forse sì forse no, ma certamente le farebbe piacere vivere il resto della sua vita con lui a Pigeonsford. Il fatto è che Stephen, così misurato, così sobrio, e anche così maturo, ama segretamente Fran, una delle nipoti di Lady Hart che lui sta ospitando nella sua magione. Fran è però così giovane, così sbarazzina, che Stephen è in dubbio se veramente lui, cinquantenne, possa interessarle: il suo al momento è un amore platonico e non sa se riuscirà mai a diventare altro.
Grace dipinge nei vari momenti della giornata i paesaggi che più la attirano: dalla terrazza di Stephen può dipingere godendosi il paesaggio migliore, però sa di essere tollerata; nonostante ciò ha imposto la sua presenza, che per gentilezza non è stata rifiutata. Si accorge subito che Stephen non ha occhi che per Fran, nonostante le faccia gli occhi dolci anche James Nicholl, giovane e ricco scapolo. E siccome è gelosa di Stephen, pensa bene di disprezzare l’unica cosa per cui Fran si sia dimostrata entusiasta, un cappellino vezzoso, che fà vedere a tutti: a sua nonna, Lady Hart; a sua sorella Venetia e a suo cognato Henry Gold, ricco ebreo; a Stephen; e a Grace, che si trova lì per dipingere, che esclama: “..neanche morta in un fosso, vorrei farmi vedere con un cappello del genere!” (pag.19).
Fatto sta che quella notte viene trovato il suo cadavere, nella proprietà di pertinenza della magione, proprio in un fosso, con il cappellino di Fran calcato sulla testa, dal vecchio maggiordomo Bunsen, che è andato a trovare la sorella in bicicletta, ed era di ritorno a Pigeonsford. Il fatto sconvolgente, che lascia tutti inorriditi, a partire da Bunsen stesso, da Lady Hart, Pendock e gli altri è che Grace Morlan non è stata solo uccisa, ma anche decapitata; e che sulla testa, a mò di sfregio, è stato calcato il cappellino da lei vituperato. E’ evidente che solo alcune persone erano a conoscenza di quanto aveva detto Grace, e sempre solo le stesse persone sapevano dove il cappellino fosse stato riposto, cioè in quale posto della casa: quindi è evidente che se un colpevole deve ricercarsi, lo si deve trovare nella casa.
Di questo è soprattutto convinto l’Ispettore Cockrill, detto familiarmente Cockie, dagli occupanti della casa, perché abitante da quelle parti: è rimasto profondamente turbato alla vista del cadavere, anche perché lui Grace Morlan l’aveva conosciuta in gioventù: “una capra sentimentale” era per lui, e quindi non aveva mai avuto alcuno stimolo affettivo nei suoi confronti nonostante ella avesse in più occasioni tentato di farsi sedurre. Triste il destino di Grace: nonostante avesse cercato di non restare “zitella” per il resto della sua esistenza, nessuno le aveva mai dimostrato sentimenti affettuosi. Forse anche per l’acidità che ella dimostrava alla prima occasione. Fatto sta che ora è morta. E anche male.
Il primo campanello di allarme per Cockie, è la telefonata che arriva in centrale, e che proviene dalla casa di Pendrock : a parlare è una donna, che dice di essere l’assassina, e che di lì a poco anche Fran morirà. Cockrill deve trovare l’assassino prima che uccida di nuovo; e siccome anche l’estate prima, una sguattera, dopo aver salutato il suo innamorato, era stata trovata nel boschetto della tenuta, con le mani legate dietro la schiena e la testa staccata dal corpo mediante un’affilatissima falce, lasciata lì dappresso, la cosa diventa maledettamente urgente.. E’ ben strano che a distanza di un anno vengano trovati ben due cadaveri decapitati nella stessa tenuta. E di questo è certo Cockie.
Un altro personaggio fa capolino, alla morte di Grace: è la sua sorellastra Pippy Le May, attrice.
Pippy Le May odiava sottilmente la sorellastra. Quando è avvenuto il delitto era lontana e quindi a ben donde non può essere coinvolta. Tuttavia, trova ben presto come incunearsi nella vicenda. Pippy che è sveglia, ha visto qualcosa in quella casa, e pensa bene di approfittarne. Ha intenzione di ricattare qualcuno? M anche lei viene ben presto uccisa, in un modo atroce: anche lei decapitata.  Vicino ai binari. E’ come se qualcuno, dotato di una forza enorme, le avesse strappato il collo dal tronco, non lasciando impronte nella neve. E riservando di nuovo alla vittima delle attenzioni a dir poco strane: se sulla testa mozza di Grace era stato messo il cappellino di Fran, ora attorno al collo maciullato di Pippy l’assassino ha messo la sciarpa della donna. Insomma, tre persone decapitate, in meno di un anno. Tutto gira attorno a questa casa, una casa maledetta.
