lunedì 17 dicembre 2018

Paul Harding – Lo scheletro nel monastero (Murder Most Holy, 1992) – trad. Elisa Pelitti – Il Giallo Mondadori N. 2449 del 1996




Molti anni fa conobbi Igor Longo. Avevo scritto una lettera al Giallo Mondadori e in particolare all’allora Editor Sandrone Dazieri, per avere una lista aggiornata (al 2003) di tutti i Gialli e Classici Mondadori dall’inizio delle serie e ottenere delle risposte in merito al genere da me adorato, cioè le Camere Chiuse. Dazieri mi disse che Igor Longo mi avrebbe dato tutte le delucidazioni che avessi voluto. Dal momento in cui lo contattai, cominciò una amicizia epistolare molto ricca di contenuti (ci telefonavamo anche), e mi ricordo che una delle prime cose che lui mi disse fu che per un appassionato come me di Camere era necessario che leggessi i romanzi di Paul Halter e Paul Doherty, che non consoscevo allora.
Per la qual cosa mi rivolsi a La Libreria del Giallo di Milano presso cui avevo acquistato parecchia roba, e Tecla Dozio mi procurò una serie di romanzi dell’uno e dell’altro, i primi di Doherty (quelli della serie di Athelstan) e parecchi di Halter.
Chi sia Halter, è arcinoto; urge invece qui spendere qualche parola per introdurre Doherty, i cui romanzi ammontano ad oltre cento attualmente e che è considerato uno dei migliori romanzieri viventi inglesi, tanto che anni fa è stato insignito dell’OBE (Order British Empire) dalla regina Elisabetta II.
E’ nato nel 1946 a Middlesbrough (North-East England). Ha ottenuto una Laurea in Storia alla Liverpool University per poi ottenere una Borsa di Studio Statale all’Exeter College ad Oxford, dove ha conosciuto la sua attuale moglie Carla Lynn Corbitt. Successivamente ha preferito non continuare gli Studi universitari optando per la carriera di Docente di Scuola Media Superiore. Nel settembre 1981, è diventato preside della  Trinity Catholic School, a Woodford Green, Essex, una delle scuole di punta in Inghilterra, premiata varie volte per l’alta qualità dei suoi insegnanti. Doherty, che da giovane aveva studiato per diventare prete cattolico, vi ha educato i suoi sette figli. 
Nonostante infatti egli abbia cominciato a scrivere nel 1985, con The Death Of A King, subito dopo aver vinto un dottorato su Edoardo II, Doherty ha scritto romanzi di varie epoche con svariati pesudonimi (C.L. Grace – serie K. Swinbrooke : regno di Edoardo IV dopo fine Guerra delle Due Rose; Paul Harding – serie Fratello Athelstan:  regno di Riccardo II protettore John Gaunt, e serie Misteri d’Egitto; Michael Clynes – serie Sir Roger Shallot  Misteri dei Tudor: regno Enrico VII; Paul Doherty – serie Hugh Corbett: regno Edoardo I; Ann Dukthas –serie Nicholas Segalla; Anna Apostolou, serie Misteri di Alessandro il Grande; e altri ancora, tra cui Canterbury Tales, oltre a romanzi senza personaggi fissi. 
Da quanto si evince dalle date di pubblicazione dei vari romanzi, egli è evidentemente più affezionato ad alcuni personaggi di determinate serie piuttosto che ad altri (probabilmente anche per il successo ottenuto): nello specifico, le serie che ancor oggi vantano romanzi recenti sono quelle de I Misteri di Fratello Athelstan (l’ultimo è The Straw Men, 2012); Hugh Corbett (l’ultimo è The Mysterium, 2010); romanzi senza personaggio fisso (l’ultimo è The Last of Days, 2013); serie Canterbury Tales (l’ultimo è The Midnight Man , 2012).  
Oggi analizzeremo un romanzo della serie  di Fratello Athelstan,  Lo scheletro nel monastero (Murder Most Holy, 1992).  
