sabato 25 novembre 2017

Anthony Berkeley : Delitto a porte chiuse (The Layton Court Mystery, 1925) - trad. Mauro Boncompagni - I Classici del G.M. N° 950 del 2003 ((pubblicato con stesso traduttore da Polillo, ne I Bassotti, nel 2012, con il titolo “Uno sparo in biblioteca”)


L'ingresso trionfale di Anthony Berkeley sulla scena internazionale: questo è The Layton Court Mystery, un romanzo del 1925, in cui fa la propria comparsa quello che sarà uno dei più famosi detective della carta di tutti i tempi: Roger Sheringham.
Quando Berkeley lo creò, sicuramente guardò a Conan Doyle, il prototipo base, l'archetipo vorrei dire: Sheringham ha il tipico abbigliamento britannico, e immancabile una pipa, molto simile a quella di S.H. Inoltre per la sua prima avventura, pone vicino al suo personaggio principale, che fa nella vita il romanziere di libri polizieschi, genere che lui disdegna personalmente ma che in definitiva gli da da vivere (è un tipo snob sicuramente), un altro personaggio Alec Grierson, che gli fa da "dottor Watson". Come dice Mauro, "il clichè era quello". Però lui (Berkeley) va oltre: Grierson è impacciato, è goffo, irrinunciabilmente cavaliere, per lui le donne soprattutto se di una certa classe sociale non possono essere assassine semmai vittime. Insomma è la fotocopia del Cap. Hastings di Agatha Christie. Il connubio Berkeley - Christie è uno da osservare ben bene, perchè entrambi si stimavano reciprocamente: lui deve aver guardato ad Hastings, lei ammirava Berkeley e il suo Sheringham.
Questo loro reciproco apprezzamento vedremo nel prosieguo che produrrà un altro sostanziale prodotto in questo primo romanzo di Berkeley.
Roger Sheringham, scrittore di romanzi, e il suo amico Alec Grierson, sono ospiti da alcuni giorni di Victor Stanhope, un ricco possidente, benvoluto da tutti, che offre sigari di marca e vini prelibati ad ogni piè e si fa notare per la sua simpatia. Nonostante questo, è trovato morto nella biblioteca di casa sua, con porta e finestre chiuse dall'interno. Il messaggio lasciato è inequivocabile. Tutto farebbe pensare in effetti ad un suicidio. E a tutti, compresa la polizia. L'unico a non esser convinto della dinamica dei fatti è proprio Roger, che comincia ad investigare, in coppia con l'amico Alec Grierson, riluttante eppure convinto a fargli da spalla, come un Watson di un redivivo S.H.
Quello che non comprende è innanzitutto la modalità di suicidio: perchè spararsi in fronte quando è più semplice spararsi alla tempia? Inoltre nota sulla mensola del camino tutta una serie di impronte che fanno pensare che lì ci fosse dell'altro oltre un vaso, e dei frammenti lo fanno convincere saull'esistenza di un secondo vaso, i cui frammenti però (tranne uno) sono scomparsi. Inoltre molto sospetti sono sia le reazioni della Signora Plant, altra ospite e amica di lady Stanhope, aristocratica, cognata del possidente, della stessa Lady Stanhope e del Maggiore Jefferson, il segretario della vittima: se la cognata non sembra per nulla addolorata, gli altri due sono stati sorpresi da Roger a trafficare intorno ad una cassaforte nella biblioteca: la donna ha convinto temporaneamente gli astanti, che la ragione per cui era impaziente di aprire la cassaforte è che ci fossero là dentro i suoi gioielli. Le reazioni successive più distese, lo convincono che qualcuno - probabilmente l'assassino - dopo aver ucciso la vittima deve aver avvisato i due di quello che aveva trovato e fatto sparire. Sono pur sempre congetture, ma intanto Roger ha risolto come l'assassino è potuto uscire dalla sala: dopo aver verificato l'inesistenza di porte ed uscite segrete, capisce che si è servito di un trucchetto legato all'apertura della finestra che da sul giardino. Nell'aiuola sottostante nota delle impronte che sembrano dirigersi verso la stanza e non fuori. Anche questo viene risolto: con un'abile ragionamento sulla profondità delle orme dei tacchi e della suola, Roger inquadra la situazione com'è stata realizzata: l'assassino è saltato dal davanzale all'indietro, simulando un'andatura verso la finestra anzichè una fuga. Quando però in seguito tornano indietro, trovano le impronte cancellate.
Roger si convince della colpevolezza del magg. Jefferson e che la signora Plant gli ha nascosto parecchio, quando trova sul divano della biblioteca, tra i cuscini, un fazzoletto appallottolato umido, ma profumato di gelsomino - il profumo della signora Plant - e delle tracce di cipria sul bracciolo.
Dopo un interludio nel quale Roger è convinto a sospettare di un certo Prince, che Stanhope temeva e di cui era invero terrorizzato, ghiacchè ha trovato nella discarica dell'immondizia della villa un foglietto bagnato e puzzolente in cui legge di questo Prince. Le successive indagini loi porteranno ad un campo, dove pascola un bizzoso toro: è lui Prince. Dopo una tragicomica fuga, ecco ricominciare le indagini questa volta intorno alla figura della vittima, che riveleranno essere nient'affatto una brava persona come si pensava ma un losco ricattatore, che ricattava sia la signora Plant, sia il maggiore Jefferson suo segretario, persino il suo chaffeur, ex pugile, lady Stanhope e la signora Shannon, madre di un'altra ospite della villa andata via la mattina della tragedia. Tuti sono sospettabili a questo punto. e non solo il magg. Jefferson. Dopo tanti tentativi e infruttuose ricostruzioni, Sheringham rivelerà al suo poco convinto Watson, il nome dell'assassino, riservandosi purtuttavia di non denunciarne la colpevolezza alla polizia, dato che la morte del ricattatore si sarebbe rivelata come la liberazione per tutti gli altri coinvolti nella vicenda.
