martedì 31 gennaio 2017

John Dickson Carr : L'Orrore dei Marvell (New Murders for Old, 1939) - trad. Roberto Sonaglia, in "Ellery Queen presenta" Estate Gialla, Mondadori, 1985,



Nell’ambito dei racconti carriani, ce ne sono alcuni conosciuti, tipo La Casa in Goblin Wood, direi anche meritatamente, in quanto trattasi di assoluto capolavoro, e altri meno, tipo Il Problema sbagliato, oppure La Porta sull’Abisso, o ancor di più L’Orrore dei Marvell, un racconto che pochissimi hanno letto in Italia, pubblicato tanti anni fa su una Estate Gialla “Ellery Qeen presenta”  del 1985.
Il racconto dal doppio titolo originale - infatti il racconto, il cui titolo originale è “New Murders for Old”, fu ristampato in altra occasione col titolo  “The One Real Horror”. La prima edizione è quella inglese, col primo titolo citato, apparsa nella rivista “Illustrated London News” nel 1939 e poi ristampata nella raccolta “Department of Queer Complaints” l’anno dopo (precisazioni fornitemi, a domanda, da Mauro Boncompagni) -  è un racconto oserei dire superbo, uno dei rari casi in Carr in cui un doppio finale, lascia aperta la porta all’evento fantastico e non reale, in aggiunta e in contrapposizione a quello più evidentemente logico, tuttavia venato da dubbi.
La vicenda è quella dell’erede di una catena di hotel di lusso andati in malora, fondati dal vecchio Jim Marvell. Ereditati dal nipote Anthony, giovane votato ad una brillante carriera di matematico e costretto invece dalle ultime volontà dello zio che lo amava, ad occuparsi dei suoi hotel, invece di venderli e di ricavarci il più possibile, come avrebbe fatto il fratello Stephen, chirurgo, vi si applica, “mente e corpo” in maniera indefessa, cosicchè dopo due anni di durissimo lavoro ed abnegazione, rischiando l’esaurimento nervoso, riesce non solo a salvarli dal fallimento ma addirittura a portarli ad un clamoroso attivo, a farli diventare meta di tutti i ricconi desiderosi di una vacanza lussuosa.
Ma i contraccolpi sono di natura nervosa. E così suo malgrado, accetta di rinunciare anche alla compagnia della sua fidanzata Judith Gates, una ragazza di umili origini, e di fare una crociera che lo terrà lontano da casa sei mesi.
Tuttavia appena imbarcato, cominciano le sue disavventure: entrato in cabina, non trova più i bagagli che aveva lasciato assieme al fratello Stephen. Denunciata la cosa al commissario di bordo, si sente rispondere che è lui proprio ad aver dato l’ordine poco prima di sbarcare i suoi bagagli, direttamente, allo stesso commissario. Tony non sa che pesci prendere e comincia a dubitare di sé, della propria lucidità mentale. Ordina di andare a riprendere i bagagli, ma poi quando rientra in cabina, trova sul materasso del letto una pistola con i proiettili nel caricatore. E’ sempre più confuso, ma invece di buttarla via dall’oblò in mare, la prende con sé. Dubita persino che sia effettivamente la sua. Ed è sempre più persuaso di essere lui stesso la causa dei suoi guai: una parte cosciente è perseguitata da una incosciente. Non accade più nulla una volta che il bastimento ha lasciato il porto, tranne una cosa che lo fa dubitare delle sue capacità mentali: ha l’impressione in più d’una occasione che il vecchio zio Jim lo spii, intabarrato nel suo vecchio cappotto con un bavero antiquato di pelliccia: il fatto è che Jim Marvell è morto e sepolto.
Dopo circa sei mesi di assenza, perfettamente ristabilito e sentendosi nel pieno delle sue facoltà mentali, decide di rientrare a casa. Ma ecco che nel treno che lo sta riportando indietro, nello scompartimento trova un giornale del giorno prima che parla della sua morte per suicidio. Riavutosi dalla sorpresa, scopre con apprensione che non può trattarsi di un fake: l’articolo è troppo circostanziato, le persone sono quelle della sua famiglia, i luoghi sono quelli della casa avita. Tony non sa che pesci prendere, comincia persino a dubitare di essere lui Tony Marvell. E intanto c’è qualcuno nel treno che non lo perde d’occhio, una persona con un bavero antiquato di pelliccia.
Tony cerca di prendere il taxi, ed ecco quel tale è dietro di lui. Nevica. Il taxi arriverebbe a destinazione e soprattutto lui riuscirebbe a seminare una buona volta quel visitatore indesiderato, ma il taxi ha un incidente avendo dovuto scansare all’ultimo momento un uomo coperto da un pesante cappotto con un bavero di pelliccia.
Tony scende dall’auto ed ecco, il suo accompagnatore indesiderato è dietro di lui. Accelera il passo e quello idem. Tony corre, ma anche quello dietro di lui. Tony ha le chiavi di casa, sta per aprire il portone ma gli sfuggono. Quando vi riesce, quella figura vagamente familiare è alle sue spalle. Colto dal terrore cerca di reagire cercando di impugnare la pistola ma quella cade. Si rifugia al piano superiore ed entra in camera sua. Accende le luci e si accorge che qualcuno giace nel suo letto, coperto da un lenzuolo. Vince la paura, scopre il lenzuolo e si ritrova un altro Tony Marvell.
Sconvolto si volta e vede suo fratello Stephen che gli parla ma mentre ciò avviene ecco che la figura che lo perseguitava è lì. Stephen urla, strepiti, una mano, quella dell’essere chiude a chiave Tony in camera sua in compagnia del suo doppio, e poi, dopo ancora urla di soccorso da parte di Stephen, dopo che la governante è accorsa in tempo per vedere la porta della camera di Stephen chiudersi, ecco un colpo di pistola: Stephen è ritrovato ucciso con un colpo di pistola alla tempia.
E l’assassino ? Volatilizzato: le finestre erano sprangate. Nessuno era presente dentro quando hanno aperto la porta, e fuori c’era la governante che giura che nessuno, proprio nessuno sia entrato. A testimoniare che sarebbe potuto esserci qualcuno, solo una vago odore di pelliccia ammuffita.
Il racconto termina così come era iniziato: il sovrintendente del CID ha raccontato la storia di Tony alla fidanzata Judith. Tony è libero da ogni sospetto e lo deve soprattutto al fatto di essere stato chiuso a chiave in camera sua. Stephen è morto.  Suicida, è il verdetto finale. Nessuno c’era in quella stanza e nessuno poteva esserne uscito. Ma perché mai si sarebbe ucciso? E chi era il doppio di Tony? Ma era veramente Tony, Tony Marvell?
Straordinario racconto di Carr, direi un autentico capolavoro, assolutamente sconosciuto in Italia ( o quasi ), lo sarà ancora per parecchi da informazioni acquisite per via personale. Direi che assieme a The Door To Doom e Blind Man’s Hood compone una triade veramente straordinaria, di racconti con tinte soprannaturali che sconfinano abbondantemente nella letteratura fantastica.