Cockrill indaga ma ben presto si trova contro un muro di omertà: dev’essere stato qualcuno della casa, sicuramente, ad uccidere Grace Morland, e forse anche Pippy Le May, e forse anche la sguattera l’anno prima. Certo che è strano che accadano tre delitti, tutti con le stesse caratteristiche, nello stesso posto! Cockrill ci pensa e fa le sue congetture, ma rimuovere il muro che hanno creato gli stessi appartenenti della casa attorno a loro, vicendevolmente, non è poca cosa. Tutti sembrano, o meglio, vogliono credere, che il responsabile sia venuto dall’esterno, ma neanche loro ne sono certi. Infatti, come l’omicidio di Grace è quantomeno strano, per il particolare del cappellino, che una mano beffarda e nello stesso tempo folle, ha calcato sulla testa mozza della pittrice, segno che per forza qualcuno, nonostante tutti neghino, e nessuno abbia visto nulla, deve essere rientrato a casa, aver sottratto il cappellino dalla scatola dove era risposto, e averlo portato via, anche l’omicidio di Pippy non si può dire che non sia curioso: Pippy è rientrata a casa sua, ma si è scordata gli occhiali a casa di Pendrock e quindi ha riferito alla sua domestica che vi sarebbe ritornata per riprenderseli; ma non è più ritornata. La qual cosa collega nuovamente un delitto a casa Pendrock. In questo caso però, il particolare che rende il tutto più difficile, è che intorno al corpo non vi siano orme ma una distesa di neve intatta: come avrà fatto l’assassino ad uccidere Pippy?
In una girandola di colpi, Cockrill inchioderà l’assassino, meno colpevole di quanto gli stessi delitti avrebbero fatto pensare, per il delitto delle due sorellastre, ma non per quello della sguattera, di cui sarà incolpata altra persona.. Non prima che sia stato fatto il nome per l’assassino: di Trotty, la cameriera; di Pippy (per Grace); del vero assassino; di Lady Hart. Perché, se è stato fatto il nome dell’assassino (da Cockrill, che lo ritiene responsabile, e ne spiega le azioni e la colpevolezza), poi viene fatto quello di altra persona? Perché qui la Brand ricorre ad un artificio che userà altre volte, per es. in Tour de Force: indicare il vero assassino, per poi inventare un’altra soluzione che lo metta in ombra, e ritornare infine sulla colpevolezza di quello.
Ancora una volta Christianna Brand stupisce e ammalia. E ancora una volta, un segno distintivo del suo stile narrativo, sono le multiple soluzioni, che si succedono l’un l’altro, e i molteplici colpevoli indicati e scartati volta per volta; ma anche le molteplici identità delle stesse persone, come abbiamo visto già in altri romanzi, per esempio in Tour de Force. Ma siccome questo è il primo romanzo, la cosa è ancora più particolare.
L’identificazione dell’assassino giunge quasi inaspettata. Dico quasi, perché il lettore attento ( che avesse letto altri romanzi in cui un certo particolare ricorre) potrebbe essersi insospettito, per una certa cosa ( cui non accenno, altrimenti è come se facessi il nome dell’assassino). Questa cosa però ricorre in altri romanzi: mi ha ricordato Helen McCloy, circa il suo capolavoro sul Doppelganger; e soprattutto, nella stessa modalità, in uno dei capolavori di Paul Halter, Le Brouillard Rouge. In altre parole, l’assassino non è pienamente responsabile, perché è pazzo, e dopo aver ucciso, non si ricorda nulla: è come se avesse agito in stato di trance, perché epilettico. Ora, di assassini folli nei romanzi di Halter, ve ne sono parecchi, ma, in quel romanzo, l’assassino ed il suo modus operandi sono indicati due volte: prima si accenna ad una certa cosa che fa, e poi, in altro passo del romanzo, riprende quest’azione nel particolare frangente che ha descritto prima, però spiegandola in tutta la sua orribile valenza. Qui accade la stessa cosa.
Altra cosa interessante, perché verrà usata anche successivamente, è la presenza di un prologo: vedremo una cosa simile per esempio in Death of Jezebel.
Infine, vi è il ricorso a soluzioni che contemplino le Camere Chiuse: in questo caso, essa è spiegata facendo riferimento alle qualità ginniche dell’assassino (già Carr vi si era cimentato, per esempio in The Footprint in the Sky ), in un modo particolare, che sarà pari pari ripreso da Joseph Comming in un suo racconto; e molto dopo, anche in un romanzo di William De Andrea: Killed on the Rocks. Ma la cosa veramente interessante è che in questo romanzo, vi sono tre vittime e due distinti assassini. Cosa significa? Che Christianna Brand propende per l’estrema originalità, e per il non legarsi al carro di chicchessia, già nella sua opera prima. Il che rivela anche una grande sicurezza di sè. Per di più l’escamotage, diciamolo pure, è il vero “coup de theatre” del romanzo. L’avevamo detto a proposito di Agatha Christie, perché lei in due occasioni aveva dato  una spallata al Whodunnit classico, così come l’aveva impostato con le sue Venti regole S.S. Van Dine, ma nel caso di Christianna Brand, la cosa è ancor più straordinaria, perché viene compiuta in occasione del suo esordio: mentre Van Dine, per non disorientare il lettore aveva proibito che vi fosse in un romanzo poliziesco ad enigma più di un assassino, qui ve ne sono due!
Mi vien da sottolineare, ancora, il ricorso della Brand a delle messinscene spettacolari: in questo romanzo, sia nel caso dell’omicidio della sguattera, sia nel caso dell’omicidio di Grace e di Pippy. Ma la cosa avviene anche negli altri suoi romanzi, e in alcuni suoi racconti.
Infine, un dato caratteristico: se si fà caso, in alcuni romanzi, le vittime di Christianna Brand vengono decapitate. Non accade solo in questo suo primo divertissement macabro, ma anche in Death of Jezebel. Io ritengo che probabilmente questo possa essere messo in relazione anche col fatto che la Brand era nata in Malesia, nel Borneo, dove i dajachi praticavano la decapitazione dei nemici: questa orribile pratica può esser rimasta impressa e poi riprodotta nei suoi “delitti di carta”.