L’assassino non è estemporaneo, ma è sempre presente nella storia, dall’inizio alla fine: partecipa all’azione, cercando in tutti i modi non di depistare, ma di mettere in confusione le asserzioni di Sheringham. Il suo scopo non è quello tanto di stornare i sospetti da sé, quando di impedire a Sheringham di accusare altri, di accusare un innocente. Perché lui è quello: un innocente che è intervenuto per difendere una donna, per evitare che un ricatto si trasformasse in un dramma, e aggredendo Stanhope per sottrargli le prove, è stato sparato e per legittima difesa ha ucciso. E poi ha inscenato tutto, rientrando da una finestra. E’ solo per questo che Sheringham non lo denuncia. Anzi, quando quello tradendo la sua vera natura, vorrebbe consegnarsi alla polizia, è lui, Sheringham a rimproverargli  il fatto di essere troppo convenzionale.
Inizio col dire che questa è una pietra miliare della letteratura poliziesca: anche Berkeley si presenta quale sperimentatore, in un periodo, gli anni venti, in cui c'erano le premesse perchè il genere giallo che allora era in gran voga, fosse girato e rigirato e producesse i suoi migliori frutti, e in cui gli sperimentatori (Agatha Christie, Philip MacDonald) sperimentassero una serie di contorsioni del genere poliziesco, sfatando dei miti. Berkeley invero, si presenterà proprio come sperimentatore nella sua prefazione a The Second Shot, del 1930, quando inquadrerà il futuro del genere giallo in una evoluzione da whodunnit puro a howdunnit in sostanza, puntando l'attenzione sul genere sofisticato: spostando cioè l'attenzione dalla trama ai singoli personaggi, abbandonando il puzzle di tipo matematico e lavorando ad un tipo di romanzo più di tipo psicologico. Non chi ha ucciso X nel bagno ma come è accaduto che X fosse ucciso  nel bagno.
Ma se Berkeley si presenta quale sperimentatore, facendo riferimento al romanzo che gli aveva dato il successo, cioè The Poisoned Chocolates Case,  in realtà, la sperimentazione è già attuata ed al massimo grado, in questo suo primo esordio: per certi versi, l'idea base della soluzione, che è inaspettata e lascia di stucco - semmai qualche idea peregrina era pure venuta, ma no, non poteva essere! E invece sì - stravolse uno degli ultimi capisaldi del romanzo poliziesco: Zangwill nel 1896 aveva distrutto la fiducia del lettore nell'imparzialità della polizia, Anthony Berkeley nel 1925 e Agatha Christie nel 1926, distrussero gli altri due possibili capisaldi: un altro soggetto detective, quando presente; e il narratore, che dovrebbero essere anche loro imparziali.  
Invero già qualche avvisaglia si potrebbe averla leggendo le prime pagine, quando Sheringham si dilunga nel rapporto delle figure che intervengono in un romanzo poliziesco. Però, devo dire che mai prima d'ora, avrei pensato di imbattermi in una situazione del genere, tanto più che l'assassino è un soggetto che normalmente, nei romanzi del periodo, e talora anche dopo, mai sarebbe dovuto esserlo.
Ecco il motivo per cui questo romanzo è un gioiello, e bene ha fatto Polillo, qualche anno fa, a riproporre la traduzione di Mauro in un volume della sua beneamata collana de I Bassotti.
E' tanto interessante anche perchè il personaggio è scanzonato. Talora i ragionamenti possono essere anche ingenui o comunque sorpassati dai romanzi posteriori: dibattere sul perchè la vittima presenti un foro sulla fronte e non sulla tempia è paradossale in un contesto in cui l'ispettore di polizia l'accetti placidamente e non si ponga il quesito che ognuno di noi si porrebbe. Oppure rammento dei particolari troppo evidenti per non esser stati esaminato da Berkeley: come fa nessuno ad aver sentito, non uno ma due spari di un revolver (una pistola a tamburo) nel bel mezzo di una notte? Il bello è che questo bug non viene neanche accennato nel corso del romanzo. Nessuno ci pensa. Nemmeno Berkeley stesso. Io sì però (Berkeley non me ne voglia!)
C'è un'atmosfera spiritosa e mai pesante. C'è ironia, sarcasmo, talora anche un accenno patetico, quando Sheringham viene a sapere di come la signora Plant per ricavare i soldi per il ricatto non avendoli, sia stata consigliata in sostanza dal ricattatore, di prostituirsi: lui le avrebbe presentato chi avrebbe ricompensato i suoi favori. In un periodo in cui la donna è ancora una vittima, e non un assassino.  Del resto questo è il convincimento di Alec Grierson, il Watson di Sheringham, che laddove lui additi come possibile complice una donna, Grierson immediatamente la salva, non ammettendo che una povera innocente esponente del gentil sesso possa essere un'assassina.
Il tono diventa talora anche farsesco, e ricorda molto ( a me ha ricordato almeno) il Fra Diavolo con Oliver Hardy e Stan Laurel, quando i due malcapitati vengono rincorsi da un toro: così Alec e Sheringham rincorsi, anzi caricati da Prince (e Berkeley calcola anche l'arrivo alla staccionata e l'ordine di arrivo: primo Alec, secondo Roger, terzo il toro, cioè dicendo che il sedere di Roger Sheringham aveva corso il pericolo di essere incornato). Però tutto questo insieme di atmosfere, di indizi, di situazioni paradossali (i due immersi in un immondezzaio a cercare le carte dei cestini della casa), non inficia la bontà delle idee, delle soluzioni: a parte quella finale che sconvolge il lettore, che mai si sarebbe aspettato (o quasi) quella fine (e Sheringham dimostra come sia un investigatore dilettante, innamorato nello scoprire l'assassino, e non invece nel consegnarlo alla polizia: il divertimento della logica opposto al rigore etico del male che pur sempre debba essere perseguito, anche quando sia stato rivolto a sopprimere un delinquente).
Anche la soluzione della Camera Chiusa è altamente originale. Tanto originale da aver a parere mio influenzato pesantemente l'escamotage inserito da Agatha Christie in Dead Man's Mirror, racconto che è del 1936: quando metti in tensione il sistema di bloccaggio di una finestra,  quando il fermo trova il suo alloggio, la finestra si blocca e la maniglia ruota. Più o meno questo. Ma strano è che la stessa idea si trovi prima in Berkeley, poi in Christie.
Martin Edwards ha commentato quando gliel'ho accennato: Very interesting as always.
Ancora, c'è anche qui, ed è la prima volta, prima che de "Il caso dei cioccolatini avvelenati", anche una specie di soluzione multipla: Berkeley sperimenta la possibilità, cioè, di partire dalla medesima base indiziaria, ed arrivare a persone completamente differenti: prima prende a colpevole il maggiore Jefferson, poi, applicando la stessa metodologia, individua il vero assassino.
