martedì 31 gennaio 2017

John Dickson Carr : L'Orrore dei Marvell (New Murders for Old, 1939) - trad. Roberto Sonaglia, in "Ellery Queen presenta" Estate Gialla, Mondadori, 1985,



Nell’ambito dei racconti carriani, ce ne sono alcuni conosciuti, tipo La Casa in Goblin Wood, direi anche meritatamente, in quanto trattasi di assoluto capolavoro, e altri meno, tipo Il Problema sbagliato, oppure La Porta sull’Abisso, o ancor di più L’Orrore dei Marvell, un racconto che pochissimi hanno letto in Italia, pubblicato tanti anni fa su una Estate Gialla “Ellery Qeen presenta”  del 1985.
Il racconto dal doppio titolo originale - infatti il racconto, il cui titolo originale è “New Murders for Old”, fu ristampato in altra occasione col titolo  “The One Real Horror”. La prima edizione è quella inglese, col primo titolo citato, apparsa nella rivista “Illustrated London News” nel 1939 e poi ristampata nella raccolta “Department of Queer Complaints” l’anno dopo (precisazioni fornitemi, a domanda, da Mauro Boncompagni) -  è un racconto oserei dire superbo, uno dei rari casi in Carr in cui un doppio finale, lascia aperta la porta all’evento fantastico e non reale, in aggiunta e in contrapposizione a quello più evidentemente logico, tuttavia venato da dubbi.
La vicenda è quella dell’erede di una catena di hotel di lusso andati in malora, fondati dal vecchio Jim Marvell. Ereditati dal nipote Anthony, giovane votato ad una brillante carriera di matematico e costretto invece dalle ultime volontà dello zio che lo amava, ad occuparsi dei suoi hotel, invece di venderli e di ricavarci il più possibile, come avrebbe fatto il fratello Stephen, chirurgo, vi si applica, “mente e corpo” in maniera indefessa, cosicchè dopo due anni di durissimo lavoro ed abnegazione, rischiando l’esaurimento nervoso, riesce non solo a salvarli dal fallimento ma addirittura a portarli ad un clamoroso attivo, a farli diventare meta di tutti i ricconi desiderosi di una vacanza lussuosa.
Ma i contraccolpi sono di natura nervosa. E così suo malgrado, accetta di rinunciare anche alla compagnia della sua fidanzata Judith Gates, una ragazza di umili origini, e di fare una crociera che lo terrà lontano da casa sei mesi.
Tuttavia appena imbarcato, cominciano le sue disavventure: entrato in cabina, non trova più i bagagli che aveva lasciato assieme al fratello Stephen. Denunciata la cosa al commissario di bordo, si sente rispondere che è lui proprio ad aver dato l’ordine poco prima di sbarcare i suoi bagagli, direttamente, allo stesso commissario. Tony non sa che pesci prendere e comincia a dubitare di sé, della propria lucidità mentale. Ordina di andare a riprendere i bagagli, ma poi quando rientra in cabina, trova sul materasso del letto una pistola con i proiettili nel caricatore. E’ sempre più confuso, ma invece di buttarla via dall’oblò in mare, la prende con sé. Dubita persino che sia effettivamente la sua. Ed è sempre più persuaso di essere lui stesso la causa dei suoi guai: una parte cosciente è perseguitata da una incosciente. Non accade più nulla una volta che il bastimento ha lasciato il porto, tranne una cosa che lo fa dubitare delle sue capacità mentali: ha l’impressione in più d’una occasione che il vecchio zio Jim lo spii, intabarrato nel suo vecchio cappotto con un bavero antiquato di pelliccia: il fatto è che Jim Marvell è morto e sepolto.
