sabato 12 novembre 2016

Ngaio Marsh : Giochiamo all’assassino (A Man Lay Dead, 1934) – trad. Giulia Betocchi – I Gialli del Secolo N. 211 del 1956.

Quando ero giovane, ho letto (si può dire) tutta l’opera di Agatha Christie.
La scelta fu indotta principalmente da due fattori: il primo fu la sponsorizzazione diretta della mia indimenticata docente (del Ginnasio) di Lettere, Latino e Greco, che non faceva altro che parlare di Agatha Christie, di Poirot sul Nilo, di Corpi al Sole etc.. E già questo sarebbe un tassello non di poco conto, visto che in Italia, la letteratura di genere è ritenuta poco più che niente al confronto di altri generi di letteratura “più nobili”e pochissimi sono i docenti che la difendono. Ma per di più non si deve dimenticare che Agatha Christie ha goduto di un trattamento più che di favore presso la Mondadori, in quanto la sua opera completa di romanzi e racconti polizieschi è stata messa a disposizione dei lettori, in maniera integrale, in libreria. Fenomeno più unico che raro. Per uno come me, che era curioso di leggere cose che non fossero quelle di Nancy Drew, dei Tre Investigatori, e degli Hardy Boys, che già avevo letto, la scelta quindi era più che obbligata.
Devo dire in tutta sincerità che la Christie mi è piaciuta molto, non del tutto però. Col tempo, ho cominciato a leggere dell’altro, e ho scoperto come vi fossero degli scrittori di pari livello forse, ma non pubblicati in Italia, in libreria, come lei.
I miei lettori sapranno che io amo molto Ngaio Marsh e Christianna Brand, al pari di Agatha Chistie. Negli ultimi anni, le prediligo alla più nota scrittrice. Oggi parlerò di un romanzo di Ngaio Marsh, non trovabile in libreria, e neanche pubblicato da Mondadori, ma da..nei Gialli del Secolo. Quindi ad oggi virtualmente introvabile o reperibile solo difficilmente. Perché ne parlo allora? Perché questo blog non è rivolto a cose che si possano trovare, ma anche e soprattutto a cose introvabili, eppure straordinarie, così da costituire l’input a che qualcuno le cerchi (e magari qualcun altro le ripubblichi).
Straordinario romanzo? Sì, proprio così. Purtroppo, per una scrittrice come Ngaio Marsh, famosa anche e soprattutto per le sue meravigliose descrizioni, un testo tradotto all’osso, senza orpelli, ma neanche senza quelle raffinatezze che solo una traduzione integrale e fatta bene, avrebbe saputo valorizzare, un romanzo come questo, presentato nella Collana dei Gialli del Secolo, perde molto del proprio fascino. Eppure è ancora un eccezionale saggio di scrittura e genialità. Non dirò nulla su Ngaio Marsh, perché ne ho parlato altre volte; dirò solo qualcosa su questo romanzo. A Man Lied Dead, è la sua opera prima. Fu pubblicata nel 1934. E’ un coacervo di idee, ognuna di per sé interessante: armi antiche e maledette, società segrete, tre russi che complottano, e un delitto inspiegabile. Idee che non è detto che in altre mani avrebbero, tutte insieme, prodotto un risultato soddisfacente. Il fatto è però che in questo caso ci troviamo dinanzi ad una delle scrittrici maggiori del ‘900, famosa non solo per i suoi romanzi polizieschi ma anche per i suoi lavori teatrali. Anzi, posso dire, senza timore di essere contraddetto, che questo primo suo romanzo è assieme un’opera teatrale ed un romanzo poliziesco: ha un così alto livello di spettacolarizzazione e di rappresentazione, da lasciare interdetti. C’è un tale livello di orchestrazione, di cura dei particolari, da non lasciare delusi.