Nel convento dei Blackfriars accadono oscure macchinazioni: è in fase di sviluppo un Capitolo Interno all’Ordine Domenicano per dibattere la questione concernente le affermazioni teologiche di Henry di Winchester, ma mentre i due inquisitori visionano le carte per dare una risposta sul fatto che esse contengano o meno eresie, Bruno e Alcuin, due confratelli, vengono barbaramente assassinati.
Al Capitolo Interno, Athelstan è convocato dal Priore del Monastero, Padre Alselm, per indagare sulla morte di Bruno e sulla sparizione di Alcuin, che non è stato visto uscire dalla chiesa, ma avrebbe potuto farlo, solo che tutti i suoi effetti personali sono rimasti nella sua cella. Athelstan non vorrebbe essere attirato nelle beghe e negli intrighi interni ai Domenicani, di cui è a tutti gli effetti una pecora nera, in quanto novizio è scappato assieme al fratello minore per combattere in Francia, finendo per sentirsi responsabile della sua morte sul campo di battaglia, e di quella per crepacuore dei suoi genitori: per questo è stato mandato per castigo a gestire una parrocchia malandata di gente miserabile, finendo per affezionarsi ai suoi parrocchiani, tra cui un cacciatore di topi, un porcaro, uno stagnatore, una prostituta, una ricca vedova, un pittore sognatore, formanti il Consiglio parrocchiale. Ma lo deve fare. Non vorrebbe anche perché ci sono altre due rogne che lo vedono protagonista: la prima concerne Sir John Cranston, coroner della Città di Londra, nominato da Sua Eccellenza John di Gaunt, quartogenito di Edoardo III e zio e protettore del giovanissimo Riccardo II, Sir John è caduta nella trappola tesagli dal protettore del sovrano, che lo vuole più legato a lui e non invece troppo indipendente come è attualmente. Per questo lo costringe ad accettare una scommessa del Signore di Cremona, Gian Galeazzo, ospite a Corte, in quanto lo si vuole indurre ad un prestito consistente nei confronti della Corona inglese, vessata dalle spese e da un clima continuo di ribellione dei contadini e dei baroni: deve risolvere un quiz riguardante un problema di camera chiusa: in una stanza senza che nessuno potesse entrarvi, senza che siano entrati cibi o bevande avvelenate, con la porta sbarrata dall’interno e le finestre ermeticamente chiuse, in vari diversi momenti, quattro persone sono morte, addirittura una è stata trovata uccisa dalla paura e con le unghie infisse negli stipiti di legno della finestra. La seconda rogna è parimenti infida: infatti, durante i lavori di rifacimento della pavimentazione della povera chiesa di St. Erconwald, cui fa capo la parrocchia di Fratello Athelstan, i muratori, scavando sotto l’altare, hanno trovato uno scheletro, che stringe una croce. I parrocchiani subito gridano al ritrovamento prodigioso: pensano di aver trovato le ossa di una martire, perché si tratta dello scheletro di una donna; e sembrerebbero darvi ragione un miracolo che avviene di lì a poco: un parrocchiano ricco, commerciante, che aveva contratto una brutta infezione al braccio, dimostra che esso è completamente guarito nell’incredulità generale e del medico che lo aveva visitato al cui dire l’infezione avrebbe potuto guarirsi dopo molte settimane e non così presto.
Appena arrivato al suo monastero d’origine, Athelstan comincia ad indagare: lui figura come segretario di Sir John e quindi con una posizione subalterna rispetto al grosso amico, ma in realtà chi svolge le indagini è lui mentre Sir John pensa a mangiare e a bere idromele. Athelstan capisce subito che il fulcro del mistero è il Capitolo interno: infatti di lì a poco, Fratello Roger, un povero mentecatto accolto nella comunità, che ha visto in chiesa qualcosa di cui non sa rendersi conto, viene trovato impiccato, ma in realtà è stato strangolato. Perché? Athelstan è sicuro che riguardi il mistero della scomparsa di Alcuin, che vegliava il corpo di Fratello Bruno, sceso nella cripta un attimo prima che scendesse lui. Athelstan sospetta che Bruno sia morto al posto di Alcuin e che anche quest’ultimo sia stato ucciso e immagina dove possa essere andato a finire il suo corpo: fa riaprire il sepolcro sotto la chiesa e fà issare la bara di FràBruno: quando la aprono, un puzzo pestilenziale si diffonde nella chiesa e tutti i confratelli, anche quelli che avevano criticato la riesumazione, attoniti, constatano che nella bara vi sono due cadaveri: quello avvolto nel sudario di Bruno e quello buttatovi sopra alla bell’e meglio, di Alcuin, strangolato.