Pietro De Palma

lunedì 14 novembre 2016

Pierre Boileau : La pietra che trema (La pierre qui tremble, 1934) – trad. Aldo Albani – I Grandi Gialli Pagotto, Anno II, N.8, del 29 agosto 1950

La Pierre qui tremble è il primo dei romanzi di Boileau. E lo si vede subito:  è un romanzo che narrativamente parlando è più vicino ai romanzi  anni venti che a quelli successivi.
Comincia con Andrè Brunel (il personaggio che animerà tutti o quasi i romanzi di Boileau) che qui appare per la prima volta, che nel treno che lo sta portando in villeggiatura, si accorge che un individuo sospetto sta aprendo uno dopo l’altro gli scompartimenti del vagone dove lui si trova per guardare dentro.  Lo osserva e lo sorveglia con discrezione ma abbastanza da vicino da sventare un’aggressione probabilmente mortale ai danni di una giovane fanciulla, Denise Servières. La giovane, appena ventenne, si sta recando in Bretagna dove dopo una settimana è previsto il suo matrimonio con il Signore Jacques de Kervarech, al suo castello chiamato “La Pietra che trema”, in virtù della pietra che costrituisce la chiave di volta dell’arco che introduce nel castello, che sembra cadere, trema, ma non cade.
Brunel capisce che l’aggressore proveniva da Brest, avendo raccolto il biglietto che gli era caduto nella colluttazione: cioè aveva organizzato le cose per partire da Rennes e ritornare a Brest dopo aver eventualmente ucciso la giovane. Si strugge perché è da dove lui è in villeggiatura, sul mare, che l’aggressore è partito per uccidere la giovane. Chissà se riuscirà nuovamente nel suo intento.. Per questo Brunel si ripromette al più presto, dopo essersi riposato qualche giorno, di raggiungere la giovane al castello. Cosa che fa invero, in tempo per sventare un altro tentativo di assassinio, questa volta perpetrato nel bosco che circonda il castello, sempre  ai danni della giovane donna.
A questo punto, promette a lei e al suo fidanzato di stabilirsi al castello finchè lei non sarà sposa di Jacques: conosce anche il dottor Nicol, il medico del conte, ed il Conte stesso di Kervarech, tutore di Jacques.
I misteri non cessano: mentre Denise, Jacques, il Conte e Brunel stanno nel salone dove Denise sta suonando il pianoforte, Brunel vedendo in direzione della porta, prima la luce attraverso la toppa della porta e poi il buio, capisce che qualcuno, al di là della porta socchiusa, ha spento la luce ed è lì in agguato: Capisce di dover agire. Da istruzioni agli altri là presenti e poi con un balzo apre la porta, in tempo per vedere un’ombra che fugge al primo piano del nuovo castello. Non avendo altra via di fuga, si rinchiude nel bagno. Il bagno ha due entrate: una nel corridoio e una nella camera di Jacques. Ma pur presidiando tutt’è e due le uscite, e stando il conte al di fuori armato (che ha sparato allorchè il fuggiasco si è affacciato alla finestra), l’intruso, dopo aver aperto i rubinetti della vasca, fugge. Da dove? Attraverso lo scolo dell’acqua? Fa tto sta che quando si irrompe nella stanza. Non si trova nessuno. E l’altra uscita è ancora chiusa all’interno. Il Conte è sempre lì nel giardino, ha sparato la prima volta e scruta le finestre, per cui quando gli dicono che il fuggiasco è svanito, non crede alle sue orecchie. Brunel non riesce a capire come sia potuto fuggire. Non è però la sola cosa che non riesce a capire.
Denise poi racconta a Brunel di come qualche notte prima, non trovando sonno e tornandole alla mente la brutta esperienza vissuta in treno, aveva voluto respirare un po’ l’aria della notte, e nel parco aveva trovato Jacques tutto vestito che si aggirava furtivo e che alle richieste di spiegazioni della giovane aveva risposto parlando un segreto minaccioso del quale non poteva rendere edotta la fidanzata.
Brunel vuole capire cosa ci facesse Jacques a quell’ora nel parco e pertanto decide di sorvegliarlo di notte, scoprendo che di notte si allontana in direzione della vecchia torre, l’unico resto dell’antico castello, che accompagna la nuova costruzione in cui la famiglia vive. Riuscitosi ad arrampicare, assiste ad una stranissima scena: nella torre Jacques si è incontrato col Conte e lì ripete una serie di frasi, assolutamente identiche a quelle che pronuncia il suo interlocutore:ò. Il tutto poi si risolve con una gran risata ed un brindisi finale.
Brunel è sempre più attonito: non capisce nulla di quello che gli accade intorno.
Le cose a questo punto si ingarbugliano: scompare un domestico, il cameriere personale di Jacques, Yvon. E’ Annette, la sua fidanzata, altra domestica , a dare l’allarme. Lo trovano riverso, in gravi condizioni, sulla scogliera, pugnalato. Yvon è in fin di vita, ma tuttavia fissa il castello e ad un certo punto la sua facci e si contrae per il terrore: ha visto Jacques affacciato alla finestra: teme che lui possa ucciderlo. Un lampo e Brunel, temendo il peggio, si lancia verso la casa: Jacques non è più lì. Non ci sono altre uscite se non quella attraverso cui Brunel sta salendo al primo piano: eppure di Jacques nessuna traccia.  Visto che nella sua stanza non c’è e la porta del bagno è bloccata questa volta dalla parte della stanza, decide di andare nel corridoio che porta all’altra porta del bagno, ma neanche qui c’è Jacques. Ritorna indietro non capendo da dove possa essere uscito. Trova poi giù, il povero Jacques col cranio spaccato da una bastonata ma ancora vivo. Tuttavia non capisce come possa essere arrivato lì, su lui era arrivato alla casa in men che non si dica  e certamente non aveva visto uscire il giovane, né tantomeno il suo aggressore da dove lui era  entrato.
Poi..l’affare della lettera.  E’ stata spedita una lettera che è arrivata, indirizzata a Brunel. Annette l’ha vista, il conte pure, ma..la lettera è scomparsa. Il misterioso aggressore fantasma se ne deve essere impossessato. Perché? Era importante? Tuttavia chi l’ha scritta, tale Marie Calvez, aveva avuto l’accortezza di inviarne un’altra, uguale alla prima, al dottor Nicol. Così i due vengono a sapere che quella donna forse è a conoscenza di qualcosa che possa spiegare il tutto. E’ colei che ha visto nascere Jacques. Promette di dire tutto. Ma prima che avvenga, qualcuno, sempre lui, il fantasma misterioso cerca di ucciderla. Non prima che però lei riveli qualcosa a Brunel. Ora Brunel è in grado di cominciare a ricostruire l’arcano, ma ancora una volta il nemico è in agguato nell’ombra: appena l’auto con  Brunel alla guida arriva al castello, “La pierre qui tremble” che ha resistito per centinaia d’anni alla gravità, scalzata dal criminale e posta in equiolibrio, appena il rombo della macchina è sotto di lei, cade pesantemente, appresso alle altre pietre del portale sulla macchina di Brunel, che per un miracolo resta solo ferito:.
Ci sarà ancora un tentativo di aggressione a Jacques ferito, prima che il colpevole non venga individuato e messo nella condizione di non poter nuocere:  tenterà l’impossibile, cadendo poi sulle rocce. Prima che egli cada sulla scogliera, se ne vede il viso sconvolto dalla furia: è Jacques. Jacques?
Brunel ricostruirà la storia di un terribile segreto, ed una infame macchinazione.
Romanzo pieno di tensione, a metà potrei dire tra un thriller, tanto l’angoscia pervade le pagine, ed un mystery, per gli interrogativi, veramente stuzzicanti che pone (una Camera Chiusa nel bagno ed una al contrario, quando Jacques scompare dalla casa per essere ritrovato poi ferito dabbasso alla casa per una bastonata al cranio: al contrario perché a determinare l’impossibilità non è una porta chiusa all’interno di una stanza ma una chiusa all’esterno della stanza, che quindi non può essere stata usata per entrare nel bagno ed uscire poi nel corridoio), è interessantissimo per la questione che pone, che poi è alla base della soluzione.