Già nei primi righi si comincia ad intuire l’orrore della storia: Sir Heargraves, Sovrintendente del CID, sta raccontando una storia ad un’altra persona e stanno in una camera: l’identità della persona è sconosciuta e verrà rivelata solo alla fine, perché se venisse rivelata subito, verrebbe tolto un po’ di suspence alla vicenda. In più Sir Hargraves allude ad una “cosa” che era lì sul letto. Badate bene: sta parlando di una “cosa”. Poi Carr scrive che l’aria aveva un odore vagamente dolciastro. Dolciastro! Quando in un romanzo poliziesco, un mystery, si usa quest’accezione, il rimando è sempre alla decomposizione di un corpo: la putrefazione da origine ad effluvi nauseabondi e dolciastri.
Il modo in cui Carr introduce la storia ha in sé già il tocco del genio: fuori fa freddo e nevica, ma dentro l’atmosfera è soffocante, e si sente ancora un che di dolciastro. Quando parla di una cosa sul letto, a me fa venire alla mente un romanzo di Talbot. Sicuramente questo chiamare il corpo sul letto “cosa”, è un rimando diretto a quell’altra “cosa”, sul letto di un’altra stanza da letto, in The Hangman's Handyman.
Il romanzo di Hake Talbot è del 1942. Talbot e Carr erano amici: è cosa risaputa. A me pare per lo meno strano, e lo sottolineo, che nel romanzo di Talbot compaiano dei caratteri presenti in questo racconto che è precedente.
Cosa voglio dire? Che potrebbe anche essere che Talbot abbia preso delle cose da Carr, da questo Carr, nonostante egli avesse affermato che il suo principale ispiratore era stato il Melville Davisson Post delle storie di Zio Abner: in entrambi i testi si parla di un omicidio impossibile, in ambedue i casi vi entra una situazione soprannaturale (solo che in Carr potrebbe essere vera, in Talbot si dimostra che non lo fosse in realtà), in ambedue i casi vi è un doppio cioè un sosia (nel racconto di Carr è vero, nel romanzo di Talbot no), in ambedue i casi vi è il ricorso al tema della putrefazione dei corpi post mortem (in Talbot è la causa del problema: una maledizione volta a far marcire un corpo in breve tempo; in Carr l’effetto: il doppio si è ucciso qualche giorno prima); in ambedue i casi si parla di una “cosa” adagiata sul letto e coperta dal lenzuolo (in Carr si parla di cosa, termine usato anche da Talbot; Talbot aggiunge che sembrava  un “lumacone”).
Ma Carr a sua volta mi sembra che citi nell’asfissiante pedinamento di Anthony Marvel da parte del supposto zio Jim morto, un racconto di Joseph Le Fanu, in cui un uomo viene marcato stretto dalla sua ombra, che per lui è sinonimo di presagio di morte. Anche nel racconto di Carr,  la marcatura stretta della misteriosa figura in cappotto dal bavero di pelliccia antiquato sembrerebbe essere un presagio, o almeno un’espressione di un potere malefico. Invece, Carr rivoluziona il tutto, perché se Tony teme quel pedinamento perché pensa che voglia in qualche modo attentare alla sua vita, in realtà la figura vuole solo salvarlo. Zio Jim lo amava e non avrebbe quindi neanche da morto voluto la sua morte. Invece è come se la sua asfissiante presenza fosse l’unica mossa per garantire a Tony di restare in vita: infatti egli è stato già vittima, non sapendolo, di un tentativo di “delitto perfetto” non riuscito solo perché è stato scelto un assassino inadatto al ruolo perché incapace di uccidere.
Sarebbe dovuto essere un omicidio perfetto (Tony Marvell sale sulla nave e poi sparisce, e al suo posto si materializza un altro Tony Marvell esattamente uguale a lui, come sarebbe stato un delitto perfetto se “La maschera di ferro” si fosse sostituito a Luigi XIV, condannandolo al posto suo ad una prigionia avita nella Bastiglia). E invece no. Mentre quello di Stephen se non si crede alla teoria del suicidio (per quale motivo avrebbe gridato e per quale motivo avrebbe chiuso a chiave la porta della camera da letto di Tony dall’esterno, perché sicuramente la governante non l’ha fatto?), è sicuramente un delitto perfetto, compiuto però da un morto vivente, dallo zio svegliatosi dal sonno eterno.
Devo dire che la traduzione di Roberto Sonaglia, un antropologo che Mauro conobbe e presentò a Gian Franco Orsi, in quanto sfegatato appassionato di Carr, è magnifica. Lui dice di aver tratto giovamento leggendo le traduzioni di Maria Antonietta Francavilla, che erano sospese tra il divertito e il drammatico dei testi di Carr. A me francamente invece quel suo modo di tradurre, molto nero, lo avvicina più ai traduttori di un tempo, per esempio Laura Grimaldi o Rossana De Michele. 