Sir Hubert Handesley è famoso per le sue feste, indimenticabili. Ha invitato questa volta sua nipote Angela North, Charles Rankin un uomo di 46-47 anni, inveterato play.boy, Nigel Bathgate, cugino di Rankin e giornalista di cronaca, Rosamund Grant, una gran bella donna, e infine i signori Wilde, Arthur archeologo, e sua moglie Marjorie. Scopo della festa è organizzare un Cluedo Party: il gioco dell’assassino. Bisognerà prima scegliere un assassino, che dovrà scegliersi la vittima. Una volta comunicata la sua decisione, la vittima dovrà fare il morto e gli altri dovranno – entro un tempo limite – scoprirne l’assassino. Il fatto è che non tutto va dove dovrebbe andare: in altre parole, dopo che l’assassino ha colpito, il morto..rimane morto sul serio: Charles Rankin, che aveva avuto il torto di cercare a tutti i costi di rendersi antipatico ( deridendo in pubblico Arthur Wilde, mettendolo letteralmente in mutande; prendendo in giro le due donne Marjorie e Rosamund, entrambe di lui innamorate, ed una delle due, Marjorie fedifraga, avendo con lui una relazione extramatrimoniale; inimicandosi il dottor Tokareff, medico russo, facente parte di una società segreta, a causa di un antico pugnale mongolo, che Rankin ora possiede ma che prima apparteneva alla società segreta di cui Tokareff è uno degli affiliati; e per di più aveva promesso, in caso di morte, 3000 sterline ad Arthur Wilde e il pugnale al padrone di casa , Sir Hubert Handesley, noto collezionista di armi antiche), giace ora per terra, col pugnale mongolo infisso nella schiena, secondo un’angolazione per cui lo stesso cuore sia rimasto trafitto.
Ben presto, l’Ispettore Roderick Alleyn, rampollo di famiglia aristocratica, che lavora in polizia più per appagare una sua passione che non per altro, entra in scena, trovandosi di fronte ad un problema apparentemente insolubile: tutti i soggetti sono al riparo da accuse, in quanto ognuno di essi è protetto dalle dichiarazioni almeno di uno degli altri invitati, se non del personale di servitù. Qualcuno deve pur avere ucciso Charles Rankin! Eppure dalle testimonianze, tutti gli autori del dramma sarebbero nell’impossibilità di aver commesso l’omicidio: c’è chi stava nella vasca da bagno, chi cantava squarciagola dall’altra parte della casa, chi era stata vista altrove dalla servitù. L’unica persona che sembrerebbe essere più a rischio è Rosamund, il cui alibi è stato contraddetto da una cameriera.
Intanto però si muovono, assieme al subplot centrale, altri secondari: la società segreta, il pugnale antico e maledetto, la fuga del maggiordomo, Vassily, anche lui russo; la morte apparentemente sconnessa di un polacco a Soho. Poi vengono trovati degli indizi: un guanto bruciato nel camino, la lanugine di una pelliccia nera attaccata ad un cancello del cortile, una lettera misteriosa. E alla vicenda centrale si lega quella di una macchinazione di una società segreta, di torture, delle indagini più che di Alleyn, cui è riservato il ruolo di “deus ex-machina”, dello stesso Nigel innamorato (amore ricambiato) della bella Angela North. E’ come se la Marsh, qui facesse le prove generali per le sue storie indimenticate, che intrecceranno vicende poliziesche a elementi sentimentali (la storia di Agatha Troy, pittrice, con Roderick Alleyn, Ispettore di polizia ma soprattutto Lord: non a caso, in uno sceneggiato che venne costruito su questa storia, ad Angela North di cui si innamora ricambiato Nigel Bathgate, venne sostituita Agatha Troy, presente in gran parte delle altre storie della Marsh).