E individuandolo, distrugge il mito dell'investigatore di Conan Doyle, utilizzando un suo celebre aforisma, in sostanza: "Una volta eliminato l'impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, dev'essere la verità". Perchè in questo caso l'improbabile concorda con l'individuazione dell'assassino. Solo che così facendo Barkeley, distrugge una delle facce leggendarie del mito di Sherlock Holmes.
E così facendo, non potendo distruggere il detective, ne distrugge l’umanizzazione, creando il superdetective, che sarà il protagonista dei successivi anni.
Se non avete capito chi sia l'assassino, non dovete fare altro che leggere il romanzo ed inchinarvi al cospetto di uno dei più grandi: Anthony Berkeley Cox.


Pietro De Palma

sabato 18 novembre 2017

Paul Halter : Il grido della sirena (Le Cri de la sirène, 1998) – trad. Angelo Petrella – Il Giallo Mondadori N° 3161 del Novembre 2017



Un romanzo di Halter mancava da parecchio tempo in Italia: l’ultimo suo romanzo pubblicato fu Il Demone di Dartmoor, tre anni fa. Un’assenza incredibilmente lunga a fronte dei tanti aficionados italiani e della periodicità di uscita invece di altri romanzieri con meno credenziali. A fronte anche del fatto che in altri tempi i romanzi di Paul uscivano con ben altra cadenza: anche tre all’anno, nei tempi di Dazieri. E a fronte anche del fatto che manchino ben 21 inediti alla pubblicazione in Italia, 21 inediti che comprendono romanzi con Twist, con Burns (nessuno pubblicato in Italia), e romanzi senza personaggio fisso.
Le Cri de la sirène che è stato pubblicato a novembre 2017, fa parte della serie che ha come  personaggio fisso il criminologo Alan Twist.  Ecco a seguire le due  serie intere di romanzi e tutti i romanzi senza personaggio fisso fino ad oggi (romanzi pubblicati e inediti) :
Serie Alan Twist
La maledizione di Barbarossa (La malédiction de Barberousse, 1986), Mondadori, 2010
La quarta porta (La quatrième porte, 1987), Mondadori, 1995
Le mani bruciate (La mort vous invite, 1988), Mondadori, 1998
La morte dietro la tenda rossa (La mort derrière les rideaux, 1989), Mondadori, 2001
La camera del pazzo (La chambre du Fou, 1990), Mondadori, 2004
Testa di tigre (La tête du tigre, 1991), Mondadori, 1995
La settima ipotesi (La septième hypothèse, 1991), Mondadori, 2013
Il demone del Dartmoor Le diable de Dartmoor, 1993), Mondadori, 2014
A 139 passi dalla morte (A 139 pas de la mort, 1994), Mondadori, 1998
Cento anni prima (L'image trouble, 1995), Mondadori, 1997
L'albero del delitto (L'arbre aux doigts tordus, 1996), Mondadori, 2004
Il grido della sirena (Le cri de la sirène, 1998), Mondadori, 2017
Meurtre dans un manoir anglais, 1998
L'homme qui aimait les nuages, 1999
Fiamme di sangue (L'allumette sanglante, 2000), Mondadori, 2007
La tela di Penelope (La toile de Penelope, 2001), Mondadori, 2002
Les larmes de Sibyl, 2005
Les Meurtres de la Salamandre, 2009
La corde d’argent, 2010
Le Voyageur du passé, 2012
La Tombe indienne, 2013
Serie Owen Burns
Le Roi du Désordre, 1994
Les Sept Merveilles du crime, 1997
Les Douze Crimes d'Hercule, 2001
La Ruelle fantôme, 2005
La Chambre d'Horus, 2007
Altri  romanzi
Nebbia rossa (Le Brouillard rouge, 1988), Mondadori , 1999
La lettera che uccide (La Lettre qui tue, 19929, Mondadori, 2003
Il cerchio invisibile (Le Cercle invisible, 1996), Mondadori, 1997
Il segreto del Minotauro (Le Crime de Dédale, 1997), Mondadori, 1999
L’omicidio di Atlantide (Le Géant de pierre, 1998), Mondadori,2005
Le Mystère de l'allée des Anges, 1999
Le Chemin de lumière, 2000
I fiori di Satana (Les Fleurs de Satan, 2002), Mondadori, 2006
Le Tigre borgne, 2004
Lunes assassines, 2006
La Nuit du Minotaure, 2008
Le Testament de Silas Lydecker, 2009
Spiral, 2012
Le Masque du vampyre, 2014
A parte tutti gli altri, senza personaggio fisso e della serie Owen Burns, ci sarebbero quindi ancora da pubblicare  7 romanzi con Alan Twist in Italia. In base a quanto Paul mi disse due anni fa, di Meurtre dans un manoir anglais, 1998 e L'homme qui aimait les nuages, 1999 erano stati acquisiti da Mondadori i diritti, e quindi mi aspettavo che uscisse uno di questi. La sorpresa è stata invece che ne è uscito un altro: Paul qualche giorno fa mi ha scritto dicendo che quando mi scrisse due anni fa a riguardo delle uscite italiane, non si ricordava anche questo titolo acquistato da Mondadori. In sostanza i due romanzi citati. Dovrebbero essere i prossimi ad essere pubblicati, ma non sappiamo quando.
Le Cri de la sirène è un romanzo del 1998. Come menziona il titolo, parla di una sirena, non la sirena beninteso con la coda di pesce, ma un essere demoniaco che suole rapire i marinai e attrarli in fondo al mare.
L’Alan Twist che troviamo qui, è un Alan Twist delle origini, tanto che qualcuno dotato di minor fantasia di Paul, avrebbe potuto intitolare il romanzo: Il primo caso di Alan Twist.
Il romanzo comincia in modo straordinario: una notte di neve. Due medici condotti che assistono due partorienti in due luoghi distinti: tuttavia le due bambine che nascono, dello stesso padre ma di madre diversa, sembrano gemelle. Una di esse, viene portata dal medico condotto a casa del padre e a lui affidata, nella stessa notte in cui sua moglie Hela muore di parto. Tuttavia le due bimbe all’età di quattro anni vengono separate: una vivrà nell’abbienza e porterà il cognome dei Cranston, l’altra sarà la figlia del pastore e vivrà tra le pecore. Lei sarà identificata dalle malelingue del villaggio nella sirena che con il suo pianto turba le coscienze degli abitanti del luogo.