Comunque mi pare di poter tranquillamente affermare che qui, pur essendoci un tipico ambiente da Belle Epoque ( innamorati teneri, donne indifese, ingenue, incapaci di atti abominevoli, assassini sempre uomini, turpi e avidi ) e una trama che evidenzia tempi che furono e che mai più saranno e tematiche che oramai stanno scomparendo (onore, scandalo) e pur essendoci anche una scrittura che denota la datazione , per esempio  le frequenti invocazioni, che nella scrittura contemporanea sono del tutto o quasi scomparse, e i commenti coloriti:  Ah! Il Mostro! , oppure Tutto no! Una parte…Ah! È straordinario! Oppure ancora  Ah! Lo sporcaccione (non per atti libidinosi ma per aver ferito Brunel alla mano durante la colluttazione nel treno) o Ah! Non domandarmi il perché, è orribile!  O Ah! Capire, capire… o ancora Su! Rimettiamoci ora! Ormai tutto è finito! …Oh! È orribile!...Orribile? che cosa dirà allora quando saprà tutto?...Parli mio buon amico, parli. Io divento pazza!
Di queste espressioni invocative i dialoghi sono zeppi. Testimoniano che il romanzo è datato, che lo stile lo è ancor più (frequenti le sdolcinature, tipo due persone che si salutano amorevolmente e poi si abbracciano, o invece atti opposti, come se colei che sembra buona non potesse sentire sentimenti malevoli oppure che colui che è malvagio non potesse nutrire anche sentimenti buoni) e una certa semplicità psicologica applicata alle persone: le donne sempre indifese, gli uomini sempre spavaldi o truci. Quindi, in un ambiente siffatto, ha uno stridore notevole il fatto che il romanzo presenti rispetto ad altri dello stesso periodo, caratterizzati da misteri che attengono quasi esclusivamente alla natura materiale dell’impossibilità (sono quasi tutti howdunnit), una componente psicologica elevatissima: qui il doppio mistero della camera chiusa (notevole il rumore dei rubinetti aperti e l’assassino che svanisce, o una camera chiusa all’incontrario per effetto della porta del bagno nella camera di Jacques non chiusa dal di dentro, come nella camera chiusa precedentemente accennata, ma dal di fuori, che impedisce pensare che l’aggressore sia potuto entrare da lì) è spiegabile non con espedienti meccanicistici o empirici, ma ricorrendo alla natura psicologica delle persone: è proprio il dialogo incoerente tra il Conte e Jacques (che fa dubitare il lettore di ciò che stia leggendo), unito allo strano incontro notturno nel parco tra Denise e Jacques, e alla rivelazione di Marie Calvez, a risolvere tutto, anche le Camere Chiuse. Che non c’entrerebbero nulla con una storia fatta di onore macchiato, disonore, una ragazza madre, un figlio non riconosciuto, soldi a buttare, una eredità di cui si godeva e che poi è stata tolta e che si agogna anche ricorrendo all’omicidio. Ma che poi c’entrano eccome!
Tuttavia il nocciolo della soluzione è nella natura ambivalente di un personaggio come Jacques che è capace di tutto e del contrario, che si trova laddove non potrebbe essere e che non si trova laddove dovrebbe stare, e di un suo doppio. Perché il nocciolo è proprio questo:  due fratelli, di cui uno sa dell’altro, mentre l’altro no. Il famoso tema del doppio. Che qui è trattato devo dire in maniera superba.
Solo così qualcosa viene spiegata. Il resto no, perché solo leggendo il romanzo e la spiegazione si capisce tutto. E io non lo spiego altrimenti il lettore che ha la possibilità di comprare il romanzo su ebay, e gustarselo (perché io me lo sono gustato, come non mai) poi che lo compra a fare? La soluzione è una di quelle che ti appagano, non c’è che dire! Boileau ha questa particolarità: crea dei palazzi su basi che non sarebbero capaci di resistere ad una baracca, però crea delle fondamenta così forti, da sfidare la forza di gravità. Soprattutto perché crea attorno un sistema di indizi e di fatti che trovano perfettamente la loro spiegazione solo alla fine, quando viene spiegato il tutto. Prima non sarebbe stato possibile spiegarlo.
Mi piacerebbe pensare che Boileau abbia preso qualche cosa dai due magnifici cugini Queen, che abbia tratto ispirazione da The Siamese Twin Mystery,  che è del 1933 e quindi pubblicato un anno prima che lo venisse questo primo romanzo di Boileau, ma poi in realtà è altrettanto possibile che Boileau avesse tratto ispirazione da una narrativa tipicamente francese, precedente alla sua: come non pensare a due romanzi di Alexandre Dumas come  Le Vicomte de Bragelonne  o Les freres corses, in cui è presente il dilemma di due fratelli gemelli monozigote? O sempre di Alexandre Dumas, a Les deux étudiants de Bologne, un lungo racconto? Ma se pensiamo a Queen, indubbiamente il tema della sostituzione di un fratello con l’altro, cosa che non è presente in The Siamese Twin Mystery, lo ritroviamo, in una storia che risente in certo modo dell’impostazione di Boileau, in The Finishing Stroke di Ellery Queen, un vero capolavoro, poco letto e ricordato.
La bellissima la scena in cui il cattivo dei due sta per pugnalare l’altro, già precedentemente da lui colpito ma non ucciso, mi serve per ragionare anche su un altro aspetto del romanzo: come non pensare che l’eliminazione dell’altro, sia anche il riappropriarsi dell’unicità di una identità sdoppiata in due? Perché se uccidi quello, uccidi anche te, o meglio una parte che è in te. E diventi tutt’uno?
Del resto, a ben vedere, tutto avrebbe avuto un valore solo se nessuno si sarebbe accorto della sostituzione.  Così l’elemento che scardina tutto il piano dell’assassino e del suo complice (perché senza il complice, la sparizione nel bagno non si sarebbe potuta spiegare !) diventa la mancata sostituzione. E chi ha ancora una volta un’importanza notevole in un romanzo giallo francese? Un domestico! Come ne La maison interdite di Herbert & Wyl !  L’uccisione di Yvon, il servo fedele, ha una valenza fondamentale, più fondamentale di quello che sembri e che appaia: Yvon ha visto l’alter di Jacques, e per questo deve morire! Se non si fosse accorto che esisteva un doppio, il doppio malvagio si sarebbe sostituito al doppio buono, opportunamente eliminato precedentemente e fatto sparire, avrebbe sposato la fanciulla, si sarebbe impossessato dell’eredità e Brunel sarebbe rimasto a scervellarsi sull’impossibilità di una sparizione dal bagno. Vedete ora quale sia l’eredità del Visconte di Bragelonne su questo romanzo?
Invece, l’estremo anelito di vita di Yvon permette di concentrare l’attenzione su Jacques affacciato alla finestra e su un fantomatico piano per eliminarlo e solo per questo Brunel corre alla casa, non lo trova dove dovrebbe trovarlo – perché ci mette un tempo troppo esiguo per permettere qualsiasi altra cosa, cioè trascinare il corpo di Jacques per le stanze e per le scale, in un tempo ancor più esiguo perché lui non li noti – e poi lo trovi laddove non dovrebbe essere! Se Yvon non si fosse accorto del doppio, se il doppio non avesse dovuto ucciderlo, se Yvon non fosse sopravvissuto perché ci si fosse accorti della sua mancanza, se questi non avesse indicato la camera d Jacques e Jacques stesso, tutto sarebbe andato come nei paini dell’altro Jacques. Invece…
Il bene trionfa. Per una serie di fatti assolutamente casuali.
La grandezza di Boileau.

