giovedì 23 febbraio 2017

Soji Shimada : The Locked House of Pythagoras (P no Misshitsu, 2011) - Trad. Yuko Shimada/John Pugmire - EQMM Agosto 2013



Anni fa Luca Conti, che ora è Direttore Editoriale del magazine Musica Jazz, si occupava di traduzioni dall’americano, occupandosi di Crime Fiction Contemporanea (Ellroy, Lansdale, Bazell, Crumley, Sallis, Ellmore Leonard, etc..) per varie case editrici. Una volta che ci sentimmo per telefono, mi disse che lui era entrato in Giunti ed era diventato un consulente, e se le cose fossero andate in un certo modo, avrebbe anche fatto tradurre certe cose che mi erano care, e che lui aveva già letto in inglese, tra cui per esempio The Tokyo Zodiac Murders, di Soji Shimada. Poi la sua esperienza finì in un certo modo, e così non abbiamo più visto il romanzo di Shimada.

Qualche giorno fa ho potuto, tramite un amico, leggere un racconto che Shimada ha scritto e che è stato pubblicato su EQMM quattro anni fa, di cui parlo oggi. Come anticipato nell’annuncio di qualche giorno fa, i miei lettori dovranno fare affidamento sulla mia analisi perché, a meno di non procurarsi la copia di EQMM di 4 anni fa, e di non leggerla in inglese, non potrebbero mai sapere nulla di Shimada. La mia analisi viene pertanto anche pubblicata allo scopo di creare un bacino di lettori che possa sollecitare in futuro la pubblicazione di opere di autori ancora colpevolmente ignorati in Italia.
Il racconto in questione si intitola The Locked House of Pythagoras
Eriko è un ragazzo. Sta a scuola e sta togliendo dall’aula una serie di cose inutili tra cui dei manifesti. Incontra un altro ragazzo che è il figlio di Tomitaru Tsuchida, un famoso pittore cui è stato affidato il compito di selezionare una serie di opere effettuate da allievi di scuola elementare e media, e che è stato vittima di un cruento omicidio qualche giorno prima, assieme alla sua amante Kyoko Amagi. Eriko si stupisce un po’ per la richiesta di un foglio di carta velina da usare per creare un copricapo, però non troppo poi, giacchè il ragazzo e la madre sono rimasti poveri giacchè il padre non passava gli alimenti alla ex moglie e al figlio; anche per tutto questo si ricorda il giorno dopo quando incontra il suo amico Kiyoshi Mitarai, che ha concorso anch’egli alla selezione.
Del resto, per chi vive in quella scuola, l’omicidio del pittore incaricato della selezione delle opere, tiene banco: è stato ucciso nella sua casa assieme all’amante, solo che la stanza dove son stati trovati i corpi era chiusa dall’interno e la casa pure, intorno alla casa c’erano solo impronte che la circondavano ma nessuna che entrasse o uscisse, nel terreno bagnato fradicio per la continua pioggia. I due corpi erano stati trafitti da numerose pugnalate che avevano provocato un vero lago di sangue. In un primo tempo si era supposto a caldo che Tsuchida avesse ucciso l’amante e poi si fosse ucciso, ma, sia il numero delle coltellate che lo avevano raggiunto, tutte mortali, sia il fatto che l’arma non fosse stata trovata assieme alle vittime, aveva escluso l’ipotesi del suicidio e avvalorato quella invece del duplice omicidio.
Il concorso era stato annullato non solo per la morte dell’esaminatore, ma anche per la contaminazione delle opere in concorso: contaminazione da cosa? Dal sangue. Infatti la sala chiusa dall’interno in cui erano stati trovati i corpi era coperta dalle opere in concorso, che si erano impregnate del sangue delle due vittime.
Cosa strana un particolare: non tutti i disegni erano incrostati di sangue ma anche di vernice rossa. Perché?
Altra cosa strana: la commissione aveva proposto 90 opere delle scuole elementari e 50 delle scuole medie, ma Tsuchida aveva invece optato per 88 e 48. Per quale motivo?