Dopo circa sei mesi di assenza, perfettamente ristabilito e sentendosi nel pieno delle sue facoltà mentali, decide di rientrare a casa. Ma ecco che nel treno che lo sta riportando indietro, nello scompartimento trova un giornale del giorno prima che parla della sua morte per suicidio. Riavutosi dalla sorpresa, scopre con apprensione che non può trattarsi di un fake: l’articolo è troppo circostanziato, le persone sono quelle della sua famiglia, i luoghi sono quelli della casa avita. Tony non sa che pesci prendere, comincia persino a dubitare di essere lui Tony Marvell. E intanto c’è qualcuno nel treno che non lo perde d’occhio, una persona con un bavero antiquato di pelliccia.
Tony cerca di prendere il taxi, ed ecco quel tale è dietro di lui. Nevica. Il taxi arriverebbe a destinazione e soprattutto lui riuscirebbe a seminare una buona volta quel visitatore indesiderato, ma il taxi ha un incidente avendo dovuto scansare all’ultimo momento un uomo coperto da un pesante cappotto con un bavero di pelliccia.
Tony scende dall’auto ed ecco, il suo accompagnatore indesiderato è dietro di lui. Accelera il passo e quello idem. Tony corre, ma anche quello dietro di lui. Tony ha le chiavi di casa, sta per aprire il portone ma gli sfuggono. Quando vi riesce, quella figura vagamente familiare è alle sue spalle. Colto dal terrore cerca di reagire cercando di impugnare la pistola ma quella cade. Si rifugia al piano superiore ed entra in camera sua. Accende le luci e si accorge che qualcuno giace nel suo letto, coperto da un lenzuolo. Vince la paura, scopre il lenzuolo e si ritrova un altro Tony Marvell.
Sconvolto si volta e vede suo fratello Stephen che gli parla ma mentre ciò avviene ecco che la figura che lo perseguitava è lì. Stephen urla, strepiti, una mano, quella dell’essere chiude a chiave Tony in camera sua in compagnia del suo doppio, e poi, dopo ancora urla di soccorso da parte di Stephen, dopo che la governante è accorsa in tempo per vedere la porta della camera di Stephen chiudersi, ecco un colpo di pistola: Stephen è ritrovato ucciso con un colpo di pistola alla tempia.
E l’assassino ? Volatilizzato: le finestre erano sprangate. Nessuno era presente dentro quando hanno aperto la porta, e fuori c’era la governante che giura che nessuno, proprio nessuno sia entrato. A testimoniare che sarebbe potuto esserci qualcuno, solo una vago odore di pelliccia ammuffita.
Il racconto termina così come era iniziato: il sovrintendente del CID ha raccontato la storia di Tony alla fidanzata Judith. Tony è libero da ogni sospetto e lo deve soprattutto al fatto di essere stato chiuso a chiave in camera sua. Stephen è morto.  Suicida, è il verdetto finale. Nessuno c’era in quella stanza e nessuno poteva esserne uscito. Ma perché mai si sarebbe ucciso? E chi era il doppio di Tony? Ma era veramente Tony, Tony Marvell?
Straordinario racconto di Carr, direi un autentico capolavoro, assolutamente sconosciuto in Italia ( o quasi ), lo sarà ancora per parecchi da informazioni acquisite per via personale. Direi che assieme a The Door To Doom e Blind Man’s Hood compone una triade veramente straordinaria, di racconti con tinte soprannaturali che sconfinano abbondantemente nella letteratura fantastica.