Alan Twist è uno studioso dell’occulto, che si occupa soprattutto di smascherare i ciarlatani. E’ stato chiamato al castello di Jason Malleson, per risolvere il suo problema: c’è un ectoplasma, uno spirito, un fantasma che dir si voglia che lo terrorizza: da quando è tornato alla fine della guerra, quattro anni prima, prima in maniera lieve, poi sempre più marcatamente, ha sentito passi nella soffitta. Ma nella soffitta ovviamente non c’è nessuno. Non solo. C’è anche una stanza cosiddetta interdetta, nel castello, da quando si manifestò molti anni prima un evento attribuito al diavolo: il vecchio padrone di casa aveva sfidato il diavolo, e come risposta, un armadio, uno dei piedi del quale era sì roso ma non aveva mai dato problemi, nel mezzo della notte si ribaltò e cadde con tutto quello che conteneva, tra cui dei libri, da uno dei quali uscì una lettera molto compromettente, da cui si evinceva in maniera chiarissima il tradimento del marito nei confronti di Lottie, la moglie. Da quel momento la stanza era rimasta chiusa, e l’unica chiave era conservata in un posto determinato. Negli ultimi tempi, Malleson aveva riscontrato del chiarore proveniente da sotto,  e quindi temeva che una presenza demoniaca vi albergasse.
Twist, accolto al castello, verifica lo stato dei luoghi, e soprattutto la stanza rosa, che, aperta, dimostra di non essere affatto impolverata e piena di ragnatele come ci si aspetterebbe, ma linda e pulita, e anzi fresca e profumata, in tutto e per tutto una camera che avrebbe potuto accogliere tra le coltri del letto a baldacchino un ospite. Twist riscontra soprattutto una cosa: il padrone di casa è veramente spaventato e prostrato da queste “presenze”. Del resto il castello è stato da altri tempi luogo maledetto: infatti sia colui che aveva sfidato il diavolo, sia il figlio, sono stati oggetto delle attenzioni della Banshee, un essere demoniaco, che più volte ha fatto sentire la sua presenza a Moretonbury: appare con un pettine rotto tra le mani, e lancia un urlo straziante. Dice la leggenda che chi non lo sente è destinato a morire. Sia il vecchio Cranston che il figlio  non avevano sentito il pianto della Banshee, ed erano puntualmente morti.
Non sono tuttavia tali presenze demoniache solo a catalizzare l’attenzione di Twist, ma anche altro. Il giovane ispettore di Scotland Yard Hurst, incontrato per caso, con cui fa amicizia, gli parla di un altro sconcertante fatto, di cui si occupa: voci varie levatesi anche in occasione della venuta di Malleson, tendono a ipotizzare che il marito di Lydie Cranston non sia il vero Malleson ma un impostore, un commilitone, tale Patrick Degan, che lo abbia ucciso al fronte rubandogli l’identità e i ricordi e si sia fatto passare per il marito. Lo testimoniano vari indizi: il fatto che sia diventato un grande giocatore di scacchi mentre prima era una scartina, il fatto che si vesta con cura e soprattutto indossi bellissime cravatte, che usi seduzione e fascino per sedurre la bella moglie, che legga libri osceni, che si arricci i baffi con le dita,ma anche a scapito, che il suo cane non l’abbia riconosciuto. Pertanto sottopongono Malleson, con l’aiuto di suo cugino William Lucas, un commesso viaggiatore che vende calze da donna, e del dottor Jeremie Bell, lessicografo, un tipo supersimpatico che ha conosciuto tutti i ragazzi del luogo molti anni prima, ad una serie di test, dopo i quali Malleson si manifesta essere proprio quello che diceva di essere: il Malleson che Jeremie ha conosciuto molti anni prima.
Al castello intanto continuano ad accadere o sembrano accadere, fatti inspiegabili: Malleson sente passi, ha incubi spaventosi, e vede soprattutto ogni volta un modellino di una barca a veliero avvicinarsi o distanziarsi da un lume, sul bordo del camino, nonostante egli, pignolo qual è, lo riposizioni ogni volta. Gli incubi che lo ossessionano sono quelli che lo fanno ripiombare ogni volta nella spaventosa vita in trincea ogni giorno, oppure durante il naufragio dell’Argo, in cui erano morte più di duecento persone.
A turbare l’atmosfera è anche il rapporto non proprio idilliaco che Jason ha con un cugino di sua moglie, Edgar Rice, vissuto con lei dalla più tenera età, da quando Lydie rimasta orfana era stata affidata a zia Rebecca, la madre di suo cugino . Ora, è lui, senza più famiglia a dimorare a casa dei Malleson, non facendo nulla se non comporre versi poetici.
Per di più c’è anche un altro rapporto molto strano: quello delle due “sorelle gemelle non gemelle” Lydie e Ingrid, figlie di Ian Neilsen e di sua moglie Hela. Gemelle non gemelle, perché pur essendo molto simili, sono sorellastre in realtà: sono figlie di due rapporti diversi, che Ian ha avuto con due diverse donne. Quello con Hela ha generato Ingrid, quello con la moglie di Julian Cranston, Mary, invece Lydie.  Tuttavia Lydie apparentemente è stata adottata dai due Cranston, e così quella che è la sua madre naturale diventa la sua matrigna. Ma solo perché all’atto dell’adozione , si era presa la bambina più mansueta mentre quella più irascibile, Ingrid , era rimasta al palo. Un bel giorno accade, dopo aver trovato la bella Lydie svenuta nella Stanza Rosa, che Edgar si barrichi sulla torre del castello e dopo un urlo forsennato della Banshee che gli apapre, egli cada dal parapetto della torre e muoia. Poco tempo dopo stessa sorte accadrà a Malleson. Twist dopo aver acquisito altri indizi, darà la propria versione dei fatti, accreditando la pista del suicidio dei due. Ma poi molto tempo dopo, quando Hurst è già diventato un volto famoso di Scotland Yard, andando a trovare Lydie, vedova non risposata, rivelerà la vera dinamica dei fatti, e come una certa persona, fosse stata causa della morte di Edgar e di quella di Jason,  e come lui l’avesse protetta. Per questo motivo non si sente di accettare le attenzioni della bella vedova e decide di dedicarsi d’ora alla criminologia e alla cattura di assassini efferati e misteriosi.