Ma non è finita, perché viene trovato ucciso Callixtus, un altro confratello, nella Biblioteca: stava cercando qualcosa ma è caduto e si è rotto il cranio: in realtà qualcuno l’ha colpito con lo spigolo tagliente di un grosso candelabro in argento, come Athelstan e Sir John appurano grazie all’uso di una primitiva lente d’ingrandimento. E anche Athelstan per il rotto della cuffia scampa ad un attentato a suo danno.
Athelstan  individuerà l’assassino grazie ad un libro strappato della badessa tedesca Hildegarde vissuta un secolo e mezzo prima, libro che Callixtus stava cercando quando era stato sorpreso dal suo assassino. E risolverà la Camera Chiusa. E infine anche il mistero dello scheletro, grazie al suo amico Sir John che troverà Fitzwolfe, il precedente parroco di St. Erconwald, un prete scomunicato, dedito alla Magia Nera e a tutti gli affari poco puliti, che è fuggito anni prima dalla sua chiesa portando dietro il libro parrocchiale, dove erano stati trascritti tutti gli interventi, anche edilizi, svolti in chiesa prima del suo arrivo. E’ da questa fonte che Athelstan vuole risalire al carpentiere che mise in opera i lastroni di pietra, sotto uno dei quali è stato trovato lo scheletro sospetto. Vi riuscirà, e scoprirà che anche il miracolo, pure accaduto ad un uomo pio e benefattore della sua comunità, è un bluff, abilmente costruito con un trucco da guitto di strada.
E riuscirà anche Fratello Athelstan, grazie all’amico grassone, a far luce su una presunta nota informativa che era giunta e che voleva il marito di Benedicta – la vedova che Sir John sospetta sia piamente innamorata di Athelstan, cosa del resto contraccambiata – ritrovato presso un posto in Francia, lì imprigionato in attesa di riscatto, appurando che la notizia è falsa.
Le vicende di Athelstan e Sir John durante il protettorato di John di Gaunt si inseriscono nell’ultimo decennio del XIV secolo e precisamente avvengono in un tempo limitato, mesi cioè, al limite qualche anno: questo ci consegna un insieme di fatti che non si discostano molto per quadro politico generale, avvenendo durante l’infanzia di Riccardo II; solo in alcuni dei romanzi più tardi, cominciamo a vedere le sommosse che ci furono nell’Inghilterra e la confusione politica. Generalmente, invece, si differenziano gli uni dagli altri forse solo per le vicende che accadono ad Athelstan e a Sir John.
Comunque sia, che siano descritte o accennate vicende politiche vere o inventate, Doherty ha il dono di saper talmente descrivere con passione e veridicità la vita di ogni giorno della Londra di quel tempo, da far sì che il lettore, nell’attimo stesso in cui legge, possa immergersi e sentirsi lui protagonista, possa camminare con le ali della fantasia in quelle strade, vedere lui i mucchi di letame, i topi, le bisbetiche con la lingua imprigionata nella mordacchia, i “flagellanti” frustarsi intonando il Miserere, i rei di adulterazione di vivande immersi nelle botti piene di urina di cavallo, visitare le fiere in cui i commercianti di sete decantano i loro prodotti e i chioschi improvvisati vendono fragranti tortini di carne, in cui le osterie sono bettole fatiscenti o sale in cui aleggia il profumo dell’arrosto o del borgogna spillato dalle botti, in cui barconi solcano il Tamigi portando mercanzie, soldati o contrabbandieri. Questo soprattutto per una caratteristica che Doherty possiede a differenza della maggioranza di coloro che scrivono romanzi storici: lui è addentrato bene nelle pieghe della storia, è un esperto di storia inglese, è uno storico di professione che ha fatto fortuna scrivendo gialli; non è un giallista che si è inventato una dimensione storica. La differenza non è di poco conto. Lo si nota nella stragrande maggioranza di romanzi “cosiddetti” storici che non potendo descrivere la realtà di ogni giorno, così come la conosce Doherty, inventano, oppure ambientano i loro romanzi in quadri politici ben conosciuti. E’ vero che alcuni giallisti sono riusciti a ricreare dimensioni storiche affascinanti e di tutto rispetto (per esempio Carr), ma sono comunque una minoranza ben acclarata.