Già nei primi righi si comincia ad intuire l’orrore della storia: Sir Heargraves, Sovrintendente del CID, sta raccontando una storia ad un’altra persona e stanno in una camera: l’identità della persona è sconosciuta e verrà rivelata solo alla fine, perché se venisse rivelata subito, verrebbe tolto un po’ di suspence alla vicenda. In più Sir Hargraves allude ad una “cosa” che era lì sul letto. Badate bene: sta parlando di una “cosa”. Poi Carr scrive che l’aria aveva un odore vagamente dolciastro. Dolciastro! Quando in un romanzo poliziesco, un mystery, si usa quest’accezione, il rimando è sempre alla decomposizione di un corpo: la putrefazione da origine ad effluvi nauseabondi e dolciastri.
Il modo in cui Carr introduce la storia ha in sé già il tocco del genio: fuori fa freddo e nevica, ma dentro l’atmosfera è soffocante, e si sente ancora un che di dolciastro. Quando parla di una cosa sul letto, a me fa venire alla mente un romanzo di Talbot. Sicuramente questo chiamare il corpo sul letto “cosa”, è un rimando diretto a quell’altra “cosa”, sul letto di un’altra stanza da letto, in The Hangman's Handyman.
Il romanzo di Hake Talbot è del 1942. Talbot e Carr erano amici: è cosa risaputa. A me pare per lo meno strano, e lo sottolineo, che nel romanzo di Talbot compaiano dei caratteri presenti in questo racconto che è precedente.
Cosa voglio dire? Che potrebbe anche essere che Talbot abbia preso delle cose da Carr, da questo Carr, nonostante egli avesse affermato che il suo principale ispiratore era stato il Melville Davisson Post delle storie di Zio Abner: in entrambi i testi si parla di un omicidio impossibile, in ambedue i casi vi entra una situazione soprannaturale (solo che in Carr potrebbe essere vera, in Talbot si dimostra che non lo fosse in realtà), in ambedue i casi vi è un doppio cioè un sosia (nel racconto di Carr è vero, nel romanzo di Talbot no), in ambedue i casi vi è il ricorso al tema della putrefazione dei corpi post mortem (in Talbot è la causa del problema: una maledizione volta a far marcire un corpo in breve tempo; in Carr l’effetto: il doppio si è ucciso qualche giorno prima); in ambedue i casi si parla di una “cosa” adagiata sul letto e coperta dal lenzuolo (in Carr si parla di cosa, termine usato anche da Talbot; Talbot aggiunge che sembrava  un “lumacone”).
Ma Carr a sua volta mi sembra che citi nell’asfissiante pedinamento di Anthony Marvel da parte del supposto zio Jim morto, un racconto di Joseph Le Fanu, in cui un uomo viene marcato stretto dalla sua ombra, che per lui è sinonimo di presagio di morte. Anche nel racconto di Carr,  la marcatura stretta della misteriosa figura in cappotto dal bavero di pelliccia antiquato sembrerebbe essere un presagio, o almeno un’espressione di un potere malefico. Invece, Carr rivoluziona il tutto, perché se Tony teme quel pedinamento perché pensa che voglia in qualche modo attentare alla sua vita, in realtà la figura vuole solo salvarlo. Zio Jim lo amava e non avrebbe quindi neanche da morto voluto la sua morte. Invece è come se la sua asfissiante presenza fosse l’unica mossa per garantire a Tony di restare in vita: infatti egli è stato già vittima, non sapendolo, di un tentativo di “delitto perfetto” non riuscito solo perché è stato scelto un assassino inadatto al ruolo perché incapace di uccidere.
Sarebbe dovuto essere un omicidio perfetto (Tony Marvell sale sulla nave e poi sparisce, e al suo posto si materializza un altro Tony Marvell esattamente uguale a lui, come sarebbe stato un delitto perfetto se “La maschera di ferro” si fosse sostituito a Luigi XIV, condannandolo al posto suo ad una prigionia avita nella Bastiglia). E invece no. Mentre quello di Stephen se non si crede alla teoria del suicidio (per quale motivo avrebbe gridato e per quale motivo avrebbe chiuso a chiave la porta della camera da letto di Tony dall’esterno, perché sicuramente la governante non l’ha fatto?), è sicuramente un delitto perfetto, compiuto però da un morto vivente, dallo zio svegliatosi dal sonno eterno.
Devo dire che la traduzione di Roberto Sonaglia, un antropologo che Mauro conobbe e presentò a Gian Franco Orsi, in quanto sfegatato appassionato di Carr, è magnifica. Lui dice di aver tratto giovamento leggendo le traduzioni di Maria Antonietta Francavilla, che erano sospese tra il divertito e il drammatico dei testi di Carr. A me francamente invece quel suo modo di tradurre, molto nero, lo avvicina più ai traduttori di un tempo, per esempio Laura Grimaldi o Rossana De Michele. 

