giovedì 29 dicembre 2016

John Russell Fearn : La stanza degli orrori (Within That Room!, 1946) – trad. Massimiliana Brioschi – I delitti della Camera Chiusa n.1 – Garden Editoriale – 1992

Pubblicato nel 1946 con nome e cognome propri, Within That Room!, viene tutt’oggi, presso alcuni, definito più che un mystery, un romanzo dell’horror. Ma più che altro è un romanzo mystery con una forte e decisa connotazione di genere gotico.
John (Francis) Russell Fearn nacque nel 1908 a Worsley nel Lancashire (U.K.). Pubblicò moltissimi romanzi, soprattutto di ambito western e fantascientifico. In quest’ambito eccelse, conquistando masse di lettori, con lo pseudonimo di Vargo Statten. Con altri pseudonimi, firmò romanzi di genere diverso: Thornton Ayre, Polton Cross, Geoffrey Armstrong, John Cotton, Dennis Clive, Ephriam Winiki, Astron Del Martia, etc..
Fearn pubblicò anche 26 romanzi polizieschi sotto molteplici firme, di generi diversi: tra questi, parecchi contenevano Camere Chiuse.
Fearn morì nel 1960.
Within That Room! Parla in sostanza di una stanza che uccide. E’ il vecchio soggetto inventato da Eden Phillpotts con The Grey Room, e poi rinfrescato da altri autori, tra cui per esempio il John Dickson Carr, autore di The Door to Doom.
Qui c’è un’eroica infermiera dell’ Auxiliary Territorial Service (ATS) che, immediatamente dopo il secondo conflitto mondiale, eredita piuttosto inaspettatamente, da uno zio bislacco, famoso entomologo, una proprietà circondata da un’aura strana ed inquietante: Sunny Acres. Vera Grantham, non crede affatto alle vecchie storie di fantasmi che circondano il castello ereditato dallo zio Cirrus; eppure, si trova subito dinanzi all’ostilità della gente, quando si sa in giro che è lei la nuova proprietà del maniero: nessuno vuole accompagnarla, così la giovane, finisce con l’accettare l’offerta di un giovane che non conosce, un aviere della RAF, reduce di guerra quanto lei, Dick Wilmott, che sta tentando di aprire un negozio di riparazioni radio. Sulla scalacagnata auto di lui, raggiungono il maniero, abitato solo da due domestici, i coniugi Failworth, lui maggiordomo, lei cuoca e governante.
La giovane, appena arrivata, si aspetterebbe di trovare un’atsmosfera serena, ed invece da subito, comincia l’estenuante e pressante richiesta dei due domestici, a che la ragazza venda la proprietà, per evitare di avere problemi, così come ne aveva avuti lo zio della ragazza, Cirrus Merriforth, che era finito per avere seri problemi psichiatrici, indotti dal luogo e dall’atmosfera, e dalla presenza di fantasmi. Più però, i due domestici, ed in particolare la moglie, cercano di terrorizzare la giovane, più ottengono come risultato la sua apatia. Una sera la ragazza sorprende senza essere vista, i due servitori intenti in cantina a pompare un liquido misterioso da un tombino nel pavimento di pietra della cantina e a riapre ogni sorte di recipienti a loro disposizione: i due indossano delle maschere antigas, per proteggersi dalle venefiche e mefitiche esalazioni, che convincono immediatamente la ragazza che li sta spiando, a cercare un qualche aiuto. Così l’indomani mattina si reca a Godalming, un posto vicino dove sta il negozietto di Dick Wilmott e prega il giovane, che di lei è segretamente innamorato, di andare con lei al castello, spacciandosi per fidanzati. La signora Failworth non crede minimamente che i due lo siano, ma deve fare buon viso a cattivo gioco, capendo ben presto che il gioco del terrore e della vendita del castello non riesce nel modo auspicato: la giovane non vende, anzi, assieme al giovane, vuole visitare la stanza maledetta, quella che aveva portato alla pazzia lo zio, e in cui si dice si manifesti un fantasma, e il 21 giugno, anche uno spirito malvagio: fatta schiodare la porta, i cui stipiti sono inchiodati e le cui fessure sono tappate con nastro adesivo, i due vi entrano: è una stanza completamente vuota, piena all’inverosimile di polvere e dominata da un grande camino, il cui fondo è franato. Ben presto avvertono un’aria malsana e cominciano ad avere seri problemi di respirare, ed inoltre vedono materializzarsi un fantasma ghignante. Devono uscire dalla stanza, per ritornare a poter respirare e a poter soprattutto riflettere  mente fredda.
Sempre più convinti, dall’atteggiamento dei domestici che essi siano coinvolti ij una specie di macchinazione ai loro danni, vogliono andare in fondo e così, recandosi allo studio legale che ha curato il passaggio di proprietà dallo zio alla nipote, vengono a sapere che un tale chimico analista, Harry Castairs, ha offerto per rilevare il castello e la proprietà intorno, circa quindicimila sterline; collegando alla professione del compratore gli indizi concernenti il misterioso liquido pompato dal sottosuolo e il puzzo mefitico che accompagna l’estrazione, si convincono dell’esistenza di qualche fonte sotterranea, corroborata dalla scoperta in un libro della biblioteca del castello, di notizie riguardanti il castello, costruito pare su un’antica faglia vulcanica.
I due sospettano ora che quelle sensazioni di soffocamento e il puzzo di uova marce, sia dovuto ad anidride solforosa ed acido solfidrico, due sostanza presenti nei gas vulcanici, e che il gas venga fatto salire nella camera tramite il condotto della canna fumaria del camino: provano innanzitutto che l’atmosfera malsana nella camera non esiste quando i domestici sono impegnati in altra attività e non sospettano che i due giovani siano penetrati nella stanza. Tuttavia il fantasma si manifesta e allora per trovarne la spiegazione, prima i due addebitano la causa ad una misteriosa sostanza presente sul soffitto della stanza, poi aggrappandosi all’edera rampicante della torre, il giovane si issa fuori fino a vedere dall’esterno il vetro della finestra, e trovando disegnata una figura corrispondente a quella che si manifesta nella stanza cosiddetta maledetta. Nel volume trovato nella biblioteca del castello manca la piantina del maniero, strappata da qualcuno, così il giovane si da da fare fino trovare presso un conoscente, una copie del libro da cui accede alla pianta del castello e così capendo che alle cantine non si accede solo dalla scalinata principale , ma anche da una scaletta di servizio.
Accadrà ancora molto, e rivelazioni continue si accavalleranno fino alla fine drammatica, nella stanza delle torture del castello.
Romanzo con una grande atmosfera,e con un ritmo serrato, non mantiene sino alla fine le promesse, sgonfiandosi presto, e soprattutto dando le risposte troppo presto, cosicché l’attesa della rivelazione finale viene sostituita da quella concernente la vita dei due giovani. I colpevoli si sanno sin dall’inizio e comunque una qualche sorpresina riguarda solo il ruolo di uno dei due coniugi rispetto all’altro, e quello del chimico analista. Per di più, i due giovani non vincono con pieno merito la tenzone con i colpevoli e assassini dello zio, in quanto riescono ad avere la meglio solo perché uno dei due coniugi si ribella all’atro mentre Dick e Vera sono inermi, incatenati e sul punto di venire torturati con i tizzoni roventi.
Un finale liberatore, tuttavia dominato dalla vetustà dell’impianto, anche piuttosto elementare e puerile: fantasmi, cattivi domestici (ovviamente come nella tradizione del romanzo mystery super-antiquato), eredità contese, tesori, radici misteriose, veleni infernali. E tuttavia non appartenente ad un tempo lontano, e per questo scusabile, ma addirittura al 1946, come se gli anni trenta non fossero mai esistiti: Fearn realizza una ghost comedy, infilando il motivo della camera che uccide, ma troppo presto rivelandone i meccanismi mortali, e quindi togliendo mordente alla storia. Ed impostando il romanzo al modo delle storie di Nancy Drew, in cui le donne sono sempre esseri indifesi, i fidanzati sono cavalieri che accorrono in difesa della pulzella e se vi sono castelli, sicuramente i domestici devono essere persone infide.
E’ interessante leggerla solo per gli amanti delle Camere Chiuse, che ne vogliano aggiungere un’altra, all’elenco delle opere lette e conosciute. Rimandiamo il giudizio su Fearn ad altre opere.

Pietro De Palma

P.S.
Di Fearn, alias Vargo Statten, alias innumerevoli altri pseudonimi, mi aveva fato le lodi Igor Longo, dieci anni fa. Ma è anche vero che Igor, citandomi i suoi capolavori (tutti editi da Garden), non aveva fatto menzione di questo romanzo. Mi era rimasto il dubbio che lui non lo conoscesse (essendo una Camera Chiusa): ora invece so,che non me ne aveva parlato perché evidentemente non lo riteneva di valore pari agli altri citati.

mercoledì 21 dicembre 2016

Pierre Boileau – Uno strano cliente (La Promenade de minuit, 1934) – trad. Aldo Albani -I Grandi Gialli Pagotto n.14, anno III, 1951


