venerdì 2 dicembre 2016

Paul Halter : La Maledizione di Barbarossa (La Malediction de Barberousse, 1985) – trad. Igor Longo – Il Giallo Mondadori N.3011 del 2010.

Quando, nel 1985, Paul Halter scrisse La Maledizione di Barbarossa,non lo conosceva nessuno, almeno come scrittore di romanzi polizieschi. Ma lui voleva emergere. Gli piaceva pensare che come lui aveva amato Carr, Christie e Rawson, così altra gente avrebbe potuto innamorarsi dei suoi romanzi. E allora pensò bene che per farsi conoscere senza ricorrere ad amicizie che forse non aveva a quel tempo, era necessario vincere un concorso, non importa se grande, anche piccolo, un concorso locale, ma bastevole a farlo conoscere in una cerchia di estimatori. E così partecipò al “Prix de la Société des Ecrivains d’Alsace et de Lorraine” nel 1986. E lo vinse. Da lì cominciò la sua carriera, che poi ebbe un’impennata quando l’anno dopo vinse con “La Quatrième Porte” il “Prix du Festival de Cognac” e due anni dopo con “Le Brouillard Rouge” l’importantissimo “Grand Prix du roman d’aventures”. Insomma, nel 1988, poteva dirsi arrivato al successo, che poi non lo ha più abbandonato. Da allora ha scritto molti romanzi: nel loro ambito, si possono riconoscere fondamentalmente due serie ben definite, legate ai personaggi di Owen Burns (5 romanzi) e soprattutto Dr. Alan Twist (più o meno venti, ad oggi); e anche alcuni romanzi, senza personaggio fisso.
E’ stato tradotto principalmente in Italia e Giappone, e poi anche altrove.
Se c’è una cosa che balza agli occhi subito, è che la fama di Halter è legata ai romanzi che hanno come protagonista  Alan Twist. Sono essi i romanzi in cui lui si è sempre più cimentato, quel sottogenere di whodunnit che i puristi chiamano “Locked Room”, a cui lui sin dal principio ha affidato le sue energie migliori. Così, a dirla breve, si è quasi sicuri di leggere un bel romanzo del genere, solo se c’è il Dr. Twist, che assicura poi, nella maggioranza dei casi, anche l’impianto di una bella camera chiusa, per la gioia di tutti gli estimatori.
Il fatto è che, principalmente, Halter a sua volta si è sempre professato estimatore di Carr, Christie (e anche Rawson). E così, accade (ed è accaduto in passato) che parecchie volte egli abbia citato i suoi autori preferiti. Io la penso così. In passato questa posizione l’ho esternata parecchie volte a Igor Longo, che ho trattato per molti anni, e che è il suo traduttore italiano ed un suo amico: più che una semplice decantazione di espedienti inventati da altri, a me è sembrata da sempre la consuetudine di un tributo ideale ai suoi miti. Per questo, leggere un romanzo di Paul Halter, se è un piacere per l’appassionato, diventa poi un piacere per il critico che potrà riconoscervi i molti influssi mascherati. In parole povere, la semplice lettura di un romanzo, diventa, nel caso di Halter, una meta-lettura.
Tuttavia, una domanda che ancor più balza agli occhi è la seguente: perchè Halter ha legato al suo successo quello di Twist?
Bella domanda!
Nel caso italiano (non so se possa valere altrove), il successo è stato dovuto principalmente all’anglofilia del cognome. L’Italia è stata sin dal principio recettrice soprattutto di cultura poliziesca di tipo anglosassone, e anche quando son stati massivamente tradotti autori francesi, questi son stati relegati in una nicchia; tanto che, le edizioni cui faccio riferimento, son diventate merce rara. Al di là del collezionismo, l’Italia ha amato sin dal principio tutti i massimi esponenti della cultura anglo-sassone e semmai tollerato quella transalpina. Così è andato a finire che se il nome del personaggio fisso principale richiama una provenienza dell’autore dalla Francia, il successo è relativo, nel caso invece richiami l’origine anglosassone, si ha l’opposto. Nel nostro caso, poi, anche il nominativo dell’autore può indurre nell’errore, perchè, francese nella sostanza, in realtà Halter è Alsaziano. E così, anche per una coincidenza di casi fortuiti (o voluti: Halter non ha assunto uno pseudonimo), lo scrittore Alsaziano è diventato l’idolo di molti.