Proprio Roberto Sonaglia, mi da modo di sottolineare un altro carattere di questo racconto che risiede oltre che nel suo avere un doppio finale anche soprannaturale, anche nell’essere un racconto di genere Gotico. Sonaglia, a questo proposito, scrisse un articolo proprio sul Gotico in Carr, pubblicato - in appendice al G.M. 1821 del 1983, in cui era stato pubblicato l’inedito di Carr He Wouldn’t Kill Patience – assieme a due articoli di Boncompagni e ad uno di Lippi. Ne riporto un breve estratto che si applica anche al racconto in questione:
“Carr fa anche di più; proponendo una particolare dimensione del misterioso, a suo tempo sviluppata da Gaston Leroux, egli gioca addirittura sull'esistenza/inesistenza del soprannaturale, artificio decisamente più adatto alle nostre menti smaliziate che sorridono idealmente dei fantasmi e, tuttavia, non sanno ancora decidere se credere o meno ad una realtà metafisica. Questo gioco elegante, come nei neogotici, presenta tutti i sintomi di un biofilo gusto estetico, ripercorrendo il cammino tracciato dalla ghost story classica dove lo spirito, con la sua incorporeità, sposta già l'indice dal carnale all'impalpabile, dall'orrore al mistero.”
Il pensiero di Roberto  è chiaramente condivisibile, ed è applicabile – anche per quello che ho detto –  quando per esempio si insinua che la figura che si nasconde dietro una pianta sul transatlantico, sia il vecchio Jim Marvel, o meglio il suo fantasma, indicato da un particolare, il collo di pelliccia antiquato del cappotto che usava il vecchio Jim; o quando questa figura si insinua che sia presente sul treno, che segua Tony fino al taxi che lo condurrà a casa, che sia quella che faccia sbandare il taxi perché Tony arrivi a casa non subito in modo che lui, il morto vivente lo possa tallonare, appropriarsi della pistola e poi uccidere. Ma quell’artificio di cui si parla , cioè l’esistenza/inesistenza del soprannaturale che è il quid poi del “genere fantastico” perchè genera una sorta di disorientamento nel lettore, lo abbiamo quando Sir Hargraves parla con Judith a pag.217:
Judith parlò dall’oscurità oltre il fuoco a gas.
"-Questa persona che seguiva Tony, non mi starete dicendo che era…insomma, era…
-Era cosa?
-Morta, completò Judith.
-Non so chi fosse, rispose Heargraves, guardandola fermamente. –Tranne che sembrava qualcuno con un collo di pelliccia sul cappotto."
Ancora di più, con il dialogo con cui si conclude il racconto: anche qui c’è questo gioco a rimpiattino tra l’adombrare il soprannaturale e il negarlo:
"-Ma è assurdo! – gridò Judith. – Stephen non mi piaceva; ho sempre saputo che odiava Tony; ma non era tipo da suicidarsi nemmeno se fosse stato scoperto. Vi rendete conto che non avete chiarito l’unico vero orrore? Devo saperlo. Voglio dire, devo sapere se voi pensate quello che penso io.
“Chi era l’uomo con il collo di pelliccia marrone? Chi ha seguito Tony fino a casa quella notte? Chi gli stava alle costole..? Chi era il suo protettore? Chi ha sparato a Stephen per vendetta?
Sir Charles Hargraves abbassò lo sguardo sul fuoco crepitante, il volto corrugato in un’espressione indecifrabile. La sua mente racchiudeva molti segreti. Era pronto a custodire anche questo, ora che si erano capiti.
-Ditemelo voi- rispose."
Ma perché uccidere Stephen se non si è ucciso ?
Qui gladio ferit gladio perit.
Tuttavia il racconto oltre ai caratteri gotico e soprannaturale che può accadere siano complementari (per esempio la vecchia dimora austera, buia, con rumori e scricchiolii, e uno spettro o comunque un morto vivennte,  sono due soggetti chiaramente abbinabili), ha anche quello fantastico. Infatti il modo come lascia al lettore, percorribile alternativamente, la via dell’omicidio impossibile messo in atto da un essere che entra nella camera e poi vi svanisce letteralmente senza lasciare traccia oppure quello del suicidio altrettanto poco probabile conoscendo la vittima (rintracciabile per esempio negli altri due racconti citati  e nel romanzo The Burning Court), fa sì che il lettore venga interessato da quel tipo di straniamento di cui parla Todorov nel suo saggio sul fantastico:
«Il fantastico occupa il lasso di tempo di questa incertezza: non appena si è scelta l'una o l'altra risposta, si abbandona la sfera del fantastico per entrare in quella di un genere simile, lo strano o il meraviglioso. Il fantastico è l'esitazione provata da un essere che conosce soltanto le leggi naturali, di fronte a un avvenimento apparentemente soprannaturale».


 Pietro De Palma

martedì 24 gennaio 2017

John Dickson Carr : La Fiamma e la Morte (Fire, Burn!, 1957) – trad. Maria Antonietta Francavilla – I Classici del Giallo Mondadori: N° 408 1^ edizione, 1982; N° 1320 2^ edizione, 2012.