C’erano una volta I Grandi Gialli Pagotto. Già, i Pagotto. Il nome di una collana mitica per i collezionisti di libri gialli in Italia.
Tanti anni fa, alla fine degli anni ’40, c’è chi puntò tutto su una serie che proponesse autori non anglofoni ma francofoni. E’ bene dire che questa scommessa non pagò i risultati voluti, perché il bacino di lettura italiano, sin dall’origine fortemente anglofilo, non reagì entusiasticamente; tuttavia, quell’atto di presunzione, ci donò un patrimonio che ancor oggi, con notevoli difficoltà, per la rarità del materiale cartaceo in circolazione e quindi anche per il costo, ci dona momenti di grande lettura.
E’ il caso del romanzo che propongo questa volta, “Uno strano cliente” del francese Pierre Boileau. Il titolo dice poco a prima vista: direbbe di più se si fosse tradotto quello originale: La Promenade  de minuit, “La passeggiata di mezzanotte”, titolo che fa diretto riferimento ad un episodio di cui si narra nel romanzo e che condurrà alla soluzione.
Pierre Boileau è conosciuto per il sodalizio che lo legò all’altro scrittore francese Thomas Narcejac, di cui felici risultati furono tanti romanzi (anche conosciuti per le felici riduzioni cinematografiche): Les diaboliques (I Diabolici) oppure per esempio D’entre les morts (La donna che visse due volte), Maléfices, L’ingénieur aimait trop les chiffres, Les veufs (I Vedovi),  e anche per i romanzi che egli scrisse prima che incontrasse l’amico, tra cui il recentemente ripubblicato da Mondadori, Six Crimes sans Assassin (1939), “Sei delitti senza assassino”.
Tuttavia prima che scrivesse quest’ultimo, ne scrisse altri due, entrambi nel 1934, La Pierre qui tremble (La pietra che trema, 1950) e La Promenade de minuit (Uno strano cliente, 1951): quindi il romanzo di cui parlo in quest’occasione, anticipò direttamente Six Crimes sans Assassin: Perché lo metto in rilievo? Perché troviamo già nel romanzo precedente delle strane anticipazioni che verranno riprese e ampliate nel romanzo successivo.
Andrè Blunel è alle prese con una delle sue crisi di identità: vorrebbe avere per le mani un bel caso, che gli dia la possibilità di mettere in moto le sue cellule grigie; invece nulla gli viene proposto. Il fatto che la stampa locale lo definisca  benefattore dell’umanità, lo fà star male, perché egli non si sente tale: egli non combatte i criminali per affermare il senso della giustizia, ma solo per affermare il suo egocentrismo. In sostanza è una specie di Philo Vance, che cerca i migliori criminali per battersi con loro, sfidandoli sul piano della logica e della deduzione. Qunado meno se l’aspetti, ecco che gli capita un altro caso: gli si presenta alla porta un certo Lucien Blaisot, un tale secco secco e lungo che verrà chiamato per tutto il romanzo coll’appellativo di “Il trampoliere”. Lucien gli racconta una storia: suo padre, Auguste, un bel giorno è scomparso. Conduceva una vita tutto sommato tranquilla: aveva solo il pallino delle costruzioni meccaniche, e per quello s’era fatto costruire, accanto alla casa, una specie di laboratorio-deposito, dove passava le notti. Né lui, né la madre, né tantomeno lo zio, Charles, immaginano dove possa essere finito. Non hanno avvisato la polizia, anche per evitare di finire in bocca alla gente. Il fatto è che Lucien rivela che suo padre doveva avere una doppia vita: infatti una volta che sarebbe dovuto essere in laboratorio, era scomparso, e con lui il calesse, non l’auto. Dove andava di notte, per poi ritornare di mattino presto e infilarsi a letto come se avesse lavorato in laboratorio tutta la notte?
Andrè Brunel e l’amico (il narratore) partono alla volta di Coteville (Seine-Inférieure), vicino Dieppe, dove Blaisot vive. Appena arrivati, ricevono una gravissima notizia: lo zio Charles, il fratello del padre, è stato ritrovato dalla domestico morto: causa della morte una profonda ferita all’addome. Il fatto è che quando si recano sul posto e trovano il vecchio morto, notano: l’assenza di tracce evidenti di sangue, nonostante l’imponenza dell’emorragia, segno che il ferimento è avvenuto altrove; e che dev’essersi trattato di omicidio, perché lo strumento per mezzo del quale è stato ferito a morte, un’arma da fuoco, non è stato trovato.
Brunel, sulla base del fatto che al momento del ritrovamento del cadavere e anche qualche tempo prima, spirava vento contrario, e in base al fatto che la villa dello zio Charles abbia due uscite contrapposte (una davanti ed una dietro alla villa) deduce la possibile direzione che deve aver seguito lo zio, trascinandosi ferito fin dove è stato trovato morto, sulla base che il vecchio ogni giorno, ad una determinata ora, soleva fare un giro a piedi nella sua tenuta, anche per controllare che nelle sue terre non girassero bracconieri, con cui aveva una sorta di guerra privata.
Il tenente Perruchet della gendarmeria, che già è in loco, di buon grado accetta la collaborazione di Brunel.
Che possa essere stato forse un bracconiere, viene avvalorato dal fatto che viene trovato, nel posto che Brunel indica come possibile per l’omicidio, un bossolo calibro 16, di un fucile a pallettoni, un’arma che benissimo può aver colpito orribilmente all’addome il vecchio Charles. E trova anche una serie di impronte, che all’inizio sembrano indirizzare verso uno zoppo, zoppo che però, dopo un certo numero di passi, all’imboccatura di un sentiero che porta ad una casa abbandonata, scompare: evidentemente un depistaggio.
Dopo una serie di abboccamenti, decidono di penetrare in quella casa e vi trovano nascosto un fucile che potrebbe essere stata l’arma dell’omicidio. La casa è abitata da un certo Raymond Roujard, che alla loro vista fugge ma è acchiappato dopo un breve inseguimento: è un cacciatore di frodo, uno zoticone, mezzo vagabondo. Arrestato, viene portato in guardina. E’ lui l’assassino dello zio di Lucien Blaisot? E c’entra qualcosa con la scomparsa di Auguste Blaisot? Brunel è convinto del fatto che, se davvero come sembra, la morte e la scomparsa (ma sospetta un’altra morte) sono collegate, Roujard dev’essere stato sicuramente manovrato da qualcuno: insomma è stato il braccio, come è oramai sicuro, ma sicuramente non la mente, essendo un individuo alquanto stolido.
Brunel convince Perruchet a tendere un tranello a Roujard: allenteranno la sorveglianza in maniera che fugga, e lo seguiranno, sicuri che così sorprenderanno i complici. Tutto fila come previsto: Roujard fugge e si rifugia a casa sua . Brunel, l’amico e il tenente della gendarmeria si dividono le uscite della casupola: la porta e le due finestre, ognuno di guardia ad una di esse. L’evaso è alla loro mercè. Tuttavia mentre tendono l’assedio alla casa arrivano due ciclisti, e mentre uno dei due rifiuta di qualificarsi, assalta il tenente, e fugge, vedono anche l’altro che fugge, proprio mentre si sente un grido orribile e Roujard viene trovato in un mare di sangue con la gola squarciata: i due non possono essere stati, non è stato visto altro avvicinarsi alla casa, eppure Roujard è morto. Sembrerebbe un mistero da Camera Chiusa. Accanto al cadavere un coltello, che viene identificato come appartenente a Charles Blaisot. Cosa significa? Che sicuramente Roujard deve avere ucciso Blaisot, ma..chi ha ucciso a sua volta lui? Come ha fatto un coltello con le iniziali di Charles Blaisot ad essere trovato nella gola di Roujard?
Brunel sospetta che c’entri qualcun altro. Ma non ha prove di alcun genere. Sa solo che l’unico testimone del mistero che grava sull’intera faccenda non parlerà mai, perché parlare proprio non sa. Semmai sa..nitrire. E’ il cavallo che tira il calesse. Possibile che lui sappia la strada che il vecchio Auguste faceva di notte? Brunel si affida all’unica pista che ha a disposizione: convinto a seguirlo Lucien, partono di notte sul calesse e lasciano che il cavallo segua un suo itinerario. Li porterà ad una casa abbandonata, dove Brunel avrà una grande sorpresa che per poco non si concluderà con la sua morte prematura. Questa volta dovrà dire grazie al suo aiutante, che a sua volta, novello Sherlock Holmes, avrà capito come nella faccenda c’entri qualcun altro di casa Blaisot, tra la fidanzata di Lucien, Hélène Dorance, il custode Bertrand, e la moglie di Auguste, e proprio nell’istante in cui Brunel sta per andar a far visita, legato mani e piedi, alle rane di uno stagno, pardon, a San Pietro, ecco che l’amico interviene, vero deus ex machina e lo salva.
In un finale liberatore, si spiegherà tutto, e più d’uno dovrà rivelare la sua verità.
Romanzo delizioso, con tratti assai godibili (il modo come senza indizi di sorta, ma solo affidandosi all’acume e all’intuito, Brunel capisca dove è avvenuto veramente l’omicidio di Charles Blaisot, e gli indizi che lo portano a sospettare di un bracconiere, è veramente un pezzo di bravura), il romanzo gioca ancora una volta su quella che è la caratteristica comune dei romanzi francesi del periodo, di cui Boileau incarna la leadership indiscussa: disinteressarsi di atmosfera e descrizioni psicologiche, per presentare al lettore una storia basata esclusivamente su un mistero, che porterà, allorchè venga risolto brillantemente, alla spiegazione del tutto. E’ un modo assai semplicistico di scrivere ma che consente di concentrare tutte le proprie energie sull’intreccio e sul mistero, senza occuparsi di altro.
In un certo senso questo romanzo è anche assai interessante, non solo perché è uno studio rivolto alla Camera Chiusa, ma anche perché in certo senso, è uno studio preparatorio, una sorta di cartone su cui Boileau fissa alcune delle idee che riprenderà nel romanzo del 1939: innanzitutto il motivo della casa sorvegliata da tre persone diverse (Brunel, l’amico assistente ed il poliziotto di turno) che sorvegliano ognuna una delle uscite possibili della casa, e il motivo della Camera Chiusa conseguente, visto che colui che si è chiuso in casa, muore in circostanze impossibili.
Interessante è anche l’intreccio che avviluppa assieme, due storie completamente diverse, presentandoci un due cadaveri, morti per cause diverse, in seguito a fatti completamente estranei, che coinvolgono persone che neanche si conoscono, in un intreccio che non sente il bisogno di seguire le idee classiche del romanzo poliziesco di quegli anni, quelle delle 20 regole di Van Dine.
In un mondo ancora una volta d’altri tempi: un’ambientazione bucolica (ma non troppo), personaggi quasi surreali, un animale che porta gli uomini a scoprire un intreccio neanche immaginato, carrozze e auto d’epoca, malfattori che fuggono inforcando due biciclette, mezze verità e mezze bugie, un detective osannato che deve la vita al suo aiutante improvvisatosi a sua volta detective, una bella fanciulla di cui l’amico di Brunel si innamora. E due assassini che stanno per diventarlo spinti dalla necessità, ma in realtà ladri di polli; ed un ladro di polli che diventa assassino.
Insomma tante sorprese con un finale a sorpresa che sorprenderà non poco e non pochi.