Diciamo subito che il romanzo è uno dei più affascinanti che io abbia mai letto, uscito dalla penna di Paul, non tanto per gli enigmi in sé per sé, quanto per come le vicende vengono descritte, e per come egli riesca a spiegare nei minimi dettagli tutte le vicende narrate, anche le meno comprensibili : per es. la Stanza Rosa da chi veniva utilizzata? E’ evidente che l’utilizzasse qualcuno del castello che non fosse Malleson, e cioè o Lydie o Edgar. Ma tutto acquista un sapore diverso quando si scopre che la stanza non era usata o dall’uno o dall’altra, ma da entrambi, per incontri extraconiugali. Cioè in parole semplici, la moglie tradiva il marito in casa concedendosi all’amante che viveva sotto lo stesso tetto.  O per quale motivo Jason Malleson (Giasone) fosse tanto ossessionato dal naufragio maledetto dell’Argo ? Da ricordare è il mito degli Argonauti, di Giasone e della nave Argo, e di come Giasone fosse stato causa della morte dei suoi compagni: anche nella realtà letteraria questo risulta vero.
Insomma il romanzo affascina per la sua capacità di affabulazione, per come la narrazione in se stessa affascini. Mi ha ricordato quello che pensavo prima di leggere questo romanzo, essere il miglior romanzo per la struttura narrativa, cioè Le Brouillard rouge: entrambi i romanzi hanno un’intensissima capacità di narrare ed  entrambi hanno un esplosivo inizio. Le Brouillard rouge ha in più anche un finale assolutamente straordinario, tanto quanto l’inizio mentre Le cri de la syrene, per giustificare l’abbandono di Twist dell’occultismo e la sua dedicarsi solo al risolvimento di misteri inestricabili dal punto di vista criminale, devo dire che propone un finale alternativo che non mi sembra dello stesso peso del primo: in altre parole, se le due morti potevano essere spiegate col suicidio, o meglio con la caduta accidentale, tenuto conto della natura altamente impressionabile delle due vittime e della pericolosità del tetto e dell’assenza di parapetto della vecchia torre medievale, e della scogliera, non altrimenti si può pensare del finale alternativo, con invece l’attribuzione di una paternità omicida seppure difficilmente giudicabile, ad una persona che simulando un grido avrebbe spaventato a morte i due e li avrebbe fatti precipitare uno dalla torre, l’altro dalla scogliera. Ancor più nel dettaglio, ancora ancora la prima morte potrebbe essere spiegabile così, ma la seconda mi risulta difficile che possa essere spiegata con l’apparizione dell’omicida travestito da Banshee che spaventi la vittima tanto dal farla suicidare dalla falesia. Talora Paul per giustificare qualcosa di altamente difficile da spiegare si arrampica sugli specchi: era capitato già nella spiegazione del delitto de Il Demone di Dartmoor, con la macchina fotografica scassata. Al di là di questo dettaglio ( a me è sembrato ma posso sbagliarmi, che il secondo finale sia stato aggiunto in seguito), il romanzo è magnifico e anzi, in certo senso, il doppio finale risponde alla necessità che l’assassino sia di altro sesso rispetto a quello che si credeva essere il responsabile.  Cosa voglio dire? Che leggendo il romanzo mi era parso, indipendentemente dall’individuazione precisa del responsabile, che il sesso dovesse essere uno ben preciso, e anzi mi ero stupito che la storia andasse in altro senso: invece il finale che stravolge la verità rivelata, ha a sua volta sancito che non mi ero sbagliato.
E’ però nel contempo un romanzo assai cerebrale: l’insistere sulla genealogia, sugli incroci familiari, sul tema del doppio, sciorinato sia al maschile che al femminile, sia nell’accezione del sosia (Patrick Degan /Jason Mallesot) sia in quella della “gemella non gemella”, con tutti gli annessi e connessi: cioè capire chi sia dei due sosia il vero “fetentone”, e delle due gemelle chi sia la “zozzona”. In questo indubbiamente riscontro un sapore decisamente francese: se infatti il tema del delitto impossibile su una torre era stato sciorinato già da Carr in due suoi romanzi (He  Who Whispers, The Case of the Constant Suicides) e nonostante il romanzo abbia atmosfere decisamente carriane, e anzi uno dei personaggi, Jeremie Bell sia tratteggiato alla stessa maniera di come la tradizione letteraria ci ricorda il personaggio di Gideon Fell (ampio mantello nero, occhialetti con pince nez, baffoni, gigantesco, gran bevitore di birra, e pronunciatore di celebri invettive che hanno soggetto storico oi mitologico: “per i sandali di Mercurio” per esempio), il soggetto del doppio girato e rigirato ci porta a Boileau e al suo magnifico La Pierre qui tremble, mentre l’amore clandestino di Edgar per la cugina Lydie, più grande di lui, moglie di un soldato partito in guerra e poi ritornato a me fa venire in mente in maniera chiarissima, Le diable au corps di Raymond Radiguet, un romanzo straordinariamente appassionato, portato sullo schermo altrettanto suggestivamente da Gérard Philipe nel film omonimo di Claude Autant-Lara.
Un altro motivo che caratterizza questo romanzo rispetto agli altri della stessa mano, è il fatto che presenti un andamento simile a The Greek Coffin Mystery di Ellery Queen. Infatti chi abbia a mente i romanzi dei due cugini, ricorderà come i caratteri di Ellery cambino sempre più man mano che ci si allontana dai primissimi, ma che diversamente da altri romanzieri, la prima avventura di Ellery Queen che ci aspetteremmo che fosse la prima ad essere pubblicata, cioè The Roman Hat Mystery, non è quella bensì proprio The Greek Coffin Mystery, che fu la quarta ad essere pubblicata, e che veniva presentata come il primo straordinario caso di Ellery Queen. Qui abbiamo il medesimo andamento: dopo vari romanzi precedenti, in cui già avevamo incontrato Alan Twist criminologo, ed in uno addirittura ex poliziotto (La malédiction de Barberousse), qui assistiamo alla sua genesi come detective impegnato a risolvere delitti (quindi ancor prima di La malédiction de Barberousse), al suo primo incontro con Archibald Hurst, e addirittura alla sua prima ed ultima avventura amorosa. Sarà proprio questa delusione (e i conseguenti sviluppi) ad incanalare in una ben precisa direzione la sua volontà di dedicarsi al crimine invece che all’occultismo.