Mi ricordo che qualche anno fa, quando fu ripubblicato questo romanzo di Carr, sul Blog Mondadori qualcuno volle dire quale fosse secondo lui il migliore giallo storico di Carr: da più parti si disse Il Diavolo vestito di Velluto e un altro romanzo; io, detti la palma del vincitore proprio a Fire, Burn! , e di questo sono ancora ben sicuro. In quell’occasione, la ripubblicazione del romanzo, Mauro citò John Cooper, autore di un libro sul collezionismo dei libri gialli in cui aveva usato gli stessi termini miei per definire Fire, Burn! il migliore giallo storico di Carr (ed uno dei migliori in assoluto della sua produzione lo riteneva l’autore stesso). Anthony Boucher, il grande critico e romanziere poliziesco nella sua recensione sul  New York Times Book Review, affermò  al tempo“As history, as romance, as mystery, as detection, the history is splendid, with an exact and detailed picture of the Yard’s early days, an alluring love story, copious action and a solution wholly surprising”.Il romanzo appartiene al secondo periodo di Carr, quello che intercorre tra la fine del secondo conflitto mondiale e l’inizio degli anni ’60, essendo stato pubblicato per la prima volta nel 1957. Il romanzo gioca su un salto indietro nel tempo dell’Ispettore di Scotland Yard John Cheviot che è in taxi e si sta dirigendo a Scotland Yard. Improvvisamente perde conoscenza e si ritrova nella Londra del 1829: è in carrozza e sta andando nella vecchia sede di Scotland Yard. Non sa come sia arrivato lì e chi sia, ma ben presto acquista consapevolezza di essere anche lì un poliziotto; per di più è di famiglia benestante, ottimo spadaccino e tiratore con la pistola, lottatore e giocatore, tombeur de femme per di più: è l’amante infatti di lady Flora Drayton. A Scotland Yard è convocato in quanto chiede di collaborare con la polizia e mettere le sue qualità al servizio del governo. Il suo primo caso sembra alquanto banale: dovrà scoprire chi rubi il mangime dalle gabbie degli uccelli di Mary Boyle, Contessa di Cork.John Cheviot non crede alle proprie orecchie: possibile che gli si chieda una cosa simile? Il fatto è che la nobildonna è una delle persone nobili che appoggia l’istituzione di una organizzazione forte ed efficiente e quindi non la si può scontentare. John Cheviot  vi dovrà andare in compagnia della sua amante, nobildonna anch’essa, e amica della contessa.  E lì sarà raggiunto da Alan Henley, segretario di Scotland Yard.
Ben presto John capisce che connesso al furto del mangime vi è anche il furto di gioielli della contessa: infatti essi dopo essere stati sottratti dalla cassettina nella camera della contessa, sono stati nascosti nel mangime degli uccelli. In altre parole vi è una complicità in casa della contessa, nonostante ella si fidi ciecamente dei suoi congiunti, protetti e servitori.
Mentre John sta cercando di capirci qualcosa, viene uccisa sotto i suoi occhi una giovane aristocratica, protetta della contessa, Margaret Renfrew: la giovane è stata colpita da un proiettile invisibile e silenzioso, visto che né John né la sua amante lì vicino né tantomeno Henley  hanno sentito né sparo né tantomeno odore di polvere da sparo. Tuttavia, poi, sottoposta ad autopsia, verrà recuperato una palla di piombo assolutamente sferica, pulita e non invece annerita dalla polvere da sparo.
John ha trovato una piccola pistola, caduta dal manicotto che porta Flora con sé, e nella foga di proteggerla, la mette da parte, non consegnandola : chieste le ragioni e perché portasse una pistola, quella gli risponde che l’aveva trovata lì, che era sua ma l’aveva persa da tempo, e che quindi pensava che qualcuno l’avesse lasciata in bella vista per accreditare a lei qualche colpa. Del resto, gli dice, la presenza del manicotto è spiegata dal fatto che uno dei suoi due guanti si era rotto e non voleva fare cattiva figura. Nella sala, si trova anche a fronteggiare un capitano della guardie, Hugo Hogben che con lui aveva avuto uno scontro precedentemente. Questo presuntuoso Hogben è accompagnato da un amico di Cheviot,  Freddie Darbitt. A Darbitt, Lady Cook aveva rivelato quello che in seguito rivelerà a Cheviot: che proprio la Renfrew era il misterioso ladro che le aveva sottratto un anello con un solitario. E che lei, proprio lei, la Contessa di Cork, per nascondere le cose preziose, le aveva sepolte nel mangime dei beverini degli uccelli, non prevedendo che qualcuno l’avesse spiata e poi avesse provveduto di notte a vuotare i contenitori del mangime degli uccelli, Perché li aveva rubati? Si sospettava che avesse un amante, e che proprio a lui avesse consegnato i gioielli sottratti alla contessa. E ora è morta. Ma per mezzo di cosa? Della pistola caduta dal manicotto di Flora? Lei giura di aver trovato la sua pistola in casa, e che era calda, come se avesse appena sparato: ma perché? Perché qualcuno intendeva far ricadere la colpa su quella pistola?
Cheviot capisce ben presto che l’unica fine che i preziosi possano aver fatto è stata di essere venduti a Volcano, il losco tenutario di una bisca londinese, frequentata dal bel mondo. Lì Cheviot troverà parecchia gente: da Flora a Hogben, da Freddie Derbitt a notabili e lord. E scoprirà come Volcano raggiri la gente: per mezzo di una roulette truccata e azionata da aria compressa. E in quel momento capirà anche come sia potuto accadere che la Renfrew potesse essere uccisa da una pallottola invisibile e che non si fosse né udito rumore di sparo né odore di polvere da sparo: perché la pallottola era stata sparata da un fucile ad aria compressa. Magari celato in un bastone da passeggio.
Un’idea ce l’ha Cheviot su chi possa essere l’assassino, ma così pazzesca che nessuno lo crederebbe. E quindi deve fornire delle prove e dei ragguagli ai capi della polizia da cui dipende, non solo per inchiodare l’assassino, ma anche per evitare che proprio lui possa essere accusato di assassinio o quantomeno di complicità nella morte della nobildonna: infatti una ragazza, Miss Tremayne, ha visto l’atto di Cheviot di occultare, la pistola caduta dal manicotto di Flora, in un cofanetto. E così si mette alla ricerca delle prove, inviando i suoi uomini a perquisire un certo appartamento. E così alla data e all’ora prefissata, inchioderà l’assassino, dopo aver umiliato il suo accusatore, il capitano Hogben che, pur di vendicarsi di lui, lo ha accusato falsamente testimoniando il falso.
Allo scopo dimostrerà che la pallottola che è stata recuperata con l’autopsia della Renfrew non poteva essere stata sparata dalla pistola caduta dal manicotto di lady Flora, perché di diametro inferiore alla canna (sarebbe rotolata fuori) e più piccola di una comune palla adatta a quell’arma, ma sarebbe potuta essere sparata da un fucile occultato in un bastone trovato nella camera di…
La rivelazione spiazzerà tutti quelli convenuti lì davanti ai capi di Scotland Yard: da Hogben a Lady Flora, da Henley a Miss Tremayne, dal sergente Bulmer all’Ispettore Seagrave. Anche l’assassino, che è uno di loro.
Cheviot non avrà il tempo per gioire perché Hogben tentando di fuggire da lui inseguito, si volgerà e farà fuoco uccidendo Cheviot. Ma in quel preciso momento…ecco che Cheviot ritorna in sé, ritorna cioè in pieno ventesimo secolo e si accorge di aver sognato: era svenuto a seguito di un incidente del taxi in cui lui viaggiava ed un’altra auto, avendo sbattuto la testa contro la maniglia dell’auto. Starà ancora a chiedersi come è possibile che possa aver sognato, quando rivedrà il volto di Lady Flora Drayton accanto al suo: è quello di sua moglie, che si chiama Flora.
Straordinario romanzo storico, mischia suspence, detection, mistero ed un problema impossibile risolto con consueta nonchalance. Francamente a me sembra che questo e non tanto “Il Diavolo vestito di velluto”, sia il miglior romanzo storico di Carr: la penetrazione storica è prodigiosa, la puntigliosità con cui viene costruita la storia, la realizzazione di figure a tutto tondo mirabili e credibili. Il tutto in un’epoca, quella di Giorgio IV, descritta minuziosamente: sembra quasi di vederli i personaggi mentre parlano, ridono, ballano, giocano, duellano.
Per maggiormente apprezzare l’approfondimento storico operato da Carr, bisognerebbe avere sotto gli occhi un’edizione originale che come accade ed è accaduto spesso in passato, non è stata tradotta interamente: neanche questa volta, anche se a tradurre era Maria Antonietta Francavilla: mancano infatti le note storiche, riportate a fine libro, che intendevano rispondere a varie domande del lettore circa il periodo.
Il tempo del romanzo è posto immediatamente a ridosso della fine della seconda guerra mondiale, quando vi fu una serie di nebbie tragiche a Londra, tali da provocare decine di incidenti mortali: durante una di queste, capita l’incidente di auto in cui viene coinvolto Cheviot.
Il salto indietro nel tempo è un artificio letterario di cui Carr si è servito altre volte, e che è connesso alla commistione tra elementi reali e fantastici, all’esperienza onirica e a quella di vita reale, che legandosi assieme formano un insieme inestricabile da cui è difficile separare il vero dal falso, il reale dall’irreale. Questa dimensione era già stata attraversata in altri romanzi famosi: per esempio in The Burning Court, in cui si ritrova una persona associata a due figure diverse, una nel presente ed una nel passato. Lì è presente maggiormente la dimensione fantastica, più di qui, anche se nel presente romanzo, affiora il sospetto che lo stesso Cheviot abbia vissuto quelle esperienze, e che egli quindi non sia altro che una reincarnazione nel ventesimo secolo di quel Cheviot vissuto nel diciannovesimo. Ma anche in The Devil in Velvet, vi è un salto indietro nel passato, scaturito da un patto col diavolo, e quindi anche lì vi sono elementi fantastici. E anche in Fear Is the Same , viene percorsa la stessa traccia di immersione nel passato. Possiamo dire quindi che il salto nel passato, magari in soggetti che si trovano di botto a vivere esperienze nel passato avendo la coscienza di essere già vissuti, di aver attraversato gli stessi pericoli e aver conosciuto le stesse persone, sia uno degli escamotages più tipici di cui si serva Carr per legittimare una storia di detection nel passato.
Tuttavia al di là della dimensione della detection e dell’invenzione pura, al loro massimo,  Fire, Burn! è un giallo storico di notevolissima fattura: di tale levatura che a ben donde conquistò nel 1969  il Grand Prix de Littérature Policière a pari merito con un altro grandissimo romanzo storico, in cui elementi fantastici non ve ne erano ma abbondava la ricerca storica: The Daughter of Time, di Josephine Tey.
Un’ ultima cosa: il titolo italiano ancora una volta non c’entra nulla col romanzo.
Il titolo in inglese, Fire, Burn! fa esplicito riferimento ad una caratteristica dello sesso Cheviot, cioè la sua impetuosità e temerarietà non mediata dalla ponderazione del rischio. Maine, uno dei due Commissari di Scotland Yard, colui che alcune pagine prima aveva pubblicamente accusato proprio Cheviot di essere l’amante segreto di Renfrew e per questo aveva fato sparire la pistola, nelle ultimissime pagine del romanzo, dopo che Bulmer ha annunciato la morte di Cheviot ad opera di Hogben e il fatto che lui lo abbia vendicato uccidendo a sua volta Hogben, rinfaccia a Cheviot il fatto che l’espressione che egli usava riferendosi a Margaret Renfrew, invece si adattasse molto di più proprio a lui: Fiamma, brucia! Bolli, calderone!
Fire, Burn! del resto non è altro che la metà di un celebre verso del Macbeth di Shakespeare (Quarto atto , Scena I), declamato dalle 3 sorelle streghe : Fire, Burn and Cauldron Bubble