Può essere stato Tokareff ad assassinare Rankin, per rientrare in possesso del pugnale, detenuto impropriamente da Rankin? Oppure il padrone di casa per accaparrarsi un oggetto preziosissimo? O lo stesso Wilde per entrare in possesso delle 3000 sterline (ma non ne avrebbe bisogno)? Oppure sono state le due donne, Rosamund o Marjorie ad assassinarlo per vendicarsi di essere state usate? Oppure la stessa Angela o Nigel, per oscuri motivi? Qualcuno ha suonato il gong, quando è stato commesso l’omicidio: per quale motivo richiamare l’attenzione dei presenti? Perché è andata via la luce? Chi ha potuto colpire alle spalle Rankin, abbastanza alto da raggiungere la panoplia nella quale è stato riposto il pugnale, afferrarlo e colpire alle spalle Rankin, che stava preparandosi un cocktail, senza che lui se ne accorgesse? E soprattutto come ha fatto tenendo conto che tutti (tranne Rosamund, ma non è lei l’assassina) hanno alibi inattaccabili, cioè sono messi al riparo dalle indagini dalle testimonianze si altri soggetti del dramma? Ci riuscirà in ultima battuta Alleyn, con un exploit ed una soluzione da lasciare a bocca aperta.
Già con questo primo suo romanzo, con la pubblicazione del quale Ngaio Marsh entrò a pieno titolo nell’ambito del gruppo delle Crime Queen (formato anche da Christie, Sayers e Allingham), Ngaio Marsh delineò la sua tecnica narrativa che avrebbe fatto scuola: c’è una prima parte in cui viene presentato il luogo e gli autori del dramma, avvengono le schermaglie tra gli stessi, e viene presentata di solito ed inquadrata l’ipotetica vittima, quasi sempre abbastanza antipatica da poter accentrare su di sé le ire dei presenti. Poi avviene il delitto ed entra in scena l’ispettore Alleyn che comincia a raccogliere indizi, per costruire delle prove. Infine Alleyn inchioda, nel corso di spettacolari finali, l’insospettabile assassino alle sue responsabilità.
Questo romanzo potrebbe essere anche una Locked Room celata. Perché? Nel corso del romanzo, a un certo punto, si precisa che nessuna altra persona, dal di fuori, avrebbe potuto commettere l’omicidio di Rankin, perché la casa era stata isolata da una nevicata che aveva avvolto la campagna circostante, per più di congelata. Quindi, se Ten Little Niggers di Agatha Christie fosse una Locked Room, come alcuni dicono, perché i crimini avvengono su un’isola, anche questo romanzo di Ngaio Marsh potrebbe essere ascritta alla lista delle Camere Chiuse.
Tutti i romanzi presentano questa successione di momenti sempre ben cadenzati, già presenti in questo primo romanzo, in cui, è bene dirlo, il grosso dell’indagine non è svolto tanto dall’ispettore, quanto dal giornalista. Avviene cioè, quello che leggiamo nella prima avventura del Merrivale, di Carter Dickson: l’entrata in scena, attentamente studiata, del personaggio presente in tutti i romanzi della scrittrice, che ha una funzione di vero e proprio deus ex-machina, colui che risolverà l’enigma, partendo da indizi di per sé senza sostanza. Ngaio Marsh delinea qui quello che sarà il carattere tipico della scuola britannica, differenziandola da quella americana, nell’ambito del Mystery: prima del delitto c’è sempre (o quasi) una specie di introduzione in cui vengono descritti i personaggi e si delineano le azioni del dramma; dopo il delitto, invece, entra in scena il detective, che risolve il tutto. Parecchi sono gli autori che si attengono a questo tipico modo di presentare la storia: per esempio un’altra classicissima scrittrice, come Georgette Heyer. John Dickson Carr invece pur facendo parte e operando nell’ambiente inglese degli anni trenta, se ne discosta radicalmente, anche perché è americano: tutti o quasi gli americani cominciano la storia col delitto, e semmai, dopo, spiegano gli antefatti.