I due ragazzi delle scuole medie sono sicuri di poter addirittura risolvere il mistero, in particolare Kiyoshi: conosce delle cose attinenti il concorso, fa delle ipotesi e dice di poter anche risolvere il caso, riuscendo a capire il perché quei quattro disegni fossero stati eliminati dalla competizione: 90-88=2, 50-48=2; 2+2=4.  Deve però sapere altro, e per fare questo, si reca con l’amico alla casa del pittore, che è di fronte a quella in cui vive la ex moglie e il figlio. Nel terreno circostante la casa sono state trovate impronte, ma non dirette dentro o fuori la casa, e non della donna o di suo figlio, nel qual caso si sarebbe supposto un uxoricidio, ma dell’ex-marito della Amagi, che è stato arrestato: dopo estenuanti interrogatori ha ammesso di essere stato lui ad uccidere i due, ma nel tempo stesso non ha saputo dire come. Qualcuno sospetta quindi che egli abbia ammesso solo per far finire quella vera e propria tortura psicologica nei suoi confronti.
I ragazzi chiedono ai due detectives della polizia di poter visionare la casa, ma vengono derisi. Tuttavia Kiyoshi è in grado, pur non essendo mai entrato al di dentro, di fornire le esatte dimensioni della stanza in cui si è commesso l’eccidio, nello sbalordimento generale. E di indovinare persino quelle delle due stanze poste al piano di sopra. I due poliziotti, che non sanno che pesci pigliare, colgono la palla al balzo, e accettano, anche se non proprio di buon grado, di far visionare la casa, i cui pavimenti e muri coperti di sangue non sembrano infastidire molto i due ragazzi.
Kiyoshi saprà innanzitutto spiegare il perché Tsuchida avesse richiesto un numero di opere inferiore di quattro unità rispetto ai numeri delle opere selezionate dalla Commissione del Sindaco: esso è in relazione alla superficie quadrata della stanza chiusa dall’interno e a quelle di due stanze al piano superiore una quali è un laboratorio e l’altra uno studio. Esse sembrano costruite sui cateti di un triangolo la cui ipotenusa è la base di un’altra stanza. Siccome i due piani sono identici e anche struttura, planimetria e disposizione delle camere, ne deriva che il principio sulla base del quale Kiyoshi risolve l’enigma, è il Teorema di Pitagora.
In sostanza, le opere erano state richieste da Tsuchida sul presupposto che esse ricoprissero assieme, esattamente il pavimento della grande stanza al piano terreno, e separate  a seconda delle provenienza (Scuola Elementare e Scuola Media) le due stanze al piano superiore: camminando sopra, egli avrebbe scelto le più meritevoli. Ne deriva da ciò che il duplice omicidio non si era svolto nella stanza al piano inferiore ma in quelle al piano superiore: qui l’assassino aveva ucciso i due, massacrandoli con il coltello, poi il sangue aveva letteralmente coperto le opere che tappezzavano il pavimento, e così facendo si era posto il problema che altre opere non fossero coperte di sangue (quelle dell’altra stanza): ecco perché si era pensato alla vernice rossa. Poi i corpi e i disegni insozzati di sangue erano stati portati al piano di sotto, tutto erano stato accuratamente pulito, in modo che non si risalisse alla vera scenda del delitto, e poi si era apprestata la scena finale: la stanza era stata chiusa dall’interno e l’assassino era uscito con uno stratagemma da un vasistas stretto del tokuroma, troppo stretto per averlo fatto ritenere una via di fuga. Solo che l’assassino si è servito di un escamotage. 
Di questo si renderà conto Kiyoshi, individuando anche il perché si fosse nascosto il vero luogo del delitto, come si fosse potuto uscire dal primo piano non lasciando impronte, e capendo anche l’identità dell’assassino dall’unica prova lasciata (dimenticata) all’interno della casa: un ombrello.