PIETRO DE PALMA

martedì 10 gennaio 2017

John Dickson Carr : Un colpo di pistola (The Witch of The Low Tide, 1961) – trad. A.M. Francavilla – I Classici del Giallo Mondadori N. 700 del 1993

Romanzo poco conosciuto, se non addirittura sconosciuto, è invero uno dei più affascinanti di Carr.
Pubblicato nel 1961, cioè negli stessi anni di In Spite of Thunder e di The Demoniacs, sembrerebbe per la collocazione temporale, un Giallo storico. Tuttavia, collocare un romanzo 50 anni prima del suo tempo, a me non sembra scrivere un romanzo storico; semmai è un tentativo intelligente di spostare indietro il tempo e poter descrivere minutamente la società: non solo le costumanze, ma anche l’abbigliamento, l’architettura, le scoperte, le automobili, le prime forniture di elettricità per la casa. Descrizioni minute così accurate da lasciare a bocca aperta e nello stesso tempo capaci di far calare il lettore nell’atmosfera dei fatti narrati.
La vicenda, inoltre, nasconde varie situazioni iumpossibili.
David Garth è un famoso medico, neurologo. Ha un segretario, Michael Fielding, ed una fidanzata con cui è in procinto di sposarsi (Betty Calder). Suoi amici sono Vincent e Marion Bostwick, tra loro sposati. Betty Calder, bella ragazza già vedova di un governatore della Giamaica, molto più anziano di lei, ha un passato un po’ oscuro: faceva la ballerina quando fu notata dal suo ex marito che le propose di sposarlo. Ha 3 sorelle ed una di loro, Glynis, pure ballerina, per guadagnare molto di più non ha esitato a spogliarsi, ad accalappiare uomini per poi ricattarli. E c’è chi, per sfuggire al disonore, s’è pure sparato! Ora senza soldi, e ricercata dalla polizia, non ha esitato a farsi passare per la sorella: per di più, recatasi da lei, non ha esitato a ricattarla. E’ quanto rivela Betty agli amici di David e a David stesso, a casa di Marion dove la governante del suo tutore, il colonnello Selby, Lady Montague, è stata aggredita da una donna, vestita come Betty, da lei apostrofata più volte “puttana”, che ha tentato di strangolarla, quasi riuscendovi. Interrotta per intervento di Marion stessa, a suo dire, è fuggita attraverso la cantina, dove una uscita secondaria comunica con l’esterno: questo perchè davanti all’uscita principale stava sostando in quel momento un poliziotto. Però, quando Garth la esamina, la trova chiusa da due pesanti chiavistelli i cui occhielli sono tirati fino in fondo.
Le possibilità che mette in risalto la Camera Chiusa (perchè è quella che è) sono:
  1. Che Garth abbia mentito (avremmo il caso di Carr che copia la Christie)
  2. Che Garth abbia detto la verità.
In questo caso avremmo:
  1. che Marion ha mentito dicendo che l’attentatrice è fuggita da lì
  2. che Marion ha mentito affermando che vi era una seconda persona che ha tentato di uccidere Lady Montague
  3. che la presunta strangolatrice sia svanita, riuscendo ad uscire da una cantina le cui finestrelle sono sbarrate dall’interno e sbarrata è anche l’unica uscita verso l’esterno.
Al primo enigma insolubile – uscita dalla cantina sbarrata dall’interno da due pesanti chiavistelli e finestrelle chiuse dall’interno – segue un secondo altrettanto ostico ad essere decifrato coi mezzi dell’intelletto: Betty Calder, dopo aver litigato in maniera plateale con la sorella Glynis che l’ha raggiunta nella sua villetta sul mare, e dopo essersi allontanata in bicicletta, quando si presenta all’appuntamento che le ha dato Garth alle 18 , lo trova già nel padiglione che si affaccia sulla spiaggia. Garth ha però intanto fatto una scoperta terribile, dopo essersi fatto accompagnare alla villetta e al padiglione sul mare, dal nipote in auto: ha trovato Glynis strangolata, col corpo ancora tiepido, ed il tè, contenuto in una teiera ancora bollente (?). La ragione vorrebbe che l’omicida fosse ancora presente sul luogo del delitto, visto che le sole impronte sulla sabbia sono solo quelle prodotte da Garth, quando si è avvicinato al padiglione sul mare, e da Betty quando l’ha raggiunto. Garth ha stabilito trattarsi della sorella di Beth, in quanto le si è inginocchiato davanti e l’ha voltata, e dopo ha rimesso le cose apposta e poi senza volontà ha provocato la rottura di una tazza di porcellana. Come ha fatto l’assassino a strangolarla lì, se impronte non ve ne sono, e se l’unica persona che sia stata vista allontanarsi verso il padiglione era la stessa Glynis che indossava un costume da bagno di Betty, origine di una ennesima litigata fra le due sorelle?
Pur avendo controllato l’attendibilità delle dichiarazioni di Betty circa l’identità della sorella, e avendole confermate, la polizia non è sicura che l’assassino di Glynis non sia stato commesso da Betty, magari con il favoreggiamento di Garth.
Nella persona di Abbot Cullingford, vicecapo del CID, si fa strada la proposta a Garth, da lui conosciuto precedentemente, che in cambio dell’accettazione delle versioni proposte, lui riveli tutto quello che sa a riguardo del tentato strangolamento della governante di Marion e del perchè lui non creda alla di lei versione. Ma Garth è un medico integerrimo, che avendo avuto in cura Marion, non vuole rivelare cose che possano danneggiarla, oltre che per amicizia. Ma il rifiuto di Garth, provoca il risentimento del vicecapo del CID, che gli toglie il suo appoggio e lo lascia nelle mani dell’Ispettore Twigg, che non lo può vedere.
David crede di sapere chi possa essere l’assassino e che non è Betty; così come immagina che la storia raccontata da Marion sul tentato strangolamento, abbia delle falle; nonostante ciò è intenzionato a tenere fuori dal giudizio sia Marion e Betty, e la fatica diventa improba, perchè Marion, fidandosi della sua parola, tenta però in tutte le maniere di far accusare Betty, dato che le due sono incompatibili l’una all’altra: David in un drammatico facia a faccia nel quale vengono alla luce non meglio precisate abitudini sessuali di Marion con un uomo non meglio specificato, a Parigi, la mette a nudo e la costringe ad ammettere delle cose, che sono preda non solo delle sue orecchie ma anche di quelle di qualcuno di cui lui sente i passi e che è stato ad origliare alla porta.
A questo punto è Garth a ricercare Abbot, ed in nome della loro amicizia, gli chiede di concedergli 24 ore, perchè lui possa tendere una trappola all’assassino e consegnarlo alla polizia, chiedendo in cambio come le due donne vengano esentate dal testimoniar e e rivelare fatti “scandalosi” del loro passato. Intanto si appura che il giovane Fielding abbia conosciuto Glynis, e come egli sia scampato ad una aggressione nel Grotto, cioè nella sala biliardo, posta nelo seminterrato di un famoso albergo.