Il romanzo vede l'esordio come traduttore di Angelo Petrella (anche è anche scrittore), al posto di Igor Longo: Igor prese il posto di Marianna Basile perchè impossibilitata da ragioni di salute a continuare a tradurre. 
So il motivo ora, per cui Petrella ha preso il posto di Igor Longo e non condivido le modalità, visto che ho saputo direttamente dall'interessato come si è svolto l'avvicendamento. I risultati conseguiti dal traduttore non sono malvagi, ma talora c'è un quasi compiacimento nell'uso lessicale di termini che esprimono un pessimismo ed un'ombreggiatura, che se pur si riallacciano all'esperienza di narrativa del traduttore non so fino a che punto possano identificarsi con quello dello scrittore tradotto.

Pietro De Palma

martedì 14 novembre 2017

Clifford Orr : La casa sulla scogliera (The Wailing Rock Murders, 1932) – trad. Dario Pratesi – I Bassotti, Polillo, 2017



Ricordo di averne parlato con Mauro Boncompagni forse due tre anni fa. In precedenza ne avevo accennato sul Blog Mondadori, ai tempi di Altieri: sto parlando del romanzo di Clifford Orr, The Rock Wailing Murders. Il romanzo fa parte di una nutrita schiera che Roland Lacourbe stilò a margine del suo Meeting del 2007. L’elenco è in rete, per opera di uno dei partecipanti a quel meeting, il mio buon conoscente John Pugmire: ricordo che ancora quando non lo conoscevo, mi servivo di quell’elenco come promemoria di tutto quello che avrei voluto leggere. Ecco perché a ogni occasione li rammentavo, quando parlavo sul Blog.
Quando due tre anni fa ne parlai con Mauro privatamente chiedendogli  perché mai Polillo non lo pubblicasse, Mauro mi rispose che il romanzo di Orr era un gran bel romanzo. Questo finchè circa nove mesi fa non mi ha rivelato “in camera caritatis” che Polillo avrebbe pubblicato il romanzo di Orr, cosa confermatami più tardi dallo stesso editore, con la preghiera tuttavia di non divulgare la notizia finchè non fosse stata sicura.
Clifford Orr: chi mai fu costui? Attingo dalla succinta biografia pubblicata in calce al volume da Polillo: “Clifford Orr (1899-1951), nato a Portland, nel Maine, manifestò una precoce vocazione per la scrittura e, mentre frequentava la Dartmouth University, firmò come librettista diversi musical messi in scena dagli studenti del corso di teatro. Dopo aver lasciato l’università (senza una laurea benché avesse completato i previsti 4 anni), continuò saltuariamente a scrivere testi di canzoni, una delle quali venne portata al successo da Doris Day. Per alcuni anni lavorò come giornalista presso il Boston Evening Transcript e in seguito andò a dirigere la libreria di Wall Street della casa editrice Doubleday, Doran. Nel 1929 esordì con il giallo The Dartmouth Murders, che conquistò vasta popolarità grazie all’ambientazione inconsueta, il campus di un celebre college dove tre studenti vengono ammazzati. A questo mystery piuttosto convenzionale seguì The Wailing Rock Murders (La casa sulla scogliera - I bassotti n. 185), un romanzo ben più originale che per molti versi rimanda all’opera del contemporaneo John Dickson Carr. Nonostante avesse annunciato un terzo libro, Orr abbandonò la carriera letteraria e per i successivi vent’anni fece l’editorialista per la rivista The New Yorker. Omosessuale e alcolista, ebbe una vita privata infelice e morì a Hanover, New Hampshire, sede della sua università, poco prima di compiere 52 anni.”
Aggiungo che sia The Rock Wailing Murders, sia il precedente The Dartmouth Murders, sono disponibili in lingua madre, su Amazon, segno che è un romanziere che ancora si legge.
Comincio col dire che “La casa sulla scogliera” è sicuramente un eccellente romanzo, che deve parte della sua notorietà all’atmosfera che lo pervade, in sintonia coi coevi romanzi di John Dickson Carr: vi è una scogliera che a causa di uno scherzo di natura geo morfologica, emette in particolari momenti un rumore che sembra un grido. Quando in passato è stato emesso questo grido, una morte è avvenuta: la conseguenza diretta è che gli hanno attribuito un nefasto presagio. L’ultima volta che ciò pare che si sia verificato, è stato undici anni prima, quando è morto un marinaio. Il fatto è che la scogliera emette di nuovo il lacerante grido poco prima che sia scoperta una nuova morte. Di chi? Di Garda Lawrence, pupilla e protetta di Spaton Meech, detto Spider per una sua mostruosa deformità : una testa sproporzionata, che pende incurvando la schiena in una gobba, e delle braccia tanto lunghe da arrivare alle ginocchia. Garda Lawrence era stata invitata dai coniugi Farnol, Creamer e Vera e dalla loro figlia Patricia: era un’amica della figlia che le aveva consentito di portare due amici, Philip Masterson e Victor Millard. Nella casa poi c’erano degli altri ospiti, amici dei Farnol: Richard ed Helen St.John. Garda aveva invitato anche il suo patrigno Spaton Meech, che è un famoso detective, che ha aiutato la polizia in casi intricati.
Tutto sembrava andare bene, finchè si verifica l’evento tragico: Spaton va a fare un giro in spiaggia (la casa torreggia sulla scogliera) e vede che la luce nella stanza di Garda, nella cupola posta nella parte più alta della casa, è spenta, mentre nell’altra casa gemella (la casa dei Farnol è separata da circa un chilometro di scogliera, da un’altra casa gemella in tutto e per tutto, pure di proprietà dei Farnol, disabitata da molti anni) vi è una luce accesa. Poi si accende la luce nella stanza di Garda e allora lui comincia a correre volendo parlare con la ragazza prima che essa venga di nuovo spenta: sale le scale, arriva alla porta, bussa ripetutamente, vede dalla toppa della serratura il buio per cui pensa che sia infilata dall’altra parte una chiave: chiama senza risposta. Chiama altri ospiti e decidono di abbattere la porta: la finestra è aperta e il forte vento dell’oceano fa vorticare carte in mezzo a loro. Accesa la luce gli si presenta una scena raccapricciante: qualcuno ha sgozzato la ragazza. E’ avvenuto già parecchio tempo primo come dimostra il sangue già coagulato: eppure qualcuno è ritornato sul luogo del delitto. Dall’altra parte della porta non è infilata alcuna chiave né è per terra.