Notiamo inoltre un’altra caratteristica che invece accomuna stranamente la Marsh alla narrativa di ambiente americano (ma accadrà anche per Christianna Brand per altre ragioni), soprattutto all’ambiente vandiniano, a testimonianza che non è detto che Van Dine non abbia avuto proselite o sviluppatori anche nella scuola britannica: Alleyn è un aristocratico come Vance; le storie contengono quasi sempre dei particolari bizzarri; i delitti se non sono impossibili, poco ci manca!; gli ambienti sono formalmente circoscritti; vi sono sempre riferimenti all’arte, al teatro, al collezionismo; ed è poliziotto, come Michael Lord di Daly King o Tatcher Colt di Abbott.
Ancora un’altra cosa: la presenza di più subplot, che di per sé anche non collegabili direttamente al delitto, comunque hanno il pregio di incasinare la situazione, distogliendo gli spettatori dal vero obiettivo dell’azione scenica: inquadrare l’assassino. Spesso inoltre Marsh, afferma delle cose, che poi vengono contraddette da altre, e spiegate in diversa maniera, prima insinuando il possibile colpevole, poi liberandolo dalle accuse ed infine ritornando su di esso ed inchiodandolo alle sue responsabilità. Con una storia che ha i tratti a volte della spy-story (la congiura filo-bolscevica), a metà anche nelle ultime sezioni del thriller e dell’hardboiled, con un poliziotto e Nigel prigionieri dei russi, picchiati e torturati con gli spilli sotto le unghie, ma soprattutto del mystery puro, Ngaio Marsh affascina, regalandoci un romanzo straordinario per intensità, ma delizioso al contempo per la leggerezza dell’impianto e per la poliedricità delle voci in capitolo: come un consumato direttore d’orchestra – ma qui è al suo esordio! – Ngaio Marsh riesce a dare corpo a diversi movimenti, a dare voci a diverse sezioni strumentali, pur senza perdere mai la visione dell’assieme e del particolare. E nello stesso tempo, imbastisce una vicenda nella vicenda: un Cluedo ad uso del lettore, che utilizza il Cluedo come base per la messinscena narrativa, applicando idee anche di altri scrittori: alcuni hanno messo in chiaro come le torture e i malviventi rimandino a storie di Wallace, mentre a me il delitto spiegato in termini di secondi, mi fa pensare a certi romanzi di Crofts, basati su alibi inattaccabili che poi vengono smascherati (come qui).
Rimarco infine come in tutte le sue storie, Ngaio Marsh, ripetendo all’infinito, in tutte le varianti, la sua costruzione teatrale della vicenda, basata su tre sezioni scandite regolarmente e continuamente, faccia suo e applichi in un ambito narrativo, una tecnica che, ai primi dell’Ottocento, era espressione della musica strumentale più classica: tre sezioni, concatenate tra loro, variate innumerevoli volte, secondo i temi musicali (spesso opere liriche ed arie) da innumerevoli autori : una Introduzione, in cui viene inquadrato il tema dell’azione; un Tema e delle Variazioni in cui l’azione si sviluppa in vari modi; un Finale, spesso virtuosistico, in cui l’azione finisce in una catarsi liberatoria.
Possibile che Ngaio Marsh abbia elaborato la costruzione delle sue storie partendo da una tecnica compositiva tipica del Biedermeier musicale di primo Ottocento? Secondo me è possibilissimo, tanto più che il Biedermeier, che altrimenti e altrove si evolve nel romanticismo, in Inghilterra rimane, per più tempo, connesso alla forma della Monarchia, che altrove finisce, mentre qui rimane intatta. E non a caso la società che la Marsh rappresenta, il più delle volte, è quella aristocratica, vista nella sua visione più conservativa, proprio perché non vissuta, ma assunta come propria pur non essendolo: non a caso Ngaio Marsh, neozelandese, diventa più britannica di scrittori britannici come per esempio Edmund Crispin o Nicholas Blake, che invece tendono a staccarsi dall’ambiente più tipicamente conservatore della narrativa inglese, proponendo storie che li avvicinano invece ad esponenti non britannici.
Un po’ un moto al contrario rispetto a quello di Ngaio Marsh.
Pietro De Palma

Nessun commento:

Posta un commento