Quando Doherty parla di un fatto storico ben preciso, potete stare sicuri che lo sviscera in maniera tale che anche il più sprovveduto capisce che lui nella storia di quel particolare tempo, è ben calato. Mi ricordo come anni fa, durante un esame di Istituzioni Medievali, accennai al tempo di Giacomo I citando delle cose che avevo letto proprio in un romanzo di Doherty, della serie Shallot (pubblicata da Hobby & Works), suscitando l’interesse della docente che mi chiese dove avessi letto quelle cose e chi fosse l’estensore: non conosceva Doherty, ma quando lesse le note sue biografiche…
Oltretutto ha il dono di saper narrare, di scrivere meravigliosamente bene, cosicchè avvince il lettore, pur avendo dei limiti stilistici: per esempio, in tutti i suoi romanzi, non c’è mai una vicenda che vada avanti per tutto il romanzo dall’inizio alla fine, e dalla quale magari dipendono altre vicende, cioè non c’è un plot principale e dei subplots che dipendono dal principale, ma vi sono più plots – di cui magari uno è più importante di altri, perché ha uno sviluppo di pagine maggiore – talora concatenati, talora no, anzi il più delle volte non lo sono, cosicchè alla fine il romanzo è come se fosse un insieme di racconti legati gli uni agli altri solo dai personaggi fissi (Athelstan, Sir John e John di Gaunt) e da quelli accessori (i parrocchiani di St. Erconwald per Athelstan, Maude e i due pargoli per Sir John). Nell’ambito delle storie narrate in ciascun romanzo, c’è sempre la descrizione di un delitto impossibile o di una Camera Chiusa, che interessa o il plot principale o quello secondario. Nel romanzo analizzato oggi, ce ne sono quattro: due sono inserite nella narrazione principale (la sparizione di Alcuin dalla chiesa e il suo assassinio); e due in quelle accessorie (la Camera che uccide; il miracolo che non è tale ma che in base alle testimonianze, tutte vere, dovrebbe esserlo): l’assassinio di Alcuin è molto simile a quello narrato in Satan in St. Mary’s (romanzo d’esordio di Doherty nella serie di Hugh Corbett): un assassinio in chiesa, l’assassino che non dovrebbe esserci, eppure c’è, nascosto lì dove c’è l’ombra, magari indossando vesti nere, guanti e cappucci neri, cioè ricorrendo ad un vero e proprio trucco illusionistico; la sua sparizione è chiaramente derivata da quella presente in The Greek Coffin Mystery di Ellery Queen; la Camera che uccide è il più antico e più famoso degli esempi di Camera Chiusa (qui l’espediente narrato direi che derivi direttamente da quello di The Grey Room di Eden Phillpotts, pur essendo diverso l’agente killer, ma il mezzo è lo stesso ); infine il miracolo che non lo è, è ancora un trucco illusionistico.
Il successo della serie di Athelstan è forse da attribuirsi all’insolita coppia (le coppie nei Gialli sono sempre memorabili: S. Holmes e Watson, Poirot e Hastings, Philo Vance e Markham, Padre Brown e Flambeau, Henry Merrivale e Humphrey Masters, E. Queen e R. Queen, Alan Twist  e Archibald Hurst, etc..) in cui quello che dovrebbe essere il Watson della situazione, finisce per essere il vero detective, e quello che dovrebbe esserlo (Sir John) non lo è. Per di più la coppia è descritta macchiettisticamente: questo è il vero segreto del successo della serie. Il detective non è un eroe, ma è un antieroe: Athelstan rifugge dal successo che cede al suo compagno di avventure, e fà di tutto perché gli altri pensino a lui come un personaggio alternativo: un sognatore che ama perdersi a guardare le stelle, così come Sir John pur indugiando al tracannamento di Borgogna, Chiaretto, idromele e birra, molto spesso finge di appisolarsi (quando non si addormenta di botto davvero) perché gli altri pensino a lui come un ubriacone e non si curino di quel che dicono in sua presenza. Sono due personaggi simpatici e buoni di animo, burberi ma teneri. Inoltre Athelstan e la realtà della sua parrocchia, i suoi doveri e la sua veste canonica, i suoi uffici divini, i dogmi teologici, a mio parere riflettono la fede cattolica di Doherty e i suoi trascorsi di noviziato..