Pietro De Palma

domenica 18 dicembre 2016

Agatha Christie : Sipario (Curtain – Poirot’s Last Case, 1975) – trad. Diana Fonticoli - Il Giallo Mondadori N.1403 del 1975. Ristampato in I Classici del Giallo Mondatori N.1287 del 2011.




Styles Court ebbe sempre una certa importanza per Agatha Christie.
Lo testimonia l’avervi ambientato 2 romanzi importantissimi nella sua carriera di scrittrice: The misterious affair at Styles , il suo esordio nella carriera di scrittrice (1920), per di più col personaggio che la rese universalmente celebre, Monsieur Hercule Poirot, investigatore belga; Curtain – Poirot’s Last Case (1975), romanzo d’addio di Poirot.
Curtain – Poirot’s Last Case comincia laddove il primo era finito: a Styles Court. Ora la dimora dei Cavendish è diventata una pensione: lì ha affittato una stanza Poirot, invecchiato e consumato dall’artrite, che vive in pratica su una sedia a rotelle. Ma Poirot non è a Styles per nostalgia, bensì per un fine molto più stringente: come scrive al suo vecchio amico Hastings, anche lui solo, dopo la morte della moglie, lì in quella pensione, dimora un assassino, o…Mr. X come lui lo chiama, non volendosi più di tanto sbilanciare; nel tempo stesso, la reticenza è una misura precauzionale nei confronti dell’amico e dei suoi, non essendoci alcuna prova che indichi in maniera inconfutabile che X sia un assassino. Lo dimostrerebbero, solo, incredibili coincidenze, avvenimenti che, presi singolarmente, non hanno alcun valore, e poi, invece, raffrontati gli uni agli altri e tutti e ciascuno rispetto a delle determinate circostanze, assumono sinistri contorni.
In altre parole…c’è stata una serie di morti molto strane.
Leonard Etherington: morto apparentemente per cibi guasti, in seguito all’autopsia si scopre essere stato assassinato con topicida a base di arsenico. Accusata la moglie, essa era stata assolta. Tuttavia l’opinione generale le era sfavorevole e dopo due anni dal processo, si era suicidata con barbiturici.
Signorina Sharples: morta in seguito a dose eccessiva di morfina. Insufficienza di prove a carico della nipote, Freda Clay.
Ben Craig : assassinato assieme alla signora Riggs con un fucile appartenente al di lei marito Edward Riggs, geloso della relazione tra i due. Riggs era stato condannato all’ergastolo, dopo la condanna a morte.
Derek Bradley: minacciato dalla moglie per la sua relazione con una ragazza, era stato ucciso con del cianuro di potassio sciolto nella birra. La moglie era stata condannata a morte e impiccata.
Matthew Litchfield : padre tirannico di quattro figlie, ucciso da Margaret la figlia maggiore, che voleva così permettere alle sorelle di rifarsi una vita: internata a Broadmoor perché incapace di intendere e volere, vi era morta successivamente.
Casi che non sembrerebbero aver avuto alcunché in comune, troppo diversi per suggerire una matrice comune. Eppure Poirot vi ha scorto quello che altri non avevano notato: questo fantomatico Mr. X  aveva “abitato per un certo periodo nello stesso paese di Riggs”, “era in rapporti di amicizia con Etherington”, “conosceva la signora Bradley”; conosceva (e una foto lo testimoniava) Freda Clay; si trovava vicino a casa Litchfield quando il padrone di casa era stato ucciso.
Ora si trova a Styles Court, divenuta una distinta pensione. E anche Poirot è lì.
Poirot nonostante sia su una sedia a rotelle, si sente in dovere di entrare in azione, perché sospetta, in base a tutte le coincidenze preesistenti, che un altro omicidio stia per avere luogo lì, a Styles Court, dove cinquant’anni prima, era stata uccisa Emily Inglethorp.
La dimora dei Cavendish è stata venduta ed ad averla acquistata e trasformata in pensione è stato George Luttrell, colonnello a riposo. La amministra e vi vive assieme alla moglie Daisy. Ospiti della pensione, e quindi in sostanza personaggi del romanzo, oltre a Poirot, sono, al momento in cui arriva con sua figlia Judith, Hastings: Sir William Boyd Carrington, Stephen Norton, Elizabeth Cole, lo scienziato John Franklin (che vi ha un laboratorio) e sua moglie Barbara; il cameriere di Poirot, Curtiss, e la signorina Crafen, infermiera. Tutti i personaggi, chi più chi meno, avranno un ruolo nel dramma. Tra questi si cela l’assassino, Mr. X, e la sua vittima.
Poirot vorrebbe salvare l’agnello sacrificale, che non sa chi sia, e proprio per questo chiede l’aiuto di Hastings, che corre, assieme alla figlia, in aiuto dell’amico. Ma di lì a poco avverrà un omicidio, sulla base della massima poirotiana: “..una rondine non fa primavera. Ma un assassino, Hastings, fa un delitto” (pag. 46). Ma prima ci sarà un tentativo andato a vuoto di uccidere la moglie del colonnello Luttrell: lui spara ad un coniglio e un proiettile sfiora la moglie. Il proiettile pare sia stato sparato dal fucile del colonnello; ma è davvero così, oppure è stato sparato da un fucile simile, di uguale calibro?
Fatto sta che, successivamente, una morte avviene: la signora Franklin viene avvelenata con una dose mortale di solfato di fisostigmina. La dose proviene dal laboratorio del marito, di cui possiede una chiave sia lui che l’assistente. Si chiarisce che la vittima soffriva di depressione, e c’è per di più un testimone oculare al di sopra di ogni sospetto che giura di averla vista uscirne stringendo in mano un flacone: è Hercule Poirot. Il verdetto dell’inchiesta del coroner è di suicidio. Ma davvero Poirto ha visto quello che ha confessato? Il punto nodale è che il buon Poirot una ne fa e cento ne pensa: egli sa che la signora è stata assassinata, ma siccome non ha prove su X, fa in modo che l’inchiesta venga chiusa in maniera tale che lui e Hastings siano liberi di lavorare “sotto copertura”, diremmo oggi. Del resto, confessa di aver testimoniato ma “non sotto giuramento”.
Hastings ha paura che qualcos’altro avverrà. E in effetti un secondo omicidio avviene, e questa volta in condizioni impossibili: Norton viene trovato con una pallottola in fronte nella sua stanza, chiusa dall’interno; e la chiave gli viene trovata nella tasca della vestaglia, una volta che la porta viene forzata. Anche la finestra è stata trovata chiusa dall’interno. Non può che trattarsi di suicidio.
Questa volta è Hastings che giura all’amico di aver visto Norton (che zoppicava) con indosso la vestaglia, chiudersi in camera. Ma nonostante che sia stato trovato con la pistola in mano, Norton in base alla convinzione di Poirot, è stato ucciso.
Da chi ? E come ?
Dopo, sono solo fuochi pirotecnici.
E uno di questi riguarda Poirot. Che muore, per attacco cardiaco.
Poi, quattro mesi dopo una lettera recapitata a Hastings spiegherà tutto: come siano avvenute le tre morti; come non ci sia stato un tentato omicidio, ma due; come ci fossero all’atto, fino all’assassinio Franklin, due potenziali omicidi e uno reale; come, dopo l’omicidio Franklin, un potenziale omicida e due reali; dopo l’omicidio di Norton, due assassini. Dopo la sua morte (quella di Poirot), un solo assassino, che non è però X e che è un altro colpo di scena.
Non so come la pensino gli altri, ma io un’idea me la son fatta: secondo me i Queen avevano letto e apprezzato, e l’avevano in parte come modello The misterious affair at Styles, quando scrissero The Twins Siamese Mystery: in Agatha Christie c’era la storia di due fratelli e di una matrigna, che poi si era risposata con un uomo più giovane, e dell’assassinio di lei, di cui è accusato falsamente uno dei fratelli; nei Queen, la storia di un chirurgo assassinato, e sospettati falsamente sono 2 fratelli gemelli. In ambedue entrano in scena due possibili uxoricidi.
Ma, poi, altrettanto probabilmente la Christie doveva aver letto le opere dei Queen. Infatti le ultime quattro parole del romanzo “il marchio di Caino”, Mark of Cain, ci rimandano a Ellery Queen, a tanti suoi lavori: al radiodramma The Adventure of the Mark of Cain, al romanzo The King is Dead, aun capitolo di Once was a woman, che si chiama The Mark of Cain. ma anche allo stesso The Twin Siamese Mystery, a X.
X ci rimanda al dottor Xavier, ma anche al doppio. A Giano bifronte: e questo, Curtain – The Poirot’s Last Case, è un altro romanzo sui doppi, potremmo dire il romanzo sui doppi della Christie: perché ci sono quattro assassini, e questi quatto fino alla fine non paiono tali. Uno non ha mai ucciso, ma ha ucciso molti; un altro ha ucciso una sola volta per necessità, per salvare delle vite, ma non è stato incriminato anzi lodato, ed ora uccide ancora per necessità, per salvare delle vite, ma nessuno penserebbe che abbia ucciso; un altro uccide ancora, ma non sa che ha ucciso; e infine il quarto, che vorrebbe uccidere un altro, finisce per un errore, non suo, di uccidere..se stesso.
Potremmo chiamarlo, al pari dei Queen, una “Tragedy of Errors”. E tale sicuramente sembra a chi legge il romanzo, perché molto altro accade, e in questo molto, molti altri errori ed equivoci e comportamenti caratterizzanti, che trovano spiegazione nel catartico finale; e tra i comportamenti segnaliamo, la strana ripresa del “claudicare” di Poirot: Poirot nel suo primo romanzo, zoppicava. Poi durante la sua cavalcata di cinquant’anni, l’incedere claudicante si attenuerà di parecchio. Si riparla di andatura zoppicante di Poirot in quest’ultimo romanzo. E l’andatura zoppicante entra di prepotenza nella spiegazione finale.
Ma perché proprio a Styles Court la Christie pensò di ambientare il suo primo ed il suo ultimo romanzo della serie di Poirot? Non lo so, ma sicuramente Styles Court, doveva rivestire per la Christie quasi un valore simbolico: lì aveva avuto inizio la sua fortuna, lì doveva finire.
Pochi sanno che quando scrisse il suo primo Poirot, la casa dove abitava col marito, il colonnello Christie, si chiamava Styles, a Sunningdale, nel Berkshire. E da quella casa prima il marito nel 1926 andò via dichiarando che aveva un’amante, poi lei stessa scappò (la famosa fuga e temporanea scomparsa).
Un discorso a parte meriterebbe la scelta della copertina della ristampa, in edicola in questi giorni: rappresenta un corvo tra le lapidi. Corvo, simbolo di morte? Corvo simbolo di malaugurio? Il significato potrebbe essere quello. Ma potrebbe essere, anzi senz’altro è, un simbolo: se si nota, sulla copertina degli Oscar (e anche dentro) si trova ( associato spesso alla firma di Agatha Christie), il disegno di un corvo. Quindi il corvo potrebbe rappresentare Aagatha Christie. Che sta in un cimitero, presso una lapide: quella di Poirot. Significa che Agatha Christie è sopravvissuta nella morte alla morte del suo personaggio più famoso? E’ certamente una copertina interessante, anche se io preferisco quella molto più esplicativa, e, anche in un certo senso, maggiormente melanconica, di Jacono: Poirot che si inchina per l’ultima volta davanti al proprio pubblico, mentre il sipario delle sue avventure (e della sua vita di carta) si chiude. Del resto la melanconia del personaggio, in quest’ultimo romanzo, è molto accentuata: lo vediamo sofferente, e per la prima volta incapace di prendere decisioni ragionevoli nei confronti di un assassino perfetto.
Quella dell’assassinio perfetto è una via che viene da lontano, e che, attraverso varie sfumature, Agatha ha esplorato più volte. Qui tuttavia ci troviamo, per ammissione dello stesso Poirot, dinanzi ad un assassino davvero unico, perchè non si sporca le mani. In qualche modo rielabora precedenti esperimenti romanzeschi, che non sono propri solo di Agatha Christie, ma anche di altri autori britannici (Heyer, Crispin, Wentworth, per es.) che hanno a più riprese parlato della possibilità di seminare odio e risentimento attraverso la corrispondenza, le lettere. Io vedo una similarità molto accentuata tra questi odiosi sistemi di portare il male nella comunità (inducendo i più deboli a uccidersi o inducendo altri a uccidere), per esempio nel famosissimo romanzo della Christie, “Il terrore viene per posta”, ed il sistema adottato dall’assassino X presente in questo romanzo: attraverso una sensibilità psicologica accentuatissima, e votata al male, indurre determinate persone ad ucciderne altre, toccando al momento giusto “determinate corde”.
Insomma, un romanzo che a dirla così sembra nulla, ma in realtà è, secondo me, un capolavoro assoluto di Christie, uno dei pochi romanzi che ci si augurerebbe di poter salvare da un’intera libreria, se non la si potesse salvare tutta.