In un serrato finale, l’assassino si rivelerà dopo che proprio Garth gli avrà fatto capire di aver raggiunto la verità, ma sarà l?isepttore Twigg a indovinare come sia stata uccisa Glynis Stukeley e chi abbia confuso gli avvenimenti così da far intendere che il delitto fosse stato commesso nel padiglione, senza lasciare orme nella sabbia.
Innanzitutto ci troviamo dinanzi ad uno dei più grandi romanzi di Carr: si tratta di un autentico capolavoro! Divinamente scritto (le descrizioni, come ho accennato prima sono magnifiche: vedasi quella dell’Hotel, o addirittura quelle dell’abbigliamento dei soggetti coinvolti o anche dei passanti, e addirittura le descrizioni delle automobili! Carr, che si sa era abbastanza pignolo, quando si trattava di rievocare atmosfere che non gli appartenevano, documentandosi sui periodi e le vicende, deve aver fatto un intenso studio, non c’è che dire! In più d’una occasione pare quasi che egli le avesse vissute quelle atmosfere, che ci si fosse trovato a viverle: quasi un caso di reincarnazione che avrebbe potuto appassionare Paul Halter ( sempre che lui non ci abbia pensato).
Mi sono accorto di una cosa, di cui non mi ero mai accorto prima: un altro particolare stilistico di Carr. Quando vuole colpire con enfasi un certo particolare, un nome o un certo atteggiamento, Carr opera una cesura: fa riferimento a quello che vuole dire, poi si ferma e di solito descrive qualcosa (un caminetto per esempio con le fotografie di Betty e dei genitori di David, oppure un statua di dea o un candelabro con fiamme tremolanti o altro ancora) e subito dopo riprende da dove aveva lasciato, affermando con maggiore enfasi quando aveva prima detto. In un certo senso è sempre parte di quel meccanismo cosiddetto accrescitivo, che è presente in alcuni romanzi del primo periodo, per esempo It Walks By Night: per accrescere la tensione, si afferma qualcosa, poi ci si ferma e poi, quando si riprende il dialogo, accade qualcosa per cui quello che si era prima detto viene ingigantito, perchè magari si è cambiato il tono, che so la fontana che prima sembrava ridere in modo cristallino ora sembra farlo sinistramente o sogghignare, etc..
Mi piace sottolineare un altro particolare, anzi due: innanzitutto, la camera chiusa è ancora una volta frutto di una messinscena. Qui essa riguarda un dato spaziale ed uno temporale insieme: ricordatevi l’esemplificazione della Conferenza del dottor Fell sulle Camere Chiuse e quello che dice Leona in Nine Times Nine di Boucher a riguardo: si fa riferimento ad elementi spaziali (come una camera possa essere chiusa) e temporali (quando l’omicidio è stato compiuto prima, durante o dopo che la stanza fosse stata chiusa). Beh, in questo romanzo i due elementi vengono riuniti in un trucco veramente spettacolare: Carr in questo romanzo cerca in tutti i modi di mettere in bocca a Twigg e Garth Le mystère de la chambre jaune di Gaston Leroux, e in un certo senso questo suo romanzo può essere un omaggio. Ma…ci sono anche altre cose interessanti:
innanzitutto il detective che risolve l’arcano è Garth che è un neurologo, che ha letto le teorie sulla Psicanalisi di Freud (e qui Freud c’entra parecchio!), che è pero anche un autore di romanzi gialli, uno dei quali immagina che accada proprio quello che accade qui: è come se chiamato a risolvere il caso fosse un’estensione di Carr stesso, come se lui una volta tanto avesse detto: Ecco , lo risolvo io il caso! Costruendo un edificio assai complesso.;
in secondo luogo, se un romanzo c’è che possa essere preso ad esempio (non per la camera chiusa ma per il delitto impossibile) è Evil under the Sun di Agatha Christie, che mi sembra assai pertinente anche per il luogo utilizzato, una spiaggia;
in terzo luogo, il movente: è il ricatto, per qualche inconfessabile segreto. Qui c’entra la psicanalisi, e in realtà tutto ciò che nasce da un certo tipo di pulsione sessuale: si potrebbe quasi dire che questo sia il romanzo più attuale di Carr, ed uno dei più atipici: è molto raro trovare nei romanzi di Carr, allusioni a motivazioni di natura sessuale (mentre invece è molto più frequente in romanzi di Ellery Queen). Ma John Dickson Carr quando scrisse questo romanzo era andato via dall’Inghilterra, la patria del perbenismo,e quindi può essere che qualcosa l’abbia riguadagnato. Tuttavia il tema trattato è molto rognoso: la pedofilia. Un adulto che intrattiene rapporti sessuali con un’adolescente. Quello che è interessante notare è come Carr, un uomo, un conservatore, inquadrasse questa perturbazione di natura psichica e sessuale, non dalla prospettiva dalla quale siamo soliti noi, uomini del ventunesimo secolo, osservarla, cioè come una violenza dell’adulto nei confronti del minore, ma da quella tipica di quello scorcio temporale, cioè una perturbazione sempre di origine psicosessuale che interessasse un minore ed un adulto, ma in cui il minore  manifesta in un secondo tempo un certo potere sull’adulto: una sorta di parallelismo di quell’altro abietto atteggiamento per cui il carnefice diventa prigioniero della sua stessa vittima, secondo un meccanismo svelato già da Proust nella sua Recherche. Dobbiamo infatti ricordare che la Lolita di Nabokov è del 1955, e che quindi Carr può esser stato benissimo impressionato da quell’opera! L’omonimo film di Kubrick, invece, succede al romanzo di Carr, essendo del 1962 ;
il quarto particolare che mi sembra utile sottolineare, è come ancora una volta, il John Dickson Carr avanti negli anni, pur confezionando un problema assolutamete magnifico (il delitto nel padiglione), nel momento in cui prevede un doppio problema (la camera chiusa in cantina), finisce per concentrarsi su uno solo, finendo per dare dell’altro immediatamente la soluzione più semplice possibile, anche se qui è direttamente in relazione con la natura della vittima della seduzione pedofila che in un secondo tempo diventa l’arma con cui lei in certo senso tiene avvinto a lei, lui, reagendo poi entrambi, il primo autoaccusandosi, la seconda negando, dinanzi ad una terza persona che li ricatti. In una situazione del genere, magari in un romanzo più giovanile, oppure se l’avesse svolto Paul Halter, una volta proposto il problema, si sarebbe fatto in modo da dare una spiegazione in linea con la difficoltà dell’asserto.
Un’ultima cosa.
Ancora una volta, il titolo in italiano è ingannevole: Un colpo di pistola fa riferimento all’epilogo, ma non c’entra assolutamente con la Camera Chiusa che è l’anima del romanzo, mentre il titolo inglese la asseconda in maniera assai furba.