Spaton viene incaricato delle indagini, in quanto detective esterno che ha collaborato parecchie volte con la polizia: già questo è una stranezza, che avrà delle ripercussione sul corso delle indagini, perché quando l’investigatore è direttamente coinvolto in indagini su questioni personali o familiari, perchè l’indagine sia il più imparziale possibile, viene svolta da altro soggetto. Qui invece è lui che assume direttamente le indagini, coadiuvato dallo sceriffo. Innanzitutto per avere un quadro della situazione interroga i presenti, tra i quali deve esservi per forza l’assassino, che ha operato sicuramente o prima o dopo che Vera Farnol le ha portato il vassoio della cena, giacchè aveva rinunciato a cenare con gli altri: il vassoio viene trovato ancora fuori della porta.
Per evitare che qualcuno possa andarsene Spider rinchiude i presenti nelle loro camere da letto, e così si accorge su un’altra camera che a detta del padrone di casa dovrebbe contenere masserizie e ciarpame e che invece nasconde un’altra bella stanza ammobiliata. Tuttavia in quel frangente è ancora chiusa.
Siccome ci sono anche lo sceriffo ed il vice sceriffo che presidiano la casa, Spider da la sua stanza allo Sceriffo mentre lui ottiene dopo varie insistenze che il padrone di casa gli consegni la chiave del portone di casa, della casa gemella. Che dovrebbe essere disabitata e dove invece ha visto un chiarore. Vi si reca e..trova Philip Masterson, uno degli amici della sua protetta, che dopo un colloquio, inaspettatamente, gli confessa di aver ucciso Garda. E gli da pure l’arma del delitto, un coltello affilatissimo in un astuccio d’argento. Spider vince la sua rabbia e la sua voglia di ucciderlo, ma il suo bastone da passeggio infrange il vetro della finestra della cupola e cade dabbasso. Spider, chiude il giovane nella stanza e va ad avvisare lo sceriffo, e anche a recuperare il bastone. Quando invece…qualcuno con lo stesso legno lo tramortisce. Si sveglia, assistito dallo sceriffo e viene a sapere che qualcuno mentre lui era svenuto, sicuramente il suo assalitore, ha ucciso Masterson. Il fatto è tuttavia che tutti avevano un alibi al momento della morte, in quanto erano nelle loro stanze e Masterson è scappato da una di esse per via di un terrazzino, che non hanno le altre. Sicuramente pensa Spaton Meech che qualcuno è riuscito a uscire con un artifizio dalla sua camera. Viene a sapere anche che c’è stata una sparatoria a casa Farnol, tra il vice sceriffo e qualcuno che si aggirava nei pressi della casa: questa persona è rimasta ferita, come testimoniano delle macchie di sangue. Quindi, siccome l’unico che può essere rimasto ferito, è chi lo ha aggredito e quindi ha ucciso Masterson, gli si mette alla ricerca. Individua del sangue sulla spalla della signora St.John, e partendo dal presupposto che solo il marito l’avrebbe toccata lì, ipotizza che l’assassino sia Richard St.John.  In questo caso si prospetterebbe un tipico caso della Camera Chiusa, per come egli avrebbe fatto ad uscire dalla sua camera al primo piano dei Farnol e poi rientrarvi lasciando inserita dall’esterno finanche la chiave. Ma poi, scoprendo in Sutton l’uomo che l’ha lasciata, si convince della sua colpevolezza.
A questo punto, ecco che l’attenzione viene spostata altrove. E se Masterson avesse mentito per proteggere qualcuno? Chi potrebbe essere?
Tuttavia Spider non trova la sua torcia tascabile, e Sutton giura che non è stato lui. A questo punto il delitto di Masterson diverrebbe un delitto impossibile perché nessuno dei presenti in casa Farnol avrebbe potuto ucciderlo in quanto rinchiusi nelle rispettive camere, e avendo giurato a Sutton a Spider di non essere stato lui ad ucciderlo, né ad aver preso la sua torcia, né il suo bastone da passeggio.
Che vi sia altra carne sul fuco è testimoniato dall’affare del campanello. Un campanello suona in casa Farnol mentre è in casa Spider, e siccome nessuno può aver usato un apparecchio in casa in quanto sorvegliati, è evidente che qualcun altro lo debba aver fatto. Dopo una certa indagine si scopre che nell’altra casa gemella in una camera è tenuta segregata un’autentico orrore di donna, un essere talmente brutto e deforme che solo con Spider potrebbe fare coppia: è la madre di Vera Farnol, Vera Darlow. Che accusa il genero di un delitto perpetrato undici anni prima: il marinaio, era invece  figlio di Vera Darlow, erede della fortuna, di cui si era impossessato Creamer Farnol.
Successivamente si viene a scoprire invece che ad uccidere l’uomo, non era stato Creamer ma la moglie. Ma che al contempo essa era non responsabile dell’atto compiuto in quanto “incapace di intendere e volere” normalmente, in quanto vittima di uno sdoppiamento di personalità: due diverse Vere, una mite, l’altra feroce e assassina, interprete dell’odio che la sorella covava verso il fratello ma teneva a freno.
A questa seconda possibile pista (una persona con sdoppiamento della personalità avrebbe potuto uccidere Garda, se una sua parte del subconscio l’avesse odiata? Tanto più che ella era andata su da Garda lasciando il vassoio. E se questo fosse stato solo una scusa per andare da lei ed ucciderla?),  Spider viene anche portato dalla confessione di Patricia Farnol, coinvolta nell’omicidio di Garda dal ritrovamento si sue impronte insanguinate sulla maniglia interna della porta: sarebbe stata lei ad accendere la luce nella stanza. Assassina o visitatrice? La confessione indirizza le indagini verso la seconda ipotesi, ma nel contempo la ragazza avvalora l’ipotesi che la madre possa essersi macchiata dell’omicidio anche di Garda.