Pietro De Palma

martedì 13 dicembre 2016

PROSSIMAMENTE ARTICOLO ANALISI ATTIVITA' EDITORIALI 2016

Prossimamente, su questo blog, apparirà una mia disamina sull'attuale stato dell'editoria italiana del settore gialli, e su quello che s'è fatto o non s'è fatto nel corrente anno 2016.
Quindi, tutti attenti e, se volete, partecipate con commenti!
Un saluto a tutti.

P. De Palma

lunedì 12 dicembre 2016

Paul Halter – La Quarta Porta (La Quatriéme Porte, 1987) – traduz. Marianna Basile – Il Giallo Mondadori N. 2438 del 1995 ( 2^ PARTE)

E ora parliamo della trama. Devo sottolineare però che ancora una volta ci troviamo alle prese con personaggi, poco più che ragazzi: è un altro dei motivi ricorrenti in Halter. Avevamo trovato dei ragazzi ne La Malediction de Barberousse, li troveremo in altri romanzi, per es. in Le Brouillard Rouge, o in Spiral (ancora inedito in Italia).
Il narratore è James Stevens, Elizabeth Stevens è sua sorella, Henry White è un loro vicino e amico, come pure John Darnley: sono tutti poco più che adolescenti. Le famiglie di alcuni di loro possiedono delle caratteristiche comuni: infatti sia John che Henry sono orfani di madre. La madre di Henry è morta per un incidente d’auto (causa di ricorrenti liti tra Henry ed suo padre, Arthur), mentre quella di John è stata trovata morta in una soffitta della loro casa, chiusa a chiave dall’interno, in un lago di sangue, coperta di ferite da taglio, con un coltellaccio vicino: la sua morte è stata archiviata come suicidio, e del resto è bastato il fatto che la porta fosse stata trovata chiusa dall’interno a fugare ogni dubbio.
Tuttavia, siccome Victor Darnley, il padre di John, ha bisogno di ricavare dei soldi, dopo la guerra cerca di affittare alcune stanze della sua casa, ma sempre, dopo un po’ di permanenza, gli affittuari  vanno via a causa di quegli strani rumori che si sentono provenire dalle soffitte di notte: rumori di passi, ed un’atmosfera strana, misteriosa, malsana. Finchè un bel giorno, la fama della casa infestata dallo spirito della defunta Sig.ra Darnley, non attira una coppia un po’ strana, i Latimer, Alice e Patrick. Lei è una medium, e ben presto questo avrà conseguenze.
I ragazzi oltre che amici, sono legati anche dalle prime cotte adolescenziali: Elizabeth è innamorata di Henry, ricambiata, ma né lei né lui fanno il primo passo, giacchè entrambi sono timidi: lei vorrebbe che fosse lui a fare il primo passo, per non compromettersi e non finire ad essere additata come una sgualdrina (i soliti miti della provincia francese), lui non trova il coraggio per fare il primo passo e quando è lì sul punto per fare qualcosa…pensa bene di fare dell’altro; così alla fine, nonostante il narratore della storia, James, finisca per fare il mezzano, anche contro la sua volontà e su richiesta della sorella, la storia tra i due ragazzi non decolla, tanto che la ragazza finisce per accettare la corte di John.
Un bel giorno, anzi una bella notte, il padre di Henry nel boschetto intorno alle case vede dei movimenti sospetti: qualcuno che trasporta quel che sembra un corpo. Poi più nulla, e quando viene ritrovato sanguinante con una gran brutta ferita alla testa, già si piange la sua morte. Tuttavia Arthur vivrà. Ma intanto, Henry scompare e non se ne sa più nulla.
La scomparsa di Henry e l’aggressione quasi mortale di Arthur, combinandosi ai rumori strani che ricominciano a sentirsi in casa Darnley, provenienti dalle soffitte, nonostante John e il padre (prima sospettato di essere lui a produrli, quando va nelle soffitte cercando lo spirito della moglie) siano assieme accanto ad Alice Latimer ed altri protagonisti, e alle minacce proferite dallo spirito della Sig.ra Darnley, che ha parlato attraverso la medium Alice Latimer, durante una seduta spiritica, infuriata contro chi l’ha uccisa e  che troverà pace solo quando l’assassino verrà trovato, formano una miscela esplosiva.
Un bel giorno si combina un esperimento, nella camera della soffitta che si dice essere infestata dallo spirito: Patrick Latimer si offre di esservi rinchiuso, per incontrare lo spirito e poter sapere chi l’abbia uccisa; per sicurezza maggiore, ogni mezzora qualcuno si accerterà che lui sia vivo e vegeto, fino alla fine dell’esperimento. E per evitare che la scena sia contaminata da altre presenze, la manopola esterna della stanza viene sigillata e il sigillo viene creato utilizzando una moneta antica, unica, che viene pressata sulla cera calda.
Patrick si presenta poco dopo, avvolto in un pastrano e con un cappellaccio: evidentemente crede di averne bisogno, perché nelle soffitte fa freddo. Quando però allo scadere del tempo, qualcuno non sente risposta dall’interno e decidono di aprire la porta sigillata, ritrovano Patrick morto, con un pugnale conficcato nella schiena.
Le finestre sono chiuse, la porta era stata sigillata da loro, nella stanza non c’è nessun altro: sicuramente se è stato omicidio ha avuto una causa sovrannaturale. Alice alla vista del marito ucciso, sviene. Le sorprese non sono finite: infatti quando viene scoperto il viso del morto, si capisce immediatamente che quello non è Patrick ma Henry, e allora ci si ricorda di come la figura, prima di entrare nella camera fosse avvolta troppo bene nel pastrano e nel cappellaccio quasi a celare la propria identità.
Intanto, ecco che Patrick fa la propria comparsa: racconta di essere stato aggredito mentre era giù ad indossare il pastrano. Ma allora perché Henry, dopo esser stato creduto morto o scomparso, dopo che è stato visto da due persone diverse in due posti diversi alla stessa ora, è venuto a morire proprio allora in quella casa?
Nessuno lo sa spiegare, finchè arriva la terza sorpresa: qualche giorno dopo, suonano alla porta, ed ecco..Heny. Henry ? Ma non era morto?
Due Henry, identici. Quale sarà quello giusto? Pochi accenni della sua storia, e si capisce che il vero Henry è quello che si trovano dinanzi, vivo; mentre il falso Henry, morto, è un suo amico, Bob Farr, quasi un suo sosia.
Entra in scena l’Ispettore Drew: tuttavia, pur facendo indagini, e interrogando le persone coinvolte, nessuno capisce il perché quel giovane, Bob Farr, sia stato ucciso al posto dell’amico Heny. E, nonostante Drew schiumi rabbia, Henry si rifiuta di parlare e di raccontare la sua verità.
Fatto sta che proprio Drew, nel corso di una riunione di famiglia, accuserà Henry di aver ucciso l’amico, e ipotizzerà che egli possa essere se non la reincarnazione di Harry Houdini, almeno un parente prossimo, visto che Harry Weiss, nome originario di Harry Houdini, è quello anche di Arthur White, che peraltro gli assomiglia come una goccia d’acqua. Henry, sarebbe impazzito, credendosi Harry e comunque credendo di averne il sangue. Il movente? La vendetta, non contro Farr, bensì contro suo padre Arthur accusato da lui di essere il responsabile della morte della madre: il suo delitto, dovrà essere collegato ai dissidi tra lui ed il padre, e quindi Arthur sarà accusato dell’omicidio del figlio, anzi di Farr, creduto Henry.
Ma come avrà potuto creare un trucco da Camera Chiusa? Drew immagine una messinscena elaborata: Henry avrebbe ucciso prima Bob Farr, accoltellandolo alla schiena, e lasciandolo in una camera vicina, poi presentandosi e venendo chiuso dall’esterno, avrebbe cosparso la giacca di un liquido rosso e poi si sarebbe piazzato sulla schiena un pugnale da scena, retrattile: agli occhi di chi avesse aperto la porta, sarebbe sembrato un omicidio, poi avvalorato dal successivo trucco: una palla di gomma posta sotto l’ascella, poi stretta, così da interrompere per pochi secondi il flusso sanguigno dell’arteria radiale, e determinare il fallimento del rilevamento del flusso tastando il polso. Nel momento in cui gli astanti sarebbero scesi per avvisare la polizia, lui in fretta e furia avrebbe preso il cadavere di Bob Farr e l’avrebbe messo al proprio posto. Determinando l’impossibilità dell’omicidio. Tuttavia la soluzione di Drew scontenta proprio l’accusato che dimostra come la sera dell’omicidio di Farr, lui era in America, fornendo un alibi bomba.
Finito tutto? No. Perché tempo dopo, mentre gli amici stanno trascorrendo una serata assieme, e sta nevicando, si consuma un secondo omicidio, altrettanto impossibile: muore infatti per una fucilata alla testa, che gli spappola un orecchio e conseguente emorragia, il padre di Henry, Arthur. Solo che dopo la telefonata nella quale il padre invoca l’aiuto del figlio, e parla di omicidio, accorsi i presenti, trovano sì Arthur ormai morto, ma anche trovano attorno alla casa una distesa di neve candida, senza alcuna impronta al di fuori delle loro. La successiva inchiesta da parte dell’incavolatissimo Drew non porta ad alcun risultato utile, eccetto il fatto che i coniugi Latimer sembrano essersi dissolti nel nulla. Viene diramato l’ordine di ricercare i latitanti, che risultano poi dalle indagini essere dei lestofanti, dei truffatori; successivamente viene convocata a casa di Henry una riunione nella quale il dirigente di polizia mette gli astanti al corrente delle indagini: nel corso di essa, mentre alcuni dei presenti sono seduti nella sala, chi su sedie, chi su un grande divano, Elizabeth Stevens si lamenta che il suo fidanzato abbia la mano fredda, e si lamenta tanto che lui sbottando le dice come le sue mani non siano affatto fredde. E’ in quell’istante che la ragazza capisce che la mano che sta tenendo non è quella del fidanzato ma spunta dal sedile del divano: quando rimuovono il fondo trovano al suo interno i cadaveri vecchi di due giorni dei coniugi Latimer. Il capitolo finisce e sorpresa delle sorprese, il capitolo successivo comincia  con quella che Todorov avrebbe definito un’ “esitazione”.