Pietro De Palma

mercoledì 4 gennaio 2017

Carter Dickson: Persone o cose ignote (Persons or Things Unknown, 1938) in Delitti di Natale, trad. Dario Pratesi, I Bassotti, Polillo, 2004



A 13 anni fa risale quella che io reputo una delle migliori raccolte di racconti in assoluto, proposte da Polillo: Delitti di Natale. Fu tale il successo di questa raccolta (7 edizioni) , che qualche anno dopo fu proposto un sequel dal titolo “Altri Delitti di Natale” che ebbe anche un discreto successo (3 edizioni).  E’ una riprova – se mai ce ne fosse bisogno – del fatto che  quando qualcuno ha le capacità e ha la voglia supportata dalla passione nel proporre qualcosa di valido, la fortuna e il supporto di chi riconosce le fatiche e anche gli investimenti, non mancano.
In questa raccolta furono raccolti molti celebri racconti: di questi, via analizzerò alcuni, sia in questo blog, sia nell’altro che ho aperto da poco.
In primis, parleremo di un racconto del meraviglioso John Dickson Carr, firmato con lo pseudonimo Carter Dickson: Persons or Things Unknown, 1938.
La genesi editoriale è piuttosto travagliata.  
La raccolta originale in cui è attualmente compreso The Department of Queer Complaints, originalmente comprendeva sette racconti:
The New Invisible Man
Footprint in the Sky
The Crime in Nobody's Room
Hot Money
Death in the Dressing Room
The Silver Curtain
Error at Daybreak
in quanto altri due racconti, che originalmente avrebbero dovuto farne parte, The Empty Flat e  William Wilson's Racket, furono espunti nell’edizione del 1941, riapparendo in un’altra collezione carriana The Man Who Explained Miracles del  1963. 
Oltre però ai sette racconti originali, della raccolta facevano parte anche quattro racconti di vario genere:
The Other Hangman
New Murders for Old
Persons or Things Unknown
Blind Man's Hood
Quando nel 1990 uscì ne Il Giallo Mondadori l’antologia “Dipartimento Casi Bizzarri”, si apprestarono per essa i nove racconti originali del Colonello March, riuniti nell’occasione, che avevano dato il nome alla raccolta originale; tuttavia da essa furono espunti invece i quattro racconti di genere diverso, forse  per caratterizzare il volumetto con una serie ben precisa. Tuttavia, quando si procedette nel 2001 a realizzare il Supergiallo La porta sul delitto, unificando in esso sia la collezione nota sotto il nome “La porta sull’abisso” (The Door to Doom) pubblicata nel 1986 nella serie Altri misteri e andata esaurita (e ricercata dai collezionisti), sia quella Department of Queer Complaints, in quell’occasione si sarebbero dovuti recuperare i quattro racconti prima eliminati, ma invece essi restarono fuori dall’edizione. 
Conclusione ? 
I quattro racconti, chi voglia leggerli, è costretto a trovarli in quattro edizioni diverse:
Il cappuccio del cieco, traduzione Paola Campioli, Delitti di Natale (brossura), Ed. Riuniti, 1995

Persone o Cose Sconosciute, traduzione Dario Pratesi, Delitti di Natale (brossura), I Bassotti, Polillo, 2004

L'altro giustiziere, traduzione Marcella Dalla Torre, Ellery Queen Inverno Giallo, Mondadori, 1975 o I pericolosi anni trenta, Supergiallo Mondadori, 1997