Proprio Roberto Sonaglia, mi da modo di sottolineare un altro carattere di questo racconto che risiede oltre che nel suo avere un doppio finale anche soprannaturale, anche nell’essere un racconto di genere Gotico. Sonaglia, a questo proposito, scrisse un articolo proprio sul Gotico in Carr, pubblicato - in appendice al G.M. 1821 del 1983, in cui era stato pubblicato l’inedito di Carr He Wouldn’t Kill Patience – assieme a due articoli di Boncompagni e ad uno di Lippi. Ne riporto un breve estratto che si applica anche al racconto in questione:
“Carr fa anche di più; proponendo una particolare dimensione del misterioso, a suo tempo sviluppata da Gaston Leroux, egli gioca addirittura sull'esistenza/inesistenza del soprannaturale, artificio decisamente più adatto alle nostre menti smaliziate che sorridono idealmente dei fantasmi e, tuttavia, non sanno ancora decidere se credere o meno ad una realtà metafisica. Questo gioco elegante, come nei neogotici, presenta tutti i sintomi di un biofilo gusto estetico, ripercorrendo il cammino tracciato dalla ghost story classica dove lo spirito, con la sua incorporeità, sposta già l'indice dal carnale all'impalpabile, dall'orrore al mistero.”
Il pensiero di Roberto  è chiaramente condivisibile, ed è applicabile – anche per quello che ho detto –  quando per esempio si insinua che la figura che si nasconde dietro una pianta sul transatlantico, sia il vecchio Jim Marvel, o meglio il suo fantasma, indicato da un particolare, il collo di pelliccia antiquato del cappotto che usava il vecchio Jim; o quando questa figura si insinua che sia presente sul treno, che segua Tony fino al taxi che lo condurrà a casa, che sia quella che faccia sbandare il taxi perché Tony arrivi a casa non subito in modo che lui, il morto vivente lo possa tallonare, appropriarsi della pistola e poi uccidere. Ma quell’artificio di cui si parla , cioè l’esistenza/inesistenza del soprannaturale che è il quid poi del “genere fantastico” perchè genera una sorta di disorientamento nel lettore, lo abbiamo quando Sir Hargraves parla con Judith a pag.217:
Judith parlò dall’oscurità oltre il fuoco a gas.
"-Questa persona che seguiva Tony, non mi starete dicendo che era…insomma, era…
-Era cosa?
-Morta, completò Judith.
-Non so chi fosse, rispose Heargraves, guardandola fermamente. –Tranne che sembrava qualcuno con un collo di pelliccia sul cappotto."
Ancora di più, con il dialogo con cui si conclude il racconto: anche qui c’è questo gioco a rimpiattino tra l’adombrare il soprannaturale e il negarlo:
"-Ma è assurdo! – gridò Judith. – Stephen non mi piaceva; ho sempre saputo che odiava Tony; ma non era tipo da suicidarsi nemmeno se fosse stato scoperto. Vi rendete conto che non avete chiarito l’unico vero orrore? Devo saperlo. Voglio dire, devo sapere se voi pensate quello che penso io.
“Chi era l’uomo con il collo di pelliccia marrone? Chi ha seguito Tony fino a casa quella notte? Chi gli stava alle costole..? Chi era il suo protettore? Chi ha sparato a Stephen per vendetta?
Sir Charles Hargraves abbassò lo sguardo sul fuoco crepitante, il volto corrugato in un’espressione indecifrabile. La sua mente racchiudeva molti segreti. Era pronto a custodire anche questo, ora che si erano capiti.
-Ditemelo voi- rispose."
Ma perché uccidere Stephen se non si è ucciso ?
Qui gladio ferit gladio perit.
Tuttavia il racconto oltre ai caratteri gotico e soprannaturale che può accadere siano complementari (per esempio la vecchia dimora austera, buia, con rumori e scricchiolii, e uno spettro o comunque un morto vivennte,  sono due soggetti chiaramente abbinabili), ha anche quello fantastico. Infatti il modo come lascia al lettore, percorribile alternativamente, la via dell’omicidio impossibile messo in atto da un essere che entra nella camera e poi vi svanisce letteralmente senza lasciare traccia oppure quello del suicidio altrettanto poco probabile conoscendo la vittima (rintracciabile per esempio negli altri due racconti citati  e nel romanzo The Burning Court), fa sì che il lettore venga interessato da quel tipo di straniamento di cui parla Todorov nel suo saggio sul fantastico:
«Il fantastico occupa il lasso di tempo di questa incertezza: non appena si è scelta l'una o l'altra risposta, si abbandona la sfera del fantastico per entrare in quella di un genere simile, lo strano o il meraviglioso. Il fantastico è l'esitazione provata da un essere che conosce soltanto le leggi naturali, di fronte a un avvenimento apparentemente soprannaturale».


 Pietro De Palma

2 commenti:

  1. Pietro hai un profilo FB?
    Vorrei aggiungere il tuo sapere a discussioni di gruppo che spesso facciamo in pagina a tema.

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