Cosa accade? Non lo dico, come pure ovviamente non rivelo come finisce la storia e chi alla fine venga inquadrato come omicida. Tranne che a risolvere il tutto vi pensa l’ex ispettore Alan Twist chiamato da uno scrittore di gialli, Ronald Bowers. Cosa c’entra lo scrittore con la storia? Non lo dico. Ma quando si pensa di aver capito tutto, si capisce invece di non aver capito nulla e due rivelazioni finali si susseguono, la prima falsa, l’ultima vera. Le due ultime parole del libro.
Romanzo straordinario, un autentico capolavoro, come se ne trovano pochi oggigiorno. Direi, con la mano sulla coscienza, uno dei migliori romanzi degli ultimi vent’anni, in assoluto.
Non a caso vinse “Le Prix du roman policier du festival de Cognac”, nel 1987.
Il successivo romanzo, Le Brouillard Rouge, vinse quello più importante in assoluto: Le Prix du Roman d’Aventures. Ma non si può dire che Nebbia Rossa sia migliore de La Quarta Porta: sono due romanzi con tema diverso, con afflato romanzesco diverso, entrambi capolavori, entrambi con camere chiuse. Se proprio volessi trovare una caratteristica peculiare di entrambi, direi che se il primo è un fuoco pirotecnico di invenzioni, di sorprese, di trovate, di soluzioni, il secondo affascina con il respiro possente del romanzo.
Tra le due Camere Chiuse presenti ne La Quatriéme Porte, la prima è la migliore, la più spettacolare, come accade per esempio in Whistle Up The Devil di Derek Smith, mentre la seconda è un corollario che serve a definire l’identità del secondo omicida. Già, perché in questo romanzo vi sono due o meglio tre colpevoli. Mannaggia..mi son tradito, Vabbè, ora lo sapete: tre colpevoli diversi. Però non sapete i nomi, eh già.
01quatriemeporte3.jpgE vi posso assicurare che mai come in questo romanzo, anche il più smaliziato dei lettori, non riuscirà ad indovinare il colpevole: ve lo posso assicurare, giacchè a me capita spesso. Qui no. Avevo letto il romanzo tanti anni fa. L’ho riletto tempo fa con estremo piacere, anche perché se mi erano rimasti impressi dei particolari (i cadaveri nel divano), il resto l’avevo dimenticato. Per cui la rilettura è stata estremamente appagante.
Per il resto, cosa si può dire?
Incominciamo col fatto che il primissimo romanzo autoprodotto, La Malediction de Barberousse, ha, con questo romanzo,una peculiarità comune: Paul Halter riversa tutto se stesso, dà fiato a tutta la sua straripante fantasia; tuttavia nel primissimo romanzo, il troppo stroppia, qui, invece, è congeniale al successo del plot.
Man mano che il plot si manifesta e l’azione si distende, viene innestata una marcia trionfale che procede con sempre maggior forza, fino al ritrovamento dei cadaveri nel divano e ancor di più fino alla fine della  Parte II. Nel passaggio dalla Parte II alla Parte III, c’è una cesura nettissima, che si manifesta con lo sgomento da parte del lettore, e con quella che Todorov chiamava “esitazione”, e che altri invece definivano “estraniamento”, “sbalordimento”, “confusione”.
La marcia trionfale, riprende nei capitoli successivi, con sempre maggiore tensione, fino ad arrivare alle due sorprese ultime, in un susseguirsi di colpi di scena. Possiamo dire che se la tensione è avvertita sin dall’inizio del romanzo e non accenna a sedarsi, essa procede sostanzialmente in due blocchi separati: il primo è costituito dalle Parti I e II, il secondo comincia con la Parte III; tra i due blocchi, ripetiamo, c’è una cesura nettissima, che coincide con l’entrata in scena di Ronald Bowers.
Non è un romanzo solo poliziesco ma è anche un romanzo fantastico. Lo è perché nel plot vi sono molti artifizi tipici della letteratura fantastica: come dice giustamente Philippe Fooz, nel romanzo vi sono Lieux hantés ou lieux maudits, luoghi infestati e maledetti; Réincarnation (“a réincarnation du célèbre magicien Harry Houdini”); bilocation, la bilocazione, che si verifica quando Henry è visto in due posti diversi, da persone diverse, alla stessa ora; ma c’è anche il tema del Doubler, del doppio ( i due Henry), della Résurrection (Henry suona alla porta, quando lo ritengono morto).
Ma è un romanzo fantastico, non solo perché possiede caratteristiche riconoscibili e ascrivibili al romanzo fantastico, ma anche perché ha la particolarità, che Todorov identificava come la spia che inquadra un romanzo come fantastico, di determinare nel lettore, al verificarsi di una determinato fattore X, una certa esitazione. Il verificarsi di questa esitazione, alla cesura, al passaggio dalla Parte II alla Parte III, è reale.
Todorov cita due romanzi polizieschi in quanto esempi di fantastico:The Murder of Roger Ackroyd, di Agatha Christie e The Bourning Court, di John Dickson Carr, per cause diverse. Guarda caso, le maggiori citazioni presenti nel romanzo di Halter, riguardano questi due autori, e questi due romanzi. Ora è una cosa acclarata che Halter prediliga da sempre questi due autori; tuttavia io credo che in questo romanzo, egli abbia voluto citare questi due autori, per un’altra valenza: il fatto che anche il suo romanzo è in certo senso fantastico ed inoltre in certo senso è una sintesi dei due romanzi citati da Torov. Infatti La Quatriéme Porte è un tributo a Carr e Christie: lo dimostrano le citazioni disseminate nel romanzo.
Innanzitutto, l’azione è narrata in prima persona, come nel capolavoro della Christie citato: nelle prime due parti, da James Stevens, nella terza, da Ronald Bowers. A quel libro, si ricollega anche per un altro particolare che non rivelo (ma che rispetto all’originale della Christie è trasformato: non c’è la volontà della menzogna, in un soggetto che il lettore identifica in sé, in conseguenza del fatto che l’azione è raccontata in prima persona , ma se menzogna c’è essa è del tutto non voluta).
Poi  vi sono almeno quattro citazioni chiarissime di Carr: il delitto in altro luogo rispetto a quello nel quale è stata allestita la camera chiusa, deriva da The Crime in Nobody’s Room di Carter Dickson, cui precedentemente rispetto ad Halter, altri si sono ispirati: dall’Innes di Appleby’s Other Story a The Problem of the Phantom Parlor, di Edward D. Hoch, e così via.
Una seconda citazione carriana è ovviamente il ritrovamento dei cadaveri nel divano: il riferimento è qui a The Red Widow Murders di Carter Dickson, romanzo in cui un cadavere è ritrovato piegato a formare l’ossatura di una poltrona, sopra cui è seduto un personaggio, che non è l’assassino.
L’entrata in scena di Alan Twist a romanzo inoltrato, può tranquillamente riferirsi a The Plague Court Murders, sempre di Carter Dickson, nel quale H.M. entra in scena in un secondo tempo, come pure ad un romanzo di Noel Vindry, Le Piège aux diamants, in cui il giudice Allou, interviene in tempo per scoprire il colpevole. Infine anche la reincarnazione di Henry White/Harry Houdini è comparabile a quella di Maria/ Marchesa de Brinvilliers in The Bourning Court.
Per tutto ciò, se Todorov avesse scritto il suo saggio qualche anno dopo, dopo aver letto questo romanzo, forse avrebbe potuto inserirlo, tra gli esempi di Letteratura Fantastica.
Non ci sono solo queste citazioni, evidenti, però; ce n’è anche qualcuna che non lo è: mi riferisco a quella inversa, altra caratteristica nei romanzi di Halter (la citazione originaria viene trasformata e sovente capovolta), presente all’inizio della Parte III, “Intermezzo”. E’ una citazione che è sfuggita a chi ha già recensito (all’estero) questo romanzo:
“Un tipo si introduce in una vecchia armatura…l’uomo è ancora dentro l’armatura ma ha perduto la testa…la testa è stata tagliata ed è scomparsa” (La Quarta Porta, pag. 125). La citazione fa riferimento a Death of Jezebel, “Morte di una Stega”, spettacolare romanzo con Camera Chiusa di Christianna Brand, già recensito in questo Blog, in cui nel rodeo medievale, c’è un cavaliere in armatura che monta un cavallo, al cui interno non c’è il corpo, ma solo la testa mozzata.
E poi tante altre, che possono tranquillamente riferirsi agli altri spunti presenti nel romanzo: il tema del doppio, può esser stato preso da Ellen McCloy così come da Ellery Queen; la falsa seduta spiritica, da Abbot o da Talbot; la stessa bilocazione da Ellen McCloy.
Per non parlare della Camera Chiusa, la prima: si tratta di una spettacolarizzazione rara nella sua efficacia. Un cadavere che non ci sarebbe dovuto essere e c’è, e una porta chiusa non dall’interno ma dall’esterno: la particolarità di questa messinscena sta nella sottigliezza che l’azione non è la conseguenza di un’azione fatta all’interno, ma all’esterno della camera, in cui chi sta dentro la stanza svolge solo un ruolo passivo: il sigillo alla maniglia, lo esclude dall’azione, che è invece una prerogativa di chi sta al di fuori. Per un certo verso analizzando le due soluzioni proposte, quella più semplice è la prima, quella che è sbagliata, ma solo perché identifica il colpevole in un soggetto che non lo è; invece, la soluzione giusta è quella più difficile, quella che si basa su una modulazione delle proporzioni degli ambienti e che si rifà espressamente a Carr, quando invece la prima è una riproposizione del trucco già inscenato ne La malediction de Barberousse: il corpo che si crede morto a prima vista, non lo è. Peraltro, il trucco inscenato per allestire la Camera e che viene spiegato più tardi , è semplicemente magnifico, anche perché, come le grandi Camere Chiuse, quelle spettacolari, quasi sempre l’assassino/a gode di una copertura, di un complice: il complice crea confusione, e appoggia l’azione dell’omicida. Qui il trucco sta nel creare una illusione, che si appoggia sulla rimodulazione degli spazi e degli oggetti: una tenda finale, dei pomelli di porte, un corridoio tutto rivestito di pannelli di quercia dello stesso colore delle porte, un corridoio che si accorcia o che si allunga, senza che gli astanti se ne accorgano, tranne una variabilità  delle proporzioni del corridoio.
Non avete capito? Leggete il romanzo: rimarrete a bocca aperta.