L'orrore dei Marvell, traduzione Roberto Sonaglia , in: Ellery Qeen Estate Gialla , 1985
Il racconto che esaminiamo oggi fa parte quindi dei quattro racconti eliminati. Perché nel 2001 sia accaduto non lo so: ritengo che non si volesse spendere altri soldi commissionando la traduzione dei quattro racconti restanti,  avendo già le due raccolte approntate (chi mai in Italia sarebbe andato a controllare se nell’uovo ci fosse il pelo?).
E’ un racconto ambientato nel passato, senza personaggio fisso, del filone che attinge ad un falso soprannaturale (ricordiamoci che poi esistono romanzi e racconti di Carr che invece insistono nell’altro filone, quello del soprannaturale: benchè siano sempre gialli, sconfinano nel Fantastico): sono racconti in cui vi sono maledizioni, fantasmi, demoni e quant’altro e che invece poi si risolvono in storie spiegabili razionalmente. Nel nostro caso vi è una entità maligna.
Una grande casa, nei pressi di un bosco, nel Sussex, viene venduta e il nuovo padrone di casa con un amico storico, ed un altro vicecomandante di polizia metropolitana, vi si riuniscono con le rispettive mogli per Natale. In occasione della sera di Natale, il padrone di casa racconta una storia accaduta in quella casa, per cui – secondo alcune testimonianze e cronache risalenti al 1660 –una entità maligna avrebbe ucciso un uomo con tredici pugnalate senza che aggressore né tantomeno l’arma venissero trovati.
In sostanza, tre secoli prima, all’epoca della restaurazione, lo squirt del villaggio aveva promesso la propria figlia, Mary, ad un possidente, divenuto ricco in seguito ad acquisizioni durante l’era di Cromwell, tale Richard Oakley. Quando già i due  stavano per approntare seriamente le cose per sposarsi, era apparso nel villaggio un damerino, Gerard Vanning, ricco e con tanto di futuro titolo, che, avendo messo i propri beni al servizio della Corona affinchè ritornasse al potere, ora che v’era ritornata, aspettava di ottenere i privilegi che gli sarebbero stati dovuti. Pur essendo antipatico a parecchi e persino allo squirt e a sua moglie, figurarsi alla figlia, man mano aveva conquistato terreno nei confronti della ragazza, mentre l’altro stava perdendolo: sentiva il disagio per un divario di classe sociale, cultura e..anche ricchezza. Oakley infatti none era più sicuro, ora che era ritornato al potere il re (Carlo II), di mantenere le sue terre, per cui si sarebbe impoverito.
Accadde però un giorno un fatto che avrebbe scombussolato di nuovo le carte in tavola: Oakley in seguito ad una pronuncia dello stato tendente a legalizzare tutto quanto successo fino a quel momento, mantenne le sue proprietà, ridiventando un partito appetibile per la figlia dello Squirt. Così accade che una sera, dopo la cena, mentre lo Squirt e sua moglie si erano appisolati, e Oakley e la fidanzata erano su, nell’ultima stanza in cima alle scale, La Stanzetta delle signore, dove esse si spogliavano, arredata con una credenza, che esponeva una brocca dell’acqua, pochi piatti, un tavolo e poche sedie, arrivasse Vanning, tutto spaventato, il quale ordinò ai servi di armarsi di bastone e seguirlo per le scale: era lì perché intendeva supplicare Oakley, che aveva maturato una fama anche sinistra, per certe sue passeggiate nel bosco di notte, di togliergli la fattura e comandare ad una entità maligna che si era annidata nel suo armadio, di andare via.
Allorquando era salito in camera dove erano i due, improvvisamente la porta si era chiusa, la luce si era spenta, si erano sentiti i rumori di una colluttazione, i rantoli, l’odore del sangue, le urla della ragazza e poii quando finalmente gli occupanti della casa, servitori in testa, avevano sfondato la porta della camera, si erano ritrovati dinanzi ad uno spettacolo agghiacciante: Vanning era appoggiato alla parete, seduto sul pavimento con una espressione terrorizzata, la ragazza aveva segni di sangue sulla gonna, e infine Oakley giaceva per terra in un mare di sangue. Agli occupanti della casa lì per lì era venuto in mente che unico responsabile fosse stato Vanning e lo avrebbero trafitto se qualcuno non avesse rimesso tutto al coroner, non essendosi trovata l’arma del delitto: se fosse stato Vanning, giacchè era stato trovato dentro, ma anche l’arma vi si sarebbe dovuta trovare. E invece nulla.
Con la ragazza svenuta tra le braccia, nonostante gli altri avessero pensato ad altro rimedio, Vanning la portò dabbasso e la rianimò dopo averle versato tra le labbra qualche goccia di brandy.
Per di più, avendo sprangato la porta e non volendo alcuno dei presenti ritornare in quella stanza, si era offerto Vanning, uscendo però da essa correndo via con lo sguardo terrorizzato però. E quindi le ipotesi contro Vanning erano cadute. Per di più la fama sinistra di Oakley, quella figura che alcuni giuravano di aver attraversato il villaggio, avevano addossato al povero Oakley la fama di stregone. Ben presto venne dimenticato e qualche tempo Vanning e Mary si sposarono. Col tempo nessuno avrebbe potuto mettere in forse la bontà di quel matrimonio, perché i due andavano d’accordo e Vanning stesso era diventato baronetto e ricco.
Tuttavia una sera, dopo che si era sbronzato, molti anni dopo il primo assassinio, anch’egli fu ucciso, in sostanza sfasciando una finestra con la sua testa, e facendo così che morisse dissanguato, sgozzato.
Alla fine della storia, sia il poliziotto che il padrone di casa, concordano nella stessa soluzione che spiega quanto accaduto tre secoli prima: chi avesse ucciso Oakley, chi Vanning, e quale arma invisibile sarebbe stata utilizzata nel primo delitto tanto da non essere rinvenuta, pur dovendo essere un lungo coltello con una lama larga due dita e mezzo.
Dico subito che ci troviamo dinanzi ad un altro straordinario racconto di Carr: non è  innanzitutto un whodunnit, ma un howdunnit. Non è whodunnit perché è chiaro chi possa essere stato ad uccidere e perché, in entrambe le occasioni (e una entità maligna è da escludere, nonostante le conclusioni del coroner in occasione della morte di Oakley avessero seguito questa falsa pista). In questo il racconto in questione è molto simile nella struttura, howdunnit e non whodunnit – poche persone sospettabili e quindi in sostanza sicurezza di chi possa essere stato – ad altro racconto, sempre a firma Carter Dickson, La casa in Goblin Wood (1947).  Come in quel caso sussiste però una impossibilità manifesta che tinge la vicenda di un velo soprannaturale: in Goblin Wood era stata la sparizione della vittima, nel nostro caso è la sparizione dell’arma. Ci sono però delle differenze: lì la vicenda presenta una altalenanza di situazioni prima comiche poi altamente drammatiche, qui una conduzione che è dall’inizio alla fine avvolta da una cappa di terrore puro, che si stempera, come nella catarsi alla fine della tragedia, nel finale rivelatore. E’ una maniera di trattare il racconto che Carr conduce in parecchi esempi della sua produzione: lo troviamo tanto per dirne una anche in Hag’s Nook(1933:  un fatto attinente al passato, che attiene a qualcosa di oscuro, viene raccontato nel presente:  qualcosa che ad esso è legato, accadrà ancora.
Per quanto attiene alla soluzione, che è sensazionale, devo purtuttavia ricordare che una tale soluzione  fu usata e adattata a seconda dei luoghi e delle occasioni: infatti, la stessa soluzione, pur presentando differenze minime, viene utilizzata con effetti veramente sorprendenti, anche in un radiodramma successivo, del 1944, The Dragon in the Pool, contenuto nella raccolta THE DEAD SLEEP LIGHTLY (1983), laddove l’arma usata è verosimilmente un pugnale, solo che di pugnali non ve n’è neanch l’ombra.
Non dico qui quale sia l’arma e dove  si sarebbe trovata se si fosse fatto un certo ragionamento(tenuto conto che si setacciò la stanza senza trovare nulla, e che alle due persone al di dentro della stanza, Mary e Vanning, non era  stato trovato addosso alcunchè di compromettente).  Dico solo che anche Carr risponde pienamente a quel detto secondo cui, se vuoi nascondere qualcosa così bene da non farla ritrovare devi saperla nascondere mettendola sotto lo sguardo di chiunque. E gioca sempre ad armi pari col lettore fornendo infatti tutti gli indizi: tra gli altri dice con nonchalance una cosa, che il lettore esamina non nel suo giusto valore, proprio perché Carr abilmente lo dissimula, quando afferma cosa accadde a Mary, la promessa sposa , dopo la morte di Oakley. Se si esaminasse con occhio attento quella sezione, ma la si dovrebbe esaminare almeno con l’occhio di Carr, si troverebbe l’indizio centrale.
Ovviamente il lettore medio non è Carr. E quindi quando viene risolta la questione, ognuno di noi si batte la fronte con la mano e dice: Come ho fatto a non pensarci anch’io?
Perché noi non siamo John Dickson Carr, Il Magnifico. 

Pietro De Palma