Un’ultima cosa vorrei osservare una curiosità: secondo me,  la vicenda della discussione circa una verità teologica, svolta da un Capitolo interno, con la presenza di inquisitori; la presenza di un libro che è la causa di alcune morti ( e lì è il mezzo addirittura); le morti di confratelli che avvengono in un monastero, sono tutte situazioni che Doherty avrebbe potuto trarre da Il Nome della Rosa di Eco, opportunamente modificandole secondo il suo gusto e il suo estro. Segno che Umberto Eco deve aver avuto un peso ed una risonanza molto vasti dappertutto, anche in Inghilterra, probabilmente anche grazie al film di Jean-Jacques Annaud e all’interpretazione di Sean Connery.

Pietro De Palma

mercoledì 12 dicembre 2018

INTERVISTA CON PAUL HALTER di Pietro De Palma

Tempo fa ho conosciuto Paul Halter. Il celebre scrittore francese, l’unico che in tempi recenti abbia raccolto con successo l’eredità di John Dickson Carr, scrivendo romanzi e racconti con Delitti Impossibili e Camere Chiuse, vive a Strasburgo: la nostra conoscenza, pertanto, si è approfondita per corrispondenza
Il suo indirizzo email mi è stato fornito da altro mio conoscente, John Pugmire, altro grande conoscitore di Camere Chiuse ed enigmi letterari, che traduce in inglese da alcuni anni, tra l’altro, i romanzi di Halter. John fu invitato anni fa assieme a Igor Longo, a Philippe Fooz, Vincent Bourgeois e Michel Soupart, e a qualche altro critico, al meeting del 2007 di Roland Lacourbe. John, che ho conosciuto due mesi fa, dopo aver letto alcuni miei articoli, soprattutto quelli concernenti le Camere Chiuse, mi ha risposto ed è cominciata una corrispondenza. Un giorno gli ho chiesto la email di Halter, e lui, dopo averlo chiesto ad Halter, me l’ha fornita. Così sono entrato in contatto con Paul Halter.
Ci siamo scambiati impressioni, lui ha voluto leggere degli articoli che avevo dedicato a suoi romanzi, e in anteprima l’ultimo, dedicato a La Quarta Porta, che è molto letto sul mio altro blog, quello in lingua inglese, e che gli è molto piaciuto. Da allora, ci siamo scritti più volte, ancor più quando gli ho detto che avevo conosciuto Igor Longo (che al tempo era stato colui che mi aveva fatto conoscere Halter ed i suoi romanzi).
Un giorno gli ho chiesto se mi avesse potuto concedere un’intervista: era molto tempo che gliene avrei voluto fare una, impostandola diversamente da altre che gli sono state fatte nel tempo, cioè interrogandolo non solo sui suoi romanzi, ma anche sul suo rapporto con il suo lavoro, gli amici, le passioni, gli amori, la sua vita. Ha subito accettato tuttavia sottolineando che, non conoscendo l’italiano e non proprio perfettamente l’inglese, avrebbe preferito colloquiare in francese (alla traduzione ho provveduto personalmente).
L’ intervista tuttavia non ha seguito lo schema consueto, che si adotta quando l’intervistato è lontano, cioè inviare le domande assieme, facendo sì che egli possa rispondervi e restituire il tutto al mittente, magari correggendo qualcosa ma lasciando il tutto inalterato: no, quest’intervista è stata impostata diversamente. Infatti, per merito della mia inesauribile curiosità e della sua amabilità e pazienza (Paul Halter è una persona amabile, gentile e squisita. Chissà perché negli ultimi tempi ho conosciuto solo persone