Pietro De Palma

sabato 12 novembre 2016

Ngaio Marsh : Giochiamo all’assassino (A Man Lay Dead, 1934) – trad. Giulia Betocchi – I Gialli del Secolo N. 211 del 1956.

Quando ero giovane, ho letto (si può dire) tutta l’opera di Agatha Christie.
La scelta fu indotta principalmente da due fattori: il primo fu la sponsorizzazione diretta della mia indimenticata docente (del Ginnasio) di Lettere, Latino e Greco, che non faceva altro che parlare di Agatha Christie, di Poirot sul Nilo, di Corpi al Sole etc.. E già questo sarebbe un tassello non di poco conto, visto che in Italia, la letteratura di genere è ritenuta poco più che niente al confronto di altri generi di letteratura “più nobili”e pochissimi sono i docenti che la difendono. Ma per di più non si deve dimenticare che Agatha Christie ha goduto di un trattamento più che di favore presso la Mondadori, in quanto la sua opera completa di romanzi e racconti polizieschi è stata messa a disposizione dei lettori, in maniera integrale, in libreria. Fenomeno più unico che raro. Per uno come me, che era curioso di leggere cose che non fossero quelle di Nancy Drew, dei Tre Investigatori, e degli Hardy Boys, che già avevo letto, la scelta quindi era più che obbligata.
Devo dire in tutta sincerità che la Christie mi è piaciuta molto, non del tutto però. Col tempo, ho cominciato a leggere dell’altro, e ho scoperto come vi fossero degli scrittori di pari livello forse, ma non pubblicati in Italia, in libreria, come lei.
I miei lettori sapranno che io amo molto Ngaio Marsh e Christianna Brand, al pari di Agatha Chistie. Negli ultimi anni, le prediligo alla più nota scrittrice. Oggi parlerò di un romanzo di Ngaio Marsh, non trovabile in libreria, e neanche pubblicato da Mondadori, ma da..nei Gialli del Secolo. Quindi ad oggi virtualmente introvabile o reperibile solo difficilmente. Perché ne parlo allora? Perché questo blog non è rivolto a cose che si possano trovare, ma anche e soprattutto a cose introvabili, eppure straordinarie, così da costituire l’input a che qualcuno le cerchi (e magari qualcun altro le ripubblichi).
Straordinario romanzo? Sì, proprio così. Purtroppo, per una scrittrice come Ngaio Marsh, famosa anche e soprattutto per le sue meravigliose descrizioni, un testo tradotto all’osso, senza orpelli, ma neanche senza quelle raffinatezze che solo una traduzione integrale e fatta bene, avrebbe saputo valorizzare, un romanzo come questo, presentato nella Collana dei Gialli del Secolo, perde molto del proprio fascino. Eppure è ancora un eccezionale saggio di scrittura e genialità. Non dirò nulla su Ngaio Marsh, perché ne ho parlato altre volte; dirò solo qualcosa su questo romanzo. A Man Lied Dead, è la sua opera prima. Fu pubblicata nel 1934. E’ un coacervo di idee, ognuna di per sé interessante: armi antiche e maledette, società segrete, tre russi che complottano, e un delitto inspiegabile. Idee che non è detto che in altre mani avrebbero, tutte insieme, prodotto un risultato soddisfacente. Il fatto è però che in questo caso ci troviamo dinanzi ad una delle scrittrici maggiori del ‘900, famosa non solo per i suoi romanzi polizieschi ma anche per i suoi lavori teatrali. Anzi, posso dire, senza timore di essere contraddetto, che questo primo suo romanzo è assieme un’opera teatrale ed un romanzo poliziesco: ha un così alto livello di spettacolarizzazione e di rappresentazione, da lasciare interdetti. C’è un tale livello di orchestrazione, di cura dei particolari, da non lasciare delusi.
Sir Hubert Handesley è famoso per le sue feste, indimenticabili. Ha invitato questa volta sua nipote Angela North, Charles Rankin un uomo di 46-47 anni, inveterato play.boy, Nigel Bathgate, cugino di Rankin e giornalista di cronaca, Rosamund Grant, una gran bella donna, e infine i signori Wilde, Arthur archeologo, e sua moglie Marjorie. Scopo della festa è organizzare un Cluedo Party: il gioco dell’assassino. Bisognerà prima scegliere un assassino, che dovrà scegliersi la vittima. Una volta comunicata la sua decisione, la vittima dovrà fare il morto e gli altri dovranno – entro un tempo limite – scoprirne l’assassino. Il fatto è che non tutto va dove dovrebbe andare: in altre parole, dopo che l’assassino ha colpito, il morto..rimane morto sul serio: Charles Rankin, che aveva avuto il torto di cercare a tutti i costi di rendersi antipatico ( deridendo in pubblico Arthur Wilde, mettendolo letteralmente in mutande; prendendo in giro le due donne Marjorie e Rosamund, entrambe di lui innamorate, ed una delle due, Marjorie fedifraga, avendo con lui una relazione extramatrimoniale; inimicandosi il dottor Tokareff, medico russo, facente parte di una società segreta, a causa di un antico pugnale mongolo, che Rankin ora possiede ma che prima apparteneva alla società segreta di cui Tokareff è uno degli affiliati; e per di più aveva promesso, in caso di morte, 3000 sterline ad Arthur Wilde e il pugnale al padrone di casa , Sir Hubert Handesley, noto collezionista di armi antiche), giace ora per terra, col pugnale mongolo infisso nella schiena, secondo un’angolazione per cui lo stesso cuore sia rimasto trafitto.
Ben presto, l’Ispettore Roderick Alleyn, rampollo di famiglia aristocratica, che lavora in polizia più per appagare una sua passione che non per altro, entra in scena, trovandosi di fronte ad un problema apparentemente insolubile: tutti i soggetti sono al riparo da accuse, in quanto ognuno di essi è protetto dalle dichiarazioni almeno di uno degli altri invitati, se non del personale di servitù. Qualcuno deve pur avere ucciso Charles Rankin! Eppure dalle testimonianze, tutti gli autori del dramma sarebbero nell’impossibilità di aver commesso l’omicidio: c’è chi stava nella vasca da bagno, chi cantava squarciagola dall’altra parte della casa, chi era stata vista altrove dalla servitù. L’unica persona che sembrerebbe essere più a rischio è Rosamund, il cui alibi è stato contraddetto da una cameriera.
Intanto però si muovono, assieme al subplot centrale, altri secondari: la società segreta, il pugnale antico e maledetto, la fuga del maggiordomo, Vassily, anche lui russo; la morte apparentemente sconnessa di un polacco a Soho. Poi vengono trovati degli indizi: un guanto bruciato nel camino, la lanugine di una pelliccia nera attaccata ad un cancello del cortile, una lettera misteriosa. E alla vicenda centrale si lega quella di una macchinazione di una società segreta, di torture, delle indagini più che di Alleyn, cui è riservato il ruolo di “deus ex-machina”, dello stesso Nigel innamorato (amore ricambiato) della bella Angela North. E’ come se la Marsh, qui facesse le prove generali per le sue storie indimenticate, che intrecceranno vicende poliziesche a elementi sentimentali (la storia di Agatha Troy, pittrice, con Roderick Alleyn, Ispettore di polizia ma soprattutto Lord: non a caso, in uno sceneggiato che venne costruito su questa storia, ad Angela North di cui si innamora ricambiato Nigel Bathgate, venne sostituita Agatha Troy, presente in gran parte delle altre storie della Marsh).