Pietro De Palma

domenica 11 dicembre 2016

Paul Halter – La Quarta Porta (La Quatriéme Porte, 1987) – traduz. Marianna Basile – Il Giallo Mondadori N. 2438 del 1995 (1^ Parte)


Più passa il tempo, più mi accorgo che l'inversione delle citazioni e dei rimandi, è una delle costanti nell’opera halteriana. Certamente, questa è solo una mia personale ipotesi, che potrebbe non essere suffragata dalla prova dei fatti; però è veramente strano che una prima opera, a cui lui deve in certo modo essere piuttosto attaccato (sentimentalmente), sia finita preceduta dalla sua seconda opera, determinando un equivoco di fondo (si potrebbe forse spiegare questa inversione temporale solo se lo stesso autore magari riconoscesse di aver proceduto in secondo tempo ad una revisione del testo originario). Che del resto ben pochi conoscono.





01quatriemeporteitalie.jpgEra il 1986, quando l’allora sconosciuto autore alsaziano Paul Halter, innamorato del Mystery classico ed in particolare di John Dickson Carr, di Agatha Christie (e Clayton Rawson), ma che aveva letto molti altri autori, tentò la carriera di romanziere di successo, pubblicando il suo primo romanzo.
Il lettore attento e indefesso di blog anche stranieri e di siti che vanno per la maggiore, obbietterà che il mio è un errore di fondo: non era il 1986, ma il 1987. Già, perché molti siti anche autorevoli, hanno sempre posto in evidenza come il primo romanzo di Paul Halter, fosse stato La Quatrieme Porte, “La Quarta Porta”. E messo in evidenza come Halter, col suo primo romanzo, La Quatrieme Porte,già vinse un primo concorso di letteratura. Questo si dice in giro, ma non è detto che risponda per forza a verità. O almeno a tutta la verità. Prima di diffondere delle cose, bisognerebbe esserne sicuri.
Eh sì, perché invece, miei cari lettori, contrariamente a quanto affermato da alcuni siti anche abbastanza interessanti, il primo romanzo scritto da Paul Halter, non fu La Quatriéme Porte bensì La Malediction de Barberousse, romanzo che fu scritto nel 1985 e autoprodotto, e col quale Halter partecipò al “Prix de la Société des Ecrivains d’Alsace et de Lorraine” nel 1986. E lo vinse. Da lì cominciò la sua carriera, che poi ebbe un’impennata quando l’anno dopo vinse con “La Quatrième Porte” il “Prix du Festival de Cognac”  e due anni dopo con “Le Brouillard Rouge” l’importantissimo “Grand Prix du roman d’aventures”. Insomma, nel 1988, poteva dirsi arrivato al successo, che poi non lo ha più abbandonato” (http://lamortesaleggere.myblog.it/archive/2012/02/18/paul-halter-la-maledizione-di-barbarossa-il-giallo-mondadori.html ).
E’ vero tuttavia che parecchi possono essere incorsi nell’errore di fondo, di fidarsi di quanto Halter schizza all’inizio del romanzo: Alan Twist, il personaggio principale creato da Halter, viene presentato in La Quatriéme Porte come ex-ispettore, mentre in La Malediction de Barberousse, Twist viene presentato invece come criminologo. In definitiva quindi, se dovessimo fidarci dei ruoli creati dallo scrittore alsaziano, La Quatriem Porte dovrebbe essere il primo e non il secondo romanzo. 
Così, a me parrebbe che Halter si sia rifatto , in questa inversione temporale, a Ellery Queen, che nel 1930 aveva pubblicato la sua opera prima The Roman Hat Mystery, in cui Ellery Queen veniva presentato come un tipo saccente, con una cultura enciclopedica (ricalcando lo schema di successo in quegli anni del Philo Vance di S.S. Van Dine) e anche sposato, padre di un bimbo, e oramai residente in una villa in Italia. Fatto sta che nei romanzi successivi, la figura di Ellery Queen viene per così dire riformulata e ripensata, e addirittura il suo quinto romanzo The Greek Coffin Mystery (1932), introduce il lettore alla rivelazione che questo fu la prima grande avventura di Ellery Queen. In altre parole, Ellery Queen annunciava come il suo quinto romanzo pubblicato (il quarto della serie incentrata sulle avventure dell’omonimo detective) atteneva ad un tempo che precedeva quello della sua prima apparizione editoriale, The Roman Hat Mystery.
Paul Halter procede in maniera simile ad Ellery Queen, divergendo però ad un certo punto: infatti, lui scrive prima La Malediction de Barberousse, che partecipa nel 1986 ad un Concorso che potremmo dire “regionale”, in un certo senso un concorso minore, fatto per provare le proprie qualità e per farsi conoscere, ma identifica Twist come criminologo, cioè gli attribuisce la qualità che avrà nella serie. Tuttavia il romanzo non viene pubblicato ufficialmente, ed infatti nella sua lista bibliografica viene ascritto al 1995 come pubblicazione. Invece il primo romanzo ad essere pubblicato, non ad essere scritto – questo è l’errore di fondo – è La Quatriéme Porte, in cui Halter fa esordire Alan Twist come ex-ispettore. Ma, se vediamo bene, Halter non ricalca Ellery Queen nella sua pensata: ricorre infatti ad una inversione della prospettiva: The Roman Hat Mystery è il primo romanzo ad essere stato scritto e pubblicato, ma nella realtà fittizia della cronologia delle avventure di Ellery Queen, diviene secondo al quinto romanzo ad essere pubblicato; La Quatrieme Porte pur essendo il primo romanzo ad essere pubblicato e in cui lo stesso Twist è presentato con una figura professionale che ricorda una sua precedente e non ricordata mansione lavorativa in polizia, è stato in realtà il secondo ad essere stato scritto. 
Tuttavia, è anche vero, come da me affermato in altri frangenti, che Halter crea dei rimandi, che possono essere voluti o inconsci, data la grande quantità di autori sulla lettura dei cui romanzi, lui si è formato: Halter… si è sempre professato estimatore di Carr, Christie (e anche Rawson). E così, accade (ed è accaduto in passato) che parecchie volte egli abbia citato i suoi autori preferiti. Io la penso così. In passato questa posizione l’ho esternata parecchie volte a Igor Longo, che ho trattato per molti anni, e che è il suo traduttore italiano ed un suo amico: più che una semplice decantazione di espedienti inventati da altri, a me è sembrata da sempre la consuetudine di un tributo ideale ai suoi miti. Per questo, leggere un romanzo di Paul Halter, se è un piacere per l’appassionato, diventa poi un piacere per il critico che potrà riconoscervi i molti influssi mascherati. In parole povere, la semplice lettura di un romanzo, diventa, nel caso di Halter, una meta-lettura.
Io, lo sapevo da parecchi anni: me ne parlò per la prima volta proprio Igor Longo una decina di anni fa, che per primo mi spinse a leggere l’opera di Halter. Igor è un amico di Halter, e come tale, abbiamo trattato molte volte i soggetti delle opere tradotte in Italia e di quelle che sarebbero dovute esserlo. Pochi tuttavia sanno che Igor, pur essendo stato il patrocinatore della diffusione attraverso Mondadori, sul mercato italiano, delle opere di Halter, poiché allora non era ancora nella posizione che avrebbe avuto più tardi, lasciò che i primi romanzi di Halter tradotti in Italia non lo fossero da lui ma da Marianna Basile (il primo romanzo di Halter ad essere tradotto in Italia fu Testa di tigre G.M. N. 2413, seguito proprio da La Quarta Porta N. 2438). In seguito Igor cominciò a tradurre gli Halter ( il primo fu Cento anni prima N. 2503) anche se Il Cerchio Invisibile N.2538 figura ancora con la traduzione di Marianna Basile. Da questo momento in poi, tuttavia, il traduttore ufficiale di tutti i restanti romanzi di Halter, sino ad oggi, è stato Igor Longo.
Proprio per accertare con assoluta sicurezza (sono vicino ai cinquanta anni e quindi la memoria non è più come una volta) la verità dell’inversione temporale deLa maledictiondeBarberousse rispetto a  The Fourth Door, tempo fa l’ho confrontata con le conoscenze di John Pugmire, che alla mia domanda :  
In theEnglish-language blogs showing thecomplete bibliographybyPaulHalter, “The Fourth Door”is placedin the middleof the listaspublished in 1995. But I knowthatit was not the first his work, but this was La maledictiondeBarberousse”, a novel self-producedin 1986, ayear before “TheFourthDoor”.Success camewiththis last novelwhich thennormallyfiguresashis first publication. What can you tell about it?  
così ripose:  
The first novel Paul actually wrote was La Malediction de Barberousse, but it was only self-published locally. Then La Quatrieme Porte was published in 1986. I first learned about Paul through Bob Adey’s book (1991 edition). I bought as many books as I could in 1992 and decided to try translating one of them. Meanwhile the publishers put me in touch with Bob and I sent him summaries of all the books I’d read. Bob then put me in touch with Roland Lacourbe, who in turn put me in touch with Paul (all this happened before the internet). After I sent Paul my first translation: The Fourth Door, we started communicating and I told him how much I liked the central puzzle in Malediction. That was around late 1994 I think. No sooner had I said that than Paul authorized Le Masque to publish it, based, he said, on the fact that I liked it. It came out in 1995.