Ma il successo dei romanzi che hanno il Dr. Twist come personaggio principale, è dovuto anche ad altri motivi. Innazitutto…l’aver scelto come “sua spalla”, un personaggio come l’Ispettore Archibald Hurst, che nell’inventario romanzesco di Halter è un po’ come l’Ispettore del CID Hadley di Carr, un poliziotto, la cui sfortuna è quella di imbattersi sempre in casi che non hanno nè capo nè coda e che sembrano appartenere all’impossibile e al sovrannaturale. Meno male che alla sfortuna, si contrappone la fortuna di conoscere proprio un criminologo come il dr. Twist, che, come il Merrivale o il Fell di Carr, ha il pregio di riuscire a risolvere proprio i misteri più impossibilmente intricati, e nel contempo risolvere i problemi del suo amico Hurst. Del resto, la coppia di investigatori, dal tempo di Conan Doyle, è sinonimo di successo: cosa sarebbe Holmes senza Watson? O Hercule Poirot senza l’ingenuo e inguaribilmente romantico Capitano Hastings? o Philo Vance senza Markham? O Ellery Queen senza Richard Queen? O Drury Lane senza Thumm? Chiediamocelo. Senza dubbio, i romanzi di questi autori che ci sono più cari son quasi sempre quelli in cui figura il personaggio di primo piano e la sua spalla.
Così Halter ha legato Twist, ad un certo punto della sua parabola letteraria, quando si è reso indipendente rispetto ai Concorsi cui partecipava, al suo entourage. Non mi sembra un caso, infatti, che i primi tre romanzi, quelli con cui egli aveva partecipato ai tre concorsi del 1986-1987 e 1988,  presentino Twist, in due vesti un po’ diverse: nel primo in assoluto, La Malediction de Barberousse, che curiosamente non sarà il primo ad essere pubblicato, ma lo verrà solo nel 1995, Twist è già presentato come criminologo, mentre nel secondo romanzo ad essere presentato in corcorso “La Quatriéme Porte”, che poi sarà il primo ad essere pubblicato, Twist viene ancora presentato come ex-Ispettore di Scotland Yard. In sostanza quindi, il primissimo suo romanzo viene posto in un tempo indefinito, se non successivo, nel momento in cui confeziona il suo secondo romanzo, in cui, avendo preso coscienza del successo di Twist, in certo senso ne precorre l’avventura precedente.
Prendiamo il caso de La Malediction de Barberousse.
La storia si snoda in Alsazia, a Huguenau, città in cui lo stesso Halter è nato.
La storia prende l’avvio, nel 1948 con una lettera inviata da Jean Martin al fratello Etienne, in cui gli ricorda l’omicidio di Eva Muller avvenuto in circostanze impossibili, sedici anni prima, nel 1932. Etienne, qualche giorno dopo, viene terrorizzato a Londra dal fantasma di Eva. Nel letto d’ospedale, racconterà la storia ad un certo Alan Twist,criminologo, che ha fama di aver risolto casi difficili. E così gli racconta di lui, di Jean, François e Marie, e del loro incontro con Eva Muller, una ragazza tedesca, quella che definiremmo una ragazza di facili costumi, che ben presto era diventata la musa ispiratrice delle fantasie erotiche dei tre ragazzi: Jean, Etienne, e François. Invece, Marie Biechy non l’aveva mai sopportata. Assieme alla sorella di François, Marie Biechy, i cinque si erano riuniti nei ruderi del castello di Huguenau per giocarci. I ruderi del castello si diceva fossero infestati dal fantasma dell’Imperatore Federico Barbarossa, che vi aveva dimorato prima di partire alla volta della Crociata. Il padre di Jean e Etienne li aveva scongiurati di non recarvisi più, e comunque li aveva pregati di sentire cosa aveva da dire il Commissario Sutter, un poliziotto con l’hobby delle ricerche etniche e storiche, che aveva fatto approfondite ricerchè sul Barbarossa nella loro regione: c’era una vecchia leggenda secondo cui tutti coloro che avessero offeso la memoria del Barbarossa o dei luoghi dell’Alsazia a lui cari, sarebbero incorsi nella sua ira. E in effetti nei diversi secoli c’era stata una serie di morti incomprensibili: tutte avevano una cosa in comune. Le vittime erano state uccise mediante una spada.