Può essere stato Tokareff ad assassinare Rankin, per rientrare in possesso del pugnale, detenuto impropriamente da Rankin? Oppure il padrone di casa per accaparrarsi un oggetto preziosissimo? O lo stesso Wilde per entrare in possesso delle 3000 sterline (ma non ne avrebbe bisogno)? Oppure sono state le due donne, Rosamund o Marjorie ad assassinarlo per vendicarsi di essere state usate? Oppure la stessa Angela o Nigel, per oscuri motivi? Qualcuno ha suonato il gong, quando è stato commesso l’omicidio: per quale motivo richiamare l’attenzione dei presenti? Perché è andata via la luce? Chi ha potuto colpire alle spalle Rankin, abbastanza alto da raggiungere la panoplia nella quale è stato riposto il pugnale, afferrarlo e colpire alle spalle Rankin, che stava preparandosi un cocktail, senza che lui se ne accorgesse? E soprattutto come ha fatto tenendo conto che tutti (tranne Rosamund, ma non è lei l’assassina) hanno alibi inattaccabili, cioè sono messi al riparo dalle indagini dalle testimonianze si altri soggetti del dramma? Ci riuscirà in ultima battuta Alleyn, con un exploit ed una soluzione da lasciare a bocca aperta.
Già con questo primo suo romanzo, con la pubblicazione del quale Ngaio Marsh entrò a pieno titolo nell’ambito del gruppo delle Crime Queen (formato anche da Christie, Sayers e Allingham), Ngaio Marsh delineò la sua tecnica narrativa che avrebbe fatto scuola: c’è una prima parte in cui viene presentato il luogo e gli autori del dramma, avvengono le schermaglie tra gli stessi, e viene presentata di solito ed inquadrata l’ipotetica vittima, quasi sempre abbastanza antipatica da poter accentrare su di sé le ire dei presenti. Poi avviene il delitto ed entra in scena l’ispettore Alleyn che comincia a raccogliere indizi, per costruire delle prove. Infine Alleyn inchioda, nel corso di spettacolari finali, l’insospettabile assassino alle sue responsabilità.
Questo romanzo potrebbe essere anche una Locked Room celata. Perché? Nel corso del romanzo, a un certo punto, si precisa che nessuna altra persona, dal di fuori, avrebbe potuto commettere l’omicidio di Rankin, perché la casa era stata isolata da una nevicata che aveva avvolto la campagna circostante, per più di congelata. Quindi, se Ten Little Niggers di Agatha Christie fosse una Locked Room, come alcuni dicono, perché i crimini avvengono su un’isola, anche questo romanzo di Ngaio Marsh potrebbe essere ascritta alla lista delle Camere Chiuse.
Tutti i romanzi presentano questa successione di momenti sempre ben cadenzati, già presenti in questo primo romanzo, in cui, è bene dirlo, il grosso dell’indagine non è svolto tanto dall’ispettore, quanto dal giornalista. Avviene cioè, quello che leggiamo nella prima avventura del Merrivale, di Carter Dickson: l’entrata in scena, attentamente studiata, del personaggio presente in tutti i romanzi della scrittrice, che ha una funzione di vero e proprio deus ex-machina, colui che risolverà l’enigma, partendo da indizi di per sé senza sostanza. Ngaio Marsh delinea qui quello che sarà il carattere tipico della scuola britannica, differenziandola da quella americana, nell’ambito del Mystery: prima del delitto c’è sempre (o quasi) una specie di introduzione in cui vengono descritti i personaggi e si delineano le azioni del dramma; dopo il delitto, invece, entra in scena il detective, che risolve il tutto. Parecchi sono gli autori che si attengono a questo tipico modo di presentare la storia: per esempio un’altra classicissima scrittrice, come Georgette Heyer. John Dickson Carr invece pur facendo parte e operando nell’ambiente inglese degli anni trenta, se ne discosta radicalmente, anche perché è americano: tutti o quasi gli americani cominciano la storia col delitto, e semmai, dopo, spiegano gli antefatti.
Notiamo inoltre un’altra caratteristica che invece accomuna stranamente la Marsh alla narrativa di ambiente americano (ma accadrà anche per Christianna Brand per altre ragioni), soprattutto all’ambiente vandiniano, a testimonianza che non è detto che Van Dine non abbia avuto proselite o sviluppatori anche nella scuola britannica: Alleyn è un aristocratico come Vance; le storie contengono quasi sempre dei particolari bizzarri; i delitti se non sono impossibili, poco ci manca!; gli ambienti sono formalmente circoscritti; vi sono sempre riferimenti all’arte, al teatro, al collezionismo; ed è poliziotto, come Michael Lord di Daly King o Tatcher Colt di Abbott.
Ancora un’altra cosa: la presenza di più subplot, che di per sé anche non collegabili direttamente al delitto, comunque hanno il pregio di incasinare la situazione, distogliendo gli spettatori dal vero obiettivo dell’azione scenica: inquadrare l’assassino. Spesso inoltre Marsh, afferma delle cose, che poi vengono contraddette da altre, e spiegate in diversa maniera, prima insinuando il possibile colpevole, poi liberandolo dalle accuse ed infine ritornando su di esso ed inchiodandolo alle sue responsabilità. Con una storia che ha i tratti a volte della spy-story (la congiura filo-bolscevica), a metà anche nelle ultime sezioni del thriller e dell’hardboiled, con un poliziotto e Nigel prigionieri dei russi, picchiati e torturati con gli spilli sotto le unghie, ma soprattutto del mystery puro, Ngaio Marsh affascina, regalandoci un romanzo straordinario per intensità, ma delizioso al contempo per la leggerezza dell’impianto e per la poliedricità delle voci in capitolo: come un consumato direttore d’orchestra – ma qui è al suo esordio! – Ngaio Marsh riesce a dare corpo a diversi movimenti, a dare voci a diverse sezioni strumentali, pur senza perdere mai la visione dell’assieme e del particolare. E nello stesso tempo, imbastisce una vicenda nella vicenda: un Cluedo ad uso del lettore, che utilizza il Cluedo come base per la messinscena narrativa, applicando idee anche di altri scrittori: alcuni hanno messo in chiaro come le torture e i malviventi rimandino a storie di Wallace, mentre a me il delitto spiegato in termini di secondi, mi fa pensare a certi romanzi di Crofts, basati su alibi inattaccabili che poi vengono smascherati (come qui).
Rimarco infine come in tutte le sue storie, Ngaio Marsh, ripetendo all’infinito, in tutte le varianti, la sua costruzione teatrale della vicenda, basata su tre sezioni scandite regolarmente e continuamente, faccia suo e applichi in un ambito narrativo, una tecnica che, ai primi dell’Ottocento, era espressione della musica strumentale più classica: tre sezioni, concatenate tra loro, variate innumerevoli volte, secondo i temi musicali (spesso opere liriche ed arie) da innumerevoli autori : una Introduzione, in cui viene inquadrato il tema dell’azione; un Tema e delle Variazioni in cui l’azione si sviluppa in vari modi; un Finale, spesso virtuosistico, in cui l’azione finisce in una catarsi liberatoria.
Possibile che Ngaio Marsh abbia elaborato la costruzione delle sue storie partendo da una tecnica compositiva tipica del Biedermeier musicale di primo Ottocento? Secondo me è possibilissimo, tanto più che il Biedermeier, che altrimenti e altrove si evolve nel romanticismo, in Inghilterra rimane, per più tempo, connesso alla forma della Monarchia, che altrove finisce, mentre qui rimane intatta. E non a caso la società che la Marsh rappresenta, il più delle volte, è quella aristocratica, vista nella sua visione più conservativa, proprio perché non vissuta, ma assunta come propria pur non essendolo: non a caso Ngaio Marsh, neozelandese, diventa più britannica di scrittori britannici come per esempio Edmund Crispin o Nicholas Blake, che invece tendono a staccarsi dall’ambiente più tipicamente conservatore della narrativa inglese, proponendo storie che li avvicinano invece ad esponenti non britannici.
Un po’ un moto al contrario rispetto a quello di Ngaio Marsh.
Pietro De Palma