In un crescendo di tensione, avverrà un suicidio non previsto ed una verità sconvolgente si affaccerà nel finale spettacolare che conclude il romanzo, in cui l’indizio della torcia tascabile di Spider illuminerà un assassino insospettabile, mentre con una piroetta degna di un grande virtuosista, ritornerà ad affermare una verità detta all’inizio del romanzo, sulla base del raffronto tra due esempi di scrittura attribuiti alla stessa mano.
Questo è un vero capolavoro da pochi conosciuto, e grande merito va ascritto alla collana fondata da Marco Poilillo nell’averlo proposto.
E’ un romanzo spettacolare per varie cose.
Innanzitutto  la narrazione in prima persona di Spider in quello che può esser considerato una specie di diario, una rendicontazione di qualcosa che si sia vissuto e che abbia lasciato degli strascichi, in una sorta di “delirio onirico” come si è espresso l’altro giorno Mauro Boncompagni parlando col sottoscritto. In cui, l’elemento fantastico, seppure in secondo piano, diventa il responsabile di una mente malata. Elemento fantastico che accomuna ovviamente Or r a Carr
Non è il solo elemento di interesse però, e anzi ve ne sono molteplici, perché questo romanzo non solo ha utilizzato materiale preesistente ma ha anche influenzato , mi parrebbe di dire, alcuni romanzi successivi: rappresenta cioè una sorta di anello di congiunzione tra alcuni romanzieri famosi ed altri.
Vediamoli approfonditamente.
Innanzitutto vi sono due case gemelle, che erano state date a detta di Creamer Farnol da un padre a due figli. Quale opera vi fa venire in mente? A me una, ovviamente: The Lamp of God di Ellery Queen, 1935. Può aver influenzato Ellery Queen, il romanzo di Orr che è del 1932? Secondo me sì, visto che questo romanzo americano ebbe una vasta eco: anche lì due case gemelle, distanziate da circa un chilometro, e donate da un padre a due figli.
Poi vi è una casa in cui accadono una serie di delitti: a quel tempo, l’opera che sicuramente ha influenzato Orr è stata The Greene Murder Case di S.S.Van Dine del 1928, un’opera che è da sempre uno dei pilasti del romanzo mystery. Dell’opera di van Dine, vari sono gli elementi che vengono ripetuti: il detective che si avvale come spalla di un elemento della polizia (lo sceriffo qui, il Vice Procuratore Distrettuale lì); l’assassino instabile di mente; la presenza di un saggio tedesco di psicologia applicata alla criminologia: lì l’ Handbuch fur Untersuchungsrichter di Hans Gross, qui Das Verbrechen und Die Geistesunterstromung del Dottor Bernd; l’assassino che si suicida.
Due dei tre assassini hanno uno sdoppiamento in due personalità distinte, che è una delle caratteristiche per es. del romanzo di Helen McCloy,  Through a Glass Darkly (1950). E la stessa atmosfera allucinatoria, può aver influenzato The Red Right Hand, del 1945 di Joel Townsley Rogers o anche The Deadly Percheron del 1946 di  John Franklin Bardin.
La rivelazione finale ha l’origine indubbiamente in uno dei capolavori di Agatha Christie; e verrà ripresa anche dallo stesso Joel Townsley Rogers. Anche se qui, il colpevole non sa di esserlo, perché è vittima di uno sdoppiamentro della personalità.
Potrebbe addirittura aver influenzato L’Albergo delle tre rose di Augusto De Angelis, del 1935. E l’ipotesi non mi sembra neanche tanto strampalata: lì una pensione, qui una casa, ma su un piano della quale si affacciano tante camere. E tra le tante, anche una che dovrebbe contenere masserizie e ciarpame, una sorta di ripostiglio. Se De Angelis conosceva The Devil Drives di Virgil Markham e Obelists Fly High, di Charles Daly King, perché non ipotizzare la conoscenza di altri capolavori americani di quel periodo?
Vi sono qua e là delle note un po’ stonate, tuttavia, accanto ad una profusione di indizi e di false piste: c’è un plot principale (la morte di Garda e la confessione di Masterson seguita dalla sua morte), e poi ci sono due subplot distinti: il sonnambulismo di Vera Farnol, che è spiegabile come uno stato di incoscienza in cui il soggetto viva un’esperienza parallela rispetto a quella che vive in ogni altro momento della giornata; e la mostruosità fisica della madre, Vera Darlow, spiegabile come una somatizzazione della pazzia. E accanto ad una soluzione certa, un’altra ipotizzabile ma falsa ed una infine non presa in esame ma esatta. La nota stonata, che è stata rimarcata anche dal mio conoscente Noah Stewart, e che rivela una cerca immaturità di Orr nella realizzazione di piantine in calce a romanzi, è l’assenza di un qualsivoglia bagno anche comune, su un piano su cui si affacciano le camere degli ospiti. Se ci pensate, l’osservazione è quantomai stringente.
A Roland Lacourbe questo romanzo piace e lo testimonia l’averlo inserito nella sua appendice di  99 Camere Chiuse e Delitti Impossibili, risultato del Meeting del 2007, nonostante in se stesso il crimine impossibile e una pretesa Camera Chiusa che non lo è, non siano il massimo; nondimeno ai suoi amici, gli esperti “tecnici”, Soupart, Bourgeoise e Fooz, lo stesso romanzo non è altrimenti molto piaciuto giacchè gli hanno assegnato il minimo di valutazione in 1001 Chambres Ecloses. La doppia opinione rispecshia l’ambivalenza del romanzo: se lo si vede come un’opera delirante, allucinatoria, piena di vere e false piste, dal fascino unico, ha ragione il primo; se lo si vede invece come un’opera rappresentativa del sottogenere di Locked Room and Other Impossible Crimes, parafrasando Bob Adey, allora il romanzo esce notevolmente ridimensionato.
A me il romanzo è piaciuto moltissimo. E lo testimonia la velocità con cui l’ho letto, segno anche di un livello emotivo e di tensione altissimo.
L’ultima volta che ho letto un libro con una tale velocità, è stato trentaquattro anni fa, quando lessi Il nome della rosa di Umberto Eco.
Pietro De Palma