L’indomani il commissario Sutter racconta loro le varie morti sospette, attraverso i secoli: il balivo ucciso nella sua camera chiusa dall’interno al tempo di Federico II; un certo Sublon, soldato ai tempi della Guerra d’Olanda nel 1675, che fu trovato ucciso con le mani tagliate ed una spada piantata nella schiena in una via circondata dalle fiamme, senza possibilità di fuga ma anche senza che altri al di fuori dei contadini che volevano ucciderlo, lo potesse fare; un balordo tedesco,durante l’occupazione dell’Alsazia, dopo aver insultato gli abitanti e la cittadina , insieme ad un amico era stato braccato dagli abitanti del villaggio che volevano fargliela pagare: per non essere preso si era issato sulla tettoia del ponte sul fiume, da dove nessuno sarebbe riuscito a tirarlo giù, ma, pur sorvegliando le due uscite del ponte, nessuno era riuscito ad impedire che il tedesco fosse ucciso con un colpo di spada.
A distanza di due settimane dal racconto aveva avuto luogo il delitto in circostanze impossibili.
La costruzione in rovina era un’antica torre quadrata, con un’unica vecchia porta di legno che introduceva ad un vestibolo che comunicava per mezzo di una scala con un’unica stanza al primo piano.
Eva Muller aveva deciso di sfatare la superstizione e si era chiusa al di dentro della torre. Quando gli amici erano andati a trovarla, l’avevano trovata nella torre, chiusa dall’interno, morta, raggomitolata, con gli occhi cavati e delle ferite mortali nella schiena causate da una spada.
Al delitto non c’è alcuna spiegazione.
Come non ci sarebbe spiegazione per la morte del padre di Jean e Etienne, avvenuta in circostanze impossibili, a meno che non si accusasse della morte Etienne. Ma Alan Twist, risolve la morte del signor Martin e anche di Eva Muller, avvenuto sedici anni prima.
Questo è l’esordio di Halter nella narrativa, però già possiamo identificarvi degli aspetti che diverranno peculiari dei suoi romanzi successivi  : la pazzia (ricordare per esempio Nebbia Rossa) e i finali tristi. Inoltre, protagonisti sono dei ragazzi, e quindi se vi è un assassino esso va cercato nel loro gruppo. Il tema dei ragazzi, è un altro dei temi ricorrenti di Halter. Inoltre già è presente quella è la caratteristica principale del suo stile letterario: creare delle atmosfere uniche, assemblando storia locale, caratteristiche del paesaggio e dei luoghi storici ed architettonici, leggende. Qui, anche se l’atmosfera la si respira, è però ancora acerba, come non al meglio è anche la spiegazione finale: si sente tutto il fatto che sia un’opera prima.
 Innanzitutto per creare la leggenda di Barbarossa, si serve di una serie di circostanze derivate da altrettanti lavori di altri scrittori: per es. il soldato ucciso in strada, è chiaramente derivato da Chesterton, così come il tedesco ucciso sul tetto del ponte cita “il secondo problema del ponte coperto” di Hoch; a Carr si riallaccia per il luogo dell’omicidio, una torre (He Who Whispers o The Case of the Constant Suicides) e da esso trae, variando al contrario da The House In Goblin Wood il tema del cadavere portato nella casa anziché l’opposto; dalla Christie invece trae spunti per la soluzione da The Murder of Roger Ackroyd,  e da  Evil under the Sun (la vittima che si mette d’accordo col suo assassino volendo giocare uno scherzo ad altri, non sapendo che la vittima sarà lei).
In questo primo romanzo, già notiamo un altro dei caratteri di Halter: la sfida all’impossibile e anche a se stesso. Talora Halter crea delle messinscene al limite dell’impossibilità, riuscendo poi a soddisfarle pienamente. Ma ciò non accade però sempre. Questo è uno di questi casi: se avesse creato una situazione in cui il perno fosse stata la torre, la soluzione adottata sarebbe stata magnifica: una ragazza uccisa da una spada nella schiena e con gli occhi cavati, in una stanza di una torre, con l’unica porta sorvegliata da una modella e un pittore e con la finestra, l’unica che da su un muro a strapiombo sul fiume, per di più scivoloso in quanto coperto di muschio. Il guaio è che ha cercato di strafare. Così il perno dell’azione non è la torre, ma un delitto avvenuto altrove e poi ambientato nella torre: il fatto che un ragazzo di quattordici anni possa portare un cadavere in uno zaino, sulle spalle, attraversando un bosco e trascinarselo sino alla stanza posta al primo piano della torre, mi sembra una cosa campata in aria. E non certo cosa che un ragazzo possa portare a termine con successo, a meno che non sia Hulk.
Ad Halter, poi, i dialoghi d’amore non interessano: ecco perchè sembra così scontato.
Insomma, un buon romanzo d’esordio, ma non certo un capolavoro.

Pietro De Palma

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