giovedì 10 novembre 2016

William De Andrea: Neve rossa a Rocky Point (Killed on the Rocks, 1990) – traduz. Maria Luisa Vesentini Ottolenghi – Il Giallo Mondadori N° 2255 del 1992.





William De Andrea è un nome che a molti non dirà nulla in Italia. Eppure la Mondadori gli ha pubblicato gran parte dei suoi romanzi, una ventina di anni fa.
William De Andrea nacque il 1 luglio 1952 a Port Chester, New York. Dopo aver studiato in USA, svolse la professione di giornalista e scrittore, soggiornando in Europa, a Parigi e Londra. Successivamente, da quando si stabilì nuovamente in USA, visse fino alla morte, avvenuta nel 1996, nel Connecticut, nella Contea di Litchfield. Scrisse varie serie di romanzi: in quella con Matt Cobb che gli dette il successo, inserì la propria esperienza in una grande rete televisiva americana; quella di Niccolò Benedetti fu intesa anche come un omaggio a Nero Wolfe di cui egli fu sempre un fan; la serie Clifford Driscoll invece si avventurò nel genere spy, mentre quella con Lobo Black/Quinn Booker prese le mosse nel vecchio West.
De Andrea è ricordato per essere stato un grande scrittore, vincitore di ben tre Edgar: il primo, vinto come “Best First Novel” nel 1978 con Killed in the Ratings, facendo esordire Matt Cobb (dopo la morte di De Andrea, la serie è stata continuata dal moglie, anche lei scrittrice, Jane Haddam); il secondo vinto, nel 1979, come “Best Paperback Original” con il primo romanzo della serie dedicata a Niccolò Benedetti,  The HOG Murders, mentre il terzo gli fu assegnato il suo grande saggio “Encyclopedia Mysteriosa”.
Neve rossa a Rocky Point (Killed on the Rocks) è il settimo romanzo con Matt Cobb, ed è la sua unica Camera Chiusa. E’ compresa in qualche lista di lavori del genere, stilata da critici americani, pur non essendo un romanzo di grande impatto.
Matt Cobb è il vicepresidente di un network, la NTA, che sta passando di mano. Allorchè si è sparsa la di una imminente offerta di Dost per rilevare il network,  i dirigenti del network  entrano in fibrillazione: vogliono capire infatti a cosa miri in realtà  l’offerta che Dost si appresta a fare. Infatti, qualcuno che trama nell’ombra, ha inviato una missiva anonima in cui si perora di far di tutto perche l’NTA non venga ceduto al miliardario, in quanto si sostiene che egli sia pazzo.
A questo punto , Tom Falzet, il presidente del network si affida a Cobb, perché scopra cosa vi sia sotto, e gli dà incarico di scoprire cosa vi sia sotto: Matt  accompagnerà i dirigenti del network presso la tenuta di Dost ad Adirondacks, sulle montagne rocciose, di proprietà del miliardario, e lì si discuterà della faccenda.
Lo Chalet è stato riammodernato dallo stesso miliardario che non ha badato a spese, e si è affidato al gusto della moglie Aranda, per far colpo su chi fosse lì invitato. Oltre alla moglie, è presente, assieme al miliardario, suo figlio Barry. Dost alla domanda di Cobb, nega che sia pazzo anzi muove il dito contro qualcuno nell’ombra che sta facendo di tutto per mandare a monte la sua offerta. Infatti molti non vorrebbero che il Network, pure in cattive acque, non passasse di mano.
Prima della cena, Cobb conosce Jack Bromhead, amico e braccio destro di Dost. E’ un tipo vestito da cowboy, con una vistosa cravatta a stringa, chiusa da un turchese, che si sarebbe aspettato calzasse degli stivali intonati al vestito. E invece, Jack calza degli sivaletti da passeggio, allacciati alla caviglia, a causa di una distorione: infatti zoppica. Subito Jack gli riesce simpatico, tanto più che difende a spada tratta il suo amico. Non così simpatico invece gli appare il figlio di Dost, il quale pensa che Cobb gli voglia sottrarre,  una volta conclusa la vendita del network, la “promogenitura”. Non è la sola nota stonata di quella sera, a Rocky Point: dopo la sontuosa cena che Gabby ha organizzato pe ri suoi ospiti, Cobb è invitato da Charles Wilbeforce, Capo dell’Ufficio Legale del Network, a uscire fuori dallo chalet, al freddo, poiché deve confidare una cosa. Cobb, trova fuori anche Carol Coretti, assistente di Wilbeforce che gli rivela comela moglie di Gabb abbia tentato di adescarla, facendole un’offerta esplicita di sesso, giacchè lei, Carol, è lesbica. Cobb consiglia ai due di far finta di nulla, anche perché non sa che pesci prendere: Aranda è la terza moglie di Gabb, giacchè la prima e morta, e dalla seconda lui ha divorziato.
Dopo esser caduto in un sonno profondo, Cobb è risvegliato, come altri ospiti da un grido lacerante: qualcuno ha scoperto un corpo nella neve, a circa quaranta passi dallo chalet: è Dost, morto. Il sangue macchia la neve. Tutt’attorno una distesa immacolata, priva di impronte. E una lenza da pescatore: cosa mai possa esserci tra le montagne, su quella distesa di neve, vicino al cadavere di Dost una lenza da pescatore, è una cosa che al momento non capisce
Dopo aver trovato anche Bromhead sveglio, e averlo inviato a svegliare il figlio del miliardario, Cobb sale al quinto piano della casa di montagna, perché vorrebbe capire come sia stato possibile che qualcuno abbia potuto uccidere Dost senza lasciare impronte: vuole guardare la scena del delitto dall’alto. Ma si imbatte nel figlio di Dost, che pensa sia stato lui ad uccidere il padre: fuori di sé, sferra un violento calcio alla tempia di Matt, prima di andare via.
Quando Cobb, barcollando, riesce a scendere giù, trova tutta la combriccola riunita. Compreso l’autista del miliardario, che egli apprende essere un ausiliario della polizia locale e come tale, rappresenta, seppure in una veste non professionale, la giustizia a Rocky Point.
Cobb prima viene a sapere da Bromhead che Aranda pur ereditando venti mioni di dollari non avrebbe avuto nulla da guadagnare dalla morte del marito, perché se fosse stato vivo avrebbe fatto per sempre la bella vita, e non per qualche anno, visto che la sue aspettativa di vita è altissima e venti milioni di dollari nel suo caso sarebbero spariti in men che non si dica; sa pure che il grosso dell’eredità andrà al figlio, salvo delle cose che eredita lui stesso, Jack.
Insomma, di candidati ad essere indicati quali assassino, ce ne sono non pochi, tra cui anche un sospetto maggiordomo ed un’altra sospetta governante.
A condurre le indagini è l’agente Ingersoll, che ben presto deve affidarsi all’acume di Cobb. L’atteggiamento ostile di Barry Dost, che si sfoga anche contro l’agente rompendogli il naso, sarebbe spiegabile sotto forma di una reazione eccessiva, ma ad indirizzrea le indagini vi pensa una misteriosa apparizione di Gabby Dost sul televisore di casa: il fantasma della vittima accusa il figlio di qualcosa. La matrigna, che era stata colta di sorpresa dall’apparizione spiritica sviene. Barry fugge finchè, pazzo furioso, si trova dinanzi Cobb e cerca di ucciderlo, credendo sia parte di un fantomatico complotto contro di lui, venendo a sua volta ucciso da Bromhead. Ma era davvero lui l’assassino? Oppure quello vero ha posto le cose in modo che le indagini prendessero il verso errato?
Cobb riuscirà a comprendere come sia stato commesso l’assassinio di Gabby Dost, come l’apparizione sul televisore sia riconducibile a qualche rudimento di trasmissione via cavo, e cosa c’entrino una lenza ed una canna da pesca, e persino una gruccia di metallo. E a inchiodare il vero assassino.
Bel romanzo di De Andrea, regge però il ritmo sino ad un certo punto: il fatto è che De Andrea non coinvolge molti potenziali assassini, ristretti a tre quattro persone. E per di più, tratta la materia narrativa anche ingenuamente, dicendo troppo, e facendo morire troppo presto il figlio della vittima e nel tempo stesso, dichiarando, senza neanche troppi sotterfugi, che l’assassino potrebbe essere un altro. Per di più fà accusare, da Cobb, una persona di aver realizzato la falsa trasmissione, e quindi indirizza le attenzioni verso di essa: se fosse un abile inganno per nascondere quello vero, e ottenere quindi un finale ad effetto, sarebbe una bella cosa;ma siccome quella persona finisce per essere responsabile, è evidente che o sia stata lei ad uccidere oppure sia stata aiutata da qualcuno. E quindi il sillogismo porta come risultato ad individuare il vero assassinio, e anche il movente.
Il metodo utilizzato per la variazione del prato innevato, della Camera Chiusa, mi pare possa rifarsi ad un celebre racconto di Joseph Commings, Serenade to a Killer, se non direttamente almeno indirettamente: infatti entrambi utilizzano dei cavi come mezzo per arrivare al luogo del ritrovamento del cadavere, anche se nel caso di De Andrea, è il cadavere che viene spostato dal luogo dell’omicidio a quello del ritrovamento, mentre nel caso di Commings è direttamente l’assassino che usa il cavo come via per raggiungere il luogo dell’omicidio, superando la distesa innevata e poi ritornare per la stessa strada. Carino è anche il metodo di spiegare l’apparizione spettrale.
Al di là di questo, un romanzo che avrebbe potuto avere ben altra tensione, se non si avesse avuto troppa fretta ad impostarlo e concluderlo.

Pietro De Palma

lunedì 7 novembre 2016

John Russell Fearn – Black Maria (Black Maria, M.A. , 1944) – trad. Eleonora Mollona – Il Romanzo Giallo Classico N.12, Garden Editoriale, Milano, 1995.