Cioè quello che sapevo io e quello che sa lui, è la verità.
Sarebbe giusto, allora, a questo punto chiedersi, perchè mai delle notizie imprecise vengono diffuse da parecchi soggetti e parecchi siti.
Passiamo ora però alla sostanza, “ad substantiam”, come dicevano i nostri lontanissimi antenati.
Cos’è La Quatriéme Porte nell’ambito della produzione Halteriana? Sicuramente è una delle sue migliori opere,  e possiamo spingerci a definirlo un vero e proprio capolavoro.
Perché? La risposta è semplice e complessa al tempo stesso: se si legge La Malediction de Barberousse, si capisce come sia un’opera in certo modo ancora acerba, pur essendo già piuttosto ardita: il fatto è che lo è troppo, secondo quel modo di procedere tipico di chi non sa se continuerà a scrivere romanzi e che, per far colpo, crea una trama il più possibile mirabolante, che provochi lo stupore del lettore, tuttavia però non riuscendo alla fine a fornire delle spiegazioni fino in fondo rispondenti ai quesiti proposti, e nello stesso tempo, nel suo omaggio ai grandi scrittori che lo hanno preceduto, non riuscendo a incastrare le citazioni ed i rimandi letterari in quella maniera mirabile, che poi è una delle sue caratteristiche di fondo. Esse, invece, risultano essere troppe e talora pure ridondanti : “ad esempio “per creare la leggenda di Barbarossa, si serve di una serie di circostanze derivate da altrettanti lavori di altri scrittori: per es. il soldato ucciso in strada, è chiaramente derivato da Chesterton, così come il tedesco ucciso sul tetto del ponte cita “il secondo problema del ponte coperto” di Hoch; a Carr si riallaccia per il luogo dell’omicidio, una torre (He Who Whispers o The Case of the Constant Suicides) e da esso trae, variando al contrario da The House In Goblin Wood il tema del cadavere portato nella casa anziché l’opposto; dalla Christie invece trae spunti per la soluzione da The Murder of Roger Ackroyd,  e da  Evil under the Sun (la vittima che si mette d’accordo col suo assassino volendo giocare uno scherzo ad altri, non sapendo che la vittima sarà lei)” (artic. cit.).
La Quatriéme Porte, invece, è un romanzo con una trama perfettamente congegnata, e le cui citazioni sono perfettamente incastrate nella trama, e pur riconoscibili all’occhio del lettore dotto e attento (non tutti lo sono), sono però sempre inserite non a caso: del resto, se non si sapesse che il dodicesimo romanzo ad essere stato pubblicato (il nono nella serie di Twist) non è tale ma che invece fu il primo ad essere stato scritto, non si capirebbe la stranezza della immaturità di fondo del plot, tanto più strana in quanto i romanzi che attorniano La Malediction de Barberousse, (pubblicato nel 1995), cioè Le Cercle Invisible (Il Cerchio Invisibile) del 1996 e Le Diable de Dartmoor (Il Demone di Dartmoor) del 1993 e A 139 Pas de la Mort (A 139 passi dalla morte) del 1994, sono degli eccellenti romanzi, assai mirabilmente costruiti e le cui spiegazioni sono perfettamente rispondenti alla costruzione degli enigmi.

P. De Palma  - fine 1^ parte

lunedì 5 dicembre 2016

John Dickson Carr – Il Cantuccio della Strega (Hag’s Nook, 1933) – trad. A.M. Francavilla – I Classici del Giallo, Mondadori, N° 486 del 1985 – 1^ edizione; I Classici del Giallo, Mondadori, N° 1336 del 2013 – 2^ edizione.