Straordinario racconto di Shimada, è “nero” fino al midollo. John Pugmire che ha curato assieme a Yuko Shimada la traduzione in inglese, ha risposto qualche giorno fa, al sottoscritto che notava la morbosità della vicenda, l’estrema violenza e le scene grandguignolesche, quasi da cinema splatter, e come le scene del poliziesco made in Japan sia più forte nelle tinte rispetto all’asetticità quasi di quello di marca anglo-sassone e statunitense, con un’affermazione lapidaria ma estremamente precisa: No "cozies" in Japanese fiction, only "gories"
In questo indubbiamente la crime fiction giapponese è simile a quella francese, e Shimada in particolare mi sembra che possa essere messo a confronto per esempio con Paul Halter. In ambedue soprattutto, protagonisti indiscussi sono i ragazzi: come non ricordarsi dei vari romanzi di Halter che hanno come protagonisti i ragazzi? Anche qui “protagonisti” sono i ragazzi. Uno è addirittura il vero detective che scopre l’arcano, e che deriva indubbiamente – secondo me – da Detective Conan, il protagonista cartoon giapponese alla base di molte storie di crimini impossibili.
Shimada è sensazionale anche e soprattutto per la sua delirante visione del sangue: il sangue ricopre i pavimenti delle stanze superiori, imbevendo le tavole dei disegni (fogli A3), ce n’è talmente tanto da scivolare in rigagnoli tra i vari fogli, e da costringere l’assassino/gli assassini a ripulire accuratamente la scena del delitto, e le scale, utilizzate per trascinare i corpi e portare giù tutti disegni coperti di sangue, apprestare la messinscena finale al piano di sotto, e sporcare finanche i muri, e coprendo di vernice rossa di un colore simile al sangue altre tavole. Tutta questa febbrile opera di pulizia e risanamento verrà scoperta solo grazie al Luminol. Il confronto con Halter è quello imperniato su un romanzo come La Brouillard rouge, dove una camera è tinteggiata col sangue.
Shimada è sensazionale anche e soprattutto per aver concepito un plot basato sulla geometria, la cui stessa soluzione della camera chiusa è in relazione al fatto che i due quadrati al piano di sopra fossero come costruiti sull’ipotenusa, base del quadrato della stanza chiusa dall’interno; e per il fatto che se non si fosse allontanato il sospetto che il delitto fosse stato compiuto al piano superiore invece che a quello sottostante, qualcuno avrebbe subito intuita la strada per uscire dalla casa. E finanche, forse, scoprire l’assassino.
Il giallo nipponico, invero, pur pagando il proprio tributo al giallo occidentale di marca anglosassone, se ne differenza sostanzialmente per un carattere ben preciso: il giallo di tipo anglosassone, quello che si rispetti beninteso, presenta un’indagine effettuata dentro un certo gruppo di sospettabili dei quali bisogna smontare gli alibi, poi bisogna individuare le prove e soprattutto i moventi e infine capire il “modus operandi” dell’assassino. In altre parole, quasi sempre, quando si presenta una situazione impossibile, essa deve essere capita indipendentemente dall’individuazione dell’assassino, secondo due momenti ben distinti; nel giallo giapponese invece, almeno in questo di Shimada, laddove ci sia una situazione impossibile, basta risolvere la situazione impossibile e qui “la Camera Chiusa”, per capire chi sia l’assassino. In altre parole, l’azione del delitto non presume un’indagine basata sul Whodunnit ma sull’ Howdunnit: non chi sia l’assassino (da cui si desume come abbia assassinato), bensì come l’assassinio si sia svolto (da cui si desume chi sia l’assassino). Cambia tutta la prospettiva. In questo mi sembra di poter asserire una verità sostanziale: il giallo nipponico, almeno questo di Shimada,  è molto vicino a quello francese di Halter, di Boileau, di Vindry, in cui i sospettabili sono pochi, estremamente risicati, e che possono essere messi in discussione solo nel momento in cui l’azione arcana del crimine venga esorcizzata attraverso la soluzione del crimine impossibile, che indirizza inequivocabilmente l’attenzione degli inquirenti nei confronti di un solo ed evidente assassino.
Per di più la soluzione della Camera Chiusa relativa non alla stanza dove vengono trovati i due corpi, ma al modo di lasciare la casa, è molto simile a quella adottata da Halter in Le Tigre borgne.
Che poi abbia seguito quella soluzione o vi sia arrivato da solo, è comunque vero che Paul Halter è molto amato in Giappone.
Pietro De Palma