Di John Russell Fearn abbiamo già parlato; pertanto, chi non lo conoscesse, può andare a leggere le note che scrissi qualche mese fa introducendo un suo poco conosciuto lavoro. Ricorderò in questa sede, solamente, che fu un prolifico autore statunitense, versato non solo al Giallo ma anche, e soprattutto, alla fantascienza, e che scrisse utilizzando una moltitudine di pseudonimi diversi, i più noti dei quali sono John Russell Fearn e Vargo Statten.
Black Maria è uno dei suoi romanzi con delitti impossibili: più precisamente è una Camera Chiusa, anche piuttosto carina.
Black Maria è la direttrice di un college femminile britannico. Un bel giorno riceve una lettera da cui apprende che suo fratello Ralph Black è morto suicida: infatti lo hanno trovato, nel suo studio, con la radio ad alto volume, ucciso da un colpo di pistola, rinvenuta peraltro per terra, accanto a del vino versato, e il tutto in una stanza chiusa dall’interno. Il suicidio è l’unica ipotesi attuabile, a detta della polizia. L’unico a non credervi è il figlio Richard (detto Dick) che esterna i suoi sospetti alla zia, quando essa, dopo un viaggio lungo dall’Inghilterra, arriva in America.
La famiglia è formata dalla moglie Alice (sinceramente innamorata del marito, ma anche intenzionata a salvare i figli da qualsiasi accusa che potesse nuocere loro) e dai figli: Dick, Janet e Patricia. Dick gestisce un teatro e degli spettacoli di cabaret, anche se è intenzionato a portare in scena un suo lavoro, che sta scrivendo assieme alla fidanzata Jane Conway, tecnico del suono; Janet invece è una cantante lirica, innamorata di Peter Wade un attore; e Pat infine, ballerina, è innamorata a sua volta di Arthur Salter, un contabile. Chi mai può aver ucciso Ralph e perché?
Ralph ha fatto fortuna con i broccoli in scatola, mettendo su una serie di fabbriche e fondando un piccolo impero. Tuttavia, è un uomo spietato, che non vede di buon occhio che i figli si sposino con gente non ricca; e così sia la ragazza di Dick (il cui fratello è stato rovinato da Ralph), sia il fidanzato di Janet, sia quello di Patricia, vengono isolati. Siccome tuttavia non riesce ad avere ragione del fidanzato della piccola Pat, ordisce nei suoi confronti addirittura una falsa accusa di appropriazione indebita, congiurando con un grosso pezzo della malavita, Onzi, e facendo finire in carcere il povero contabile. Che tuttavia fugge, con l’aiuto di Pat, nello stesso giorno in cui Ralph muore. Ralph, tuttavia, temendo che qualcuno intorno a lui, voglia tramare ai suoi danni, ha scritto una lettera alla sorella, affidandole l’incarico, qualora morisse di morte non naturale, di investigare sulla sua morte, ricevendo, qualora riuscisse a dimostrare la colpevolezza dell’assassino/a, la sua parte di eredità. Così Black Maria, comincia ad investigare.
Saprà che Arthur e Patricia, prima che lui fosse ingiustamente accusato di frode, si erano segretamente sposati; che Jane è un tecnico del suono e che assieme al fidanzato stanno scrivendo un lavoro teatrale basato sull’omicidio a distanza provocato dal suono; che Janet spesso va a trovare il fidanzato, che abita in un quartiere operaio, di periferia, ben diverso da quello ricco in cui dimora lei abitualmente; e che nello stesso quartiere si nasconde Arthur, dopo essere evaso, e che Patricia, ogni giorno lo va a trovare e gli porta da mangiare. Non solo. Black Maria riuscirà, con l’aiuto di Pulp Martin, un piccolo elemento della malavita, diventato la sua guardia del corpo, a recuperare la documentazione in base alla quale verrà scagionato Arthur; e scoprirà una serie di indizi determinanti per capire come sia stato ucciso Ralph, perché e da chi : la molla di una macchina per scrivere, un filo metallico di acciaio, del vino versato per terra, due bicchieri rotti e la gabbia con un pappagallo, una radio ad alto volume, un disco lasciato a metà sul piatto del grammofono, e un ordine al maggiordomo di portare del vino che stride con una prima ricostruzione del delitto.
Tanti avevano la possibilità e il movente per uccidere Ralph: sarà stata Jane, tecnico del suono? O Dick che lavora e che ama Jane? O Janet che lancia un acutissimo Do di petto nell’Alleluja in Fa Maggiore di Mozart? O persino Peter che odiava Ralph Blach perché non intendeva in nessun modo acconsentire al suo amore con Jane? Oppure Mary, la cameriera di Jane, anche lei nutrente odio nei confronti di Ralph, a causa della morte dei suoi genitori, il cui disastro finanziario era stato causato dall’attività commerciale di Ralph?
Sembra quasi una congiura tipo Assassinio nell’Orient- Express: tutti avevano avuto un motivo per odiare Ralph e per volerne la morte. Ma chi di loro era stato? La rivelazione finale, alla fine di una ricostruzione che l’inconsueta investigatrice terrà nella dimora del fratello, sorprenderà tutti, anche il lettore.
Gran bel romanzo di Fearn, con una soluzione impeccabile, mi ha ricordato quelle camere chiuse con meccanismi mortali, già viste in romanzi di John Rhode, J.J.Connington, Eden Phillpotts; ma soprattutto mi ha ricordato un’altra Camera Chiusa famosa, in Death Has Many Doors di Fredric Borwn, in cui l’assassinio è provocato da un meccanismo mortale, per di più alla cui base c’è una diavoleria connessa ad una legge fisica: mentre però capita la fonte, nel romanzo di Brown si riesce a desumere se non cosa almeno il principio in base al quale la morte è avvenuta, e quindi il colpevole, in quello di Fearn, anche capito il principio alla base, sbandierato in tutte le salse (cioè che una determinata nota, venendo suonata ad una determinata altezza, determina un’onda sonica non percepita dall’orecchio umano ma capace di rompere anche il vetro, in pratica un ultrasuono), non si riesce a capire come sia potuta morire la vittima, senza aspettare la soluzione finale, un vero culmine di intelligenza.
Al di là di questo, il romanzo si legge tutto d’un fiato: 150 pagine facili facili, portate avanti da un certo ritmo (cui contribuisce una vicenda a metà tra l’azione e il gangsterismo) che unisce Mystery classico ad un certo finto hard-boiled, quasi che qui Fearn avesse copiato la tendenza del giallo ibrido di Jonathan Latimer o di Craig Rice, a suo modo s’intende, creando una figura macchiettistica di direttrice di collegio imprestata alla detective fiction (probabilmente guardando anche alla signorina e maestra detective di Stuart Palmer, Hildegarde Withers), che andando a procacciarsi guardie del corpo tra avanzi di galera, riesce a salvarsi da tentativi di omicidio e ad inquadrare un complotto che si annida nella sua stessa famiglia.
Questo primo romanzo, bene accolto al tempo, fu il primo di una serie di sei romanzi impersonati da Black Maria: Black Maria, M.A. (1944); Maria Marches On (1945); One Remained Seated (1946); Thy Arm Alone (1947); Framed in Guilt (1948); Death in Silhouette (1950).
L’unica nota stonata di questo bel romanzo, pubblicato a suo tempo da Gerden Editoriale, riguarda la copertina: che c’entrano Robert Vaughn e Ben Gazzara? Mah..

Pietro De Palma