IL GOTICO IN CARR

In che modo Carr ha rivisitato nei suoi romanzi le storie soprannaturali  e in che modo egli ha contribuito ad un genere  al quale da Lefanue a Joyce da Jan Potocki a Montague Rhodes, vari sono stati i romanzieri che hanno aggiunto il proprio tassello al quadro generale?
Và detto innanzitutto che la tendenza di Carr a rivisitare il genere è stata dovuta alle sue letture giovanili, ma anche – io direi – a delle peculiarità storiche: la tendenza tipica del primo novecento a riscoprire, anche nelle sue manifestazioni più esteriori, lo spiritismo. I più grandi spiritisti sono stati britannici, e lo stesso Conan Doyle fu un grande studioso del paranormale ( e per certi versi sapere questo contrasta col fatto che fu l’inventore del primo più grande detective che fa della deduzione e abduzione le proprie armi vincenti).
Pertanto, la presenza in maniera massiccia nell’opera di Carr, di elementi attinenti al paranormale, non mi lascia basito. Conseguentemente varie sono le nuances gotiche nelle sue opere: dai tratti orrorifici, tipici dei primi romanzi del ciclo bencoliniano (It Walks By Night, Castle Skull), al gotico di nome ma non di fatto in The Plague Court Murders, al gotico che sconfina nel fantastico (The Bourning Court o The Door To Doom), il cammino ha toccato più sponde, definendo col tempo un proprio ideale di mistero. Non direi come dice Sonaglia che “Se gli si può imputare un difetto, rispetto ai cugini specializzati nell’arte del mistero, è proprio quello di essere «asettico» in modo addirittura esagerato; i suoi personaggi, disinfettati dai turbamenti elementari, sono colmi di salute e buon senso «old England», e c’è un ottimismo di fondo al quale si sacrifica per necessità l’unica vittima rituale che, in questo caso, è l’assassino” (C. Sonaglia, Carr e il gotico, 1983, Il Giallo Mondadori  N° 1821), perché, se è vero che questa mancanza di sangue ristagna in gran parte dell’opera carriana, è anche vero che nelle prime opere, quelle del ciclo bencoliniano, si assiste ad un exploit di Grand Guignol. Piuttosto direi che il suo essere asettico, proponendo un mystery di influenza gotica senza sangue, è il risultato di un processo lento ma inarrestabile, che tende ad abbandonare il mondo dell’irrazionale e spostarsi sempre più marcatamente in quello del razionale, passando da una via già battuta da altri ad una tipicamente propria. E nella realizzazione di un proprio modello letterario, man mano che egli si allontana da un gotico di maniera, perde anche le proprie sponde letterarie. Così, se nei primissimi romanzi, l’atmosfera è quella delle opere del gotico cosiddetto “nero” (per es. Walpole), oppure nei suoi romanzi vari sono i suoi riferimenti all’opera di Poe (Poison In Jest  per esempio), nel momento in cui individua e persegue tenacemente una propria strada, perde del tutto i riferimenti letterari ai grandi suoi predecessori.
Così, tre stadi possiamo identificare, grosso modo, nel mondo del gotico carriano, corrispondenti a tre romanzi simbolo, perché capifila delle tre sue serie:
It Walk By Night : il gotico primo tipo con una marcata presenza di elementi orrorifici e di sangue;
Hag’s Nook : il gotico secondo tipo, in cui pur proponendosi manifestazioni tipiche del gotico (cripte, topi, prigioni, pozzi) il sangue non è più in primo piano;
The Plague Court Murders, in cui il gotico raggiunge la forma più stabile, proponendo quello che è il tratto più caratteristico della produzione carriana: il vedere e non vedere, “l’esistenza–non esistenza” del soprannaturale, cioè nel momento in cui si delinea una possibilità di soprannaturale, il suo superamento razionale.
Hag’s Nook, mancante da quasi trent’anni negli scaffali degli appassionati, è stato ripubblicato finalmente, qualche giorno fa, nella versione integrale dovuta a Maria Antonietta Francavilla.
E’ una storia che allude ad una maledizione: il primogenito di una certa famiglia, dopo aver passato la notte in una stanza della dimora degli avi, muore col collo spezzato.
La famiglia è quella degli Starbeth: un avo era stato il terribile e feroce comandante di una prigione costruita nei pressi del “Cantuccio della Strega”, una rupe dove si impiccavano le streghe: la rupe era a picco sulla vallata, per cui dalla forca costruita a picco, si facevano cadere le vittime appese al capestro di una lunga corda, cosicché spesso il colpo, acuito dalla caduta e dal peso della vittima, provocava una orribile decapitazione. Già il posto era molto conosciuto, perché la gente si accalcava nel passato per assistere a questi spettacoli orridi, ma poi aveva acquisito altra trista fama, perché nei pressi, per volere delle autorità, era stata fatta costruire una terribile prigione, dove la stessa manovalanza che fosse stata impiegata per costruirla, se fosse scampata alla fatica, alle frustate, alle condizioni inumane e alla morte, sarebbe stata reclusa per scontare il proprio fio. Tuttavia pochi scampavano a quel luogo terribile di detenzione, e coloro che cercavano di fuggirne spesso cadevano nel pozzo costruito nel luogo del Cantuccio della Strega, un pozzo che era pieno dell’acqua malsana dell’acquitrino che vi ristagnava, morendovi. Spesso nello stesso vi si buttavano i cadaveri dei condannati, per cui ben presto i miasmi, la decomposizione dei cadaveri e i numerosissimi ratti che infestavano la prigione, avevano provocato una epidemia di colera che avevano provocato la morte dello stesso Governatore. A lui si doveva la consuetudine di richiedere che il primogenito per ereditare, nel giorno del suo venticinquesimo compleanno, dovesse andare alla prigione di Chatterham, passare una notte nella stanza del Governatore, aprire una cassaforte,  leggere un certo documento e correre un certo rischio, senza poterne riferire al proprio figlio.
E Timothy Starbeth, è morto in modo assai strano: è stato trovato col collo spezzato e bagnato fradicio, come se qualcuno, che fosse emerso dal pozzo, l’avesse ucciso: il fantasma assassino e vendicatore di qualche condannato all’impiccagione, buttato in quel pozzo perché si decomponesse?
Ora Martin Starbeth deve adempiere al rito per entrare in possesso dell’eredità, ma ha paura. E ha dannatamente paura anche sua sorella, Dorothy, innamorata e ricambiata di Ted Rampole, giovane americano che è in quei posti perché Bob Melson, amico del Dottor Gideon Fell, gli ha dato una lettera di raccomandazione per l’amico, così che possa dare valido aiuto al giovane che deve specializzarsi all’università.
Così, tutti quanti si trovano assieme: Martin, Dorothy, Ted, Gideon Fell e il dottor Payne, il notaio legale degli Starbeth. E c’è anche il reverendo Thomas Saunders, che viene presentato a casa loro da Gideon e dalla moglie: non si sa per quale motivo, quasi fossero ostaggi dei fantasmi del passato e delle superstizioni, ma tutti temono che accada qualcosa. Così stabiliscono un certo piano: Martin andrà alla prigione, entrerà nella stanza, accenderà un fanale e siccome non ci sono altre uscite che quelle sorvegliate da lontano, e dentro si è fatta una ricognizione e si è potuto appurare che non ci sono passaggi segreti e quant’altro, si può esser sicuri che non avverrà nulla anche quando tornerà, perché la via per andare alla prigione è del tutto all’aperto e quindi può esser facilmente sorvegliata. Ma qualcosa va storto. Martin non torna, e così cercatolo, lo trovano morto, col collo spezzato, nel Cantuccio della Strega, vicino al parapetto del pozzo.
Subito si instaura l’interrogativo base: come è morto? Si stabilisce che è stato assassinato, ma…da chi? Questo è il punto: chi avrebbe potuto farlo, davanti agli occhi degli spettatori e farla franca?
Ben presto un curioso intervallo di dieci minuti (alcuni orologi della casa sono precisi ma uno si è tentato di farlo sistemare dieci minuti avanti e quello che ha dato l’ordine non eseguito, è stato Herbert, il cugino dei due Starbeth) diventa determinante per stabilire i tempi dell’omicidio. Tutti cercano Herbert, ma Herbert non si trova: è scappato. E’ lui l’assassino?
In un vorticare di eventi, Gideon Fell estrarrà dal cappello a cilindro non un coniglio, ma la soluzione, individuando l’assassino, fornendogli il movente e soprattutto smascherandone l’alibi a prova di bomba e la rispettabilità, non prima che sia stato ritrovato morto anche lo stesso Herbert.
Hag’s Nook, sottovalutato da molti, rispetto a più blasonati suoi posteriori, è nell’ambito dei romanzi carriani già un piccolo capolavoro: presenta una situazione impossibile, un’atmosfera apparentemente soprannaturale, ed un piccolo numero di pretendenti al ruolo di assassino.
Innanzitutto, in questo romanzo – anzi direi -  “anche in questo romanzo”, Carr rende un personale omaggio a Poe: infatti Carr, come aveva fatto in Poison in Jest (pubblicato un anno prima, nel 1932), dove il riferimento dichiarato era stato The cask of Amontillado, qui Carr immette tutti i caratteri più esteriori del gotico (stanze di tortura, topi, luoghi tetri e bui, particolari orridi) e in più elabora una situazione, quella della mappa del tesoro e della chiave per accedervi, che si  rifà espressamente a The gold-bug (Lo scarabeo d’oro) proprio di Poe, proprio per la natura della chiave, un crittogramma: se in Poe tuttavia, la chiave era di tipo logico matematico ( a numero uguale corrisponde lettera uguale, sulla base della frequenza di certe lettere nella lingua inglese) qui essa si basa su indovinelli e su acronimi, non su sciarade, come indicato nel romanzo (pag.151 versione originale, I Classici del Giallo Mondadori N.486 del 1985: “Il dottore arricciò i baffoni. – Ci siamo – annunciò – è una sciarada”): infatti, se fosse una sciarada, FENMEN ILIADE NORVEGIA DECESSO SASSO ITHURIEL GETSEMANI non dovrebbe contribuire a formare FIND SIG, perché le due parole FIND SIG si formano solo prendendo le iniziali di ciascuna delle parole prima riportate FENMEN ILIADE NORVEGIA DECESSO SASSO ITHURIEL GETSEMANI, cosa che è appunto un acronimo; l’espressione “E’ una sciarada”esclamata da Fell è quindi un mero errore: la sciarada infatti è l’unione di due parole a formarne un’altra di senso diverso da quello delle due parole unite: es. rosa + rio = rosario.
Possibile che Carr si fosse sbagliato? Tutto è possibile, ma io propendo a credere che l’errore fosse intenzionale, cioè che Fell non lo si deve prendere come l’oracolo, ma come un personaggio che talora prende, non volendo, degli abbagli colossali: fa parte della sua personalità. Ma non è che gli altri facciano pure una bella apparizione: infatti nessuno si accorge dell’errore!
Al di là di ciò, sottolineo come tutti i caratteri più orridi (le catene e i ceppi che penzolano dai muri, gli strumenti di tortura, i ratti enormi, l’oscurità, il pozzo con i suoi segreti) sono usati in questo romanzo non con la stessa vena usata per il primo di Bencolin: lì la cantina, in cui si sentivano dei rumori, nasconde nei suoi muri un cadavere decomposto; qui, in ambienti grevi di presagi, in cui ci si aspetterebbe di trovare qualche macabro resto a ben donde, nulla viene trovato. In altre parole, se l’ambientazione è la stessa, diversa è la sostanza, qui molto meno evidente: è come dicevo più sopra: man mano che Carr procede sul suo cammino, perde i caratteri propri del Gotico orrorifico tipo il Vathek o Il Castello di Otranto, per assumerne altri più propri, caratteri di facciata, che devono contribuire a creare un’atmosfera ma poi non devono distogliere dalla ricerca di una soluzione il più possibile razionale, in cui il soprannaturale perde la propria irrazionalità latente.
Ecco allora lo schema che verrà in tanti romanzi quasi sempre seguito:
Introduzione > descrizione di una situazione irrazionale delitto > spiegazione razionale > individuazione omicida > apologo
Solo in un caso, o meglio in pochissimi, Carr si discosterà: e sarà quando, accanto alla soluzione razionale che deve ricondurre il discorso alla credibilità, perché l’omicida possa essere individuato e non invece sfugga, sarà contemplata una possibile soluzione soprannaturale. Il movente di Carr quindi non è tanto l’avversamento di una situazione soprannaturale a favore di una razionale, per un qualche agnosticismo di fondo, quanto io credo la volontà di ricondurre la soluzione in un alveo contraddistinto dalla giustizia umana che non deve contrapporsi o sostituirsi o essere sostituita da quella divina, ma affiancarla nella punizione del reo. Una giustizia giusta, che per evitare di incriminare un innocente, deve necessariamente affidarsi ad un detective superiore, il quale però è sempre un uomo, capace quindi di prendere un abbaglio.
La grandezza di Fell è proprio questa: sapersi svincolare al momento opportuno delle proprie piccolezze (com’è per esempio pontificare, magari a sproposito: sciarada al posto di acronimo) e assurgere alla verità suprema. Non è un caso per esempio che in parecchi dei romanzi in cui compare e in cui si sviluppa una trama soprannaturale, Fell introduca il fatto, come qui del resto. La ragione è una sola: se Fell descrive l’evento, il lettore è portato in un primo tempo a dargli credito, e quindi la stessa situazione soprannaturale acquista credito e l’atmosfera ne beneficia. Quale sorpresa ne riceverà il lettore più tardi quando assisterà alla sconfitta del soprannaturale a favore del razionale, proprio per causa di Fell!
Accadrà quando Fell pontificherà ex-cathedra, elevandosi sulle proprie piccolezze umane, e affermerà una verità assolutamente incontrovertibile, sostenuta da prove inoppugnabili e da un ragionamento superiore.
E per farlo dovrà liberarsi dai preconcetti. Perché, come dice Sherlock Holmes, ne Il Segno dei Quattro, “When you have eliminated the impossible, whatever remains, however improbable, must be the truth” .
Bisogna anche dire che questo romanzo influenzerà altri autori: il tema della maledizione gravante sul primogenito che deve passare la notte in un certo ambiente e poi finisce assassinato in condizioni impossibili, influenzerà per esempio il Derek Smith di Whistle Up The Devil.

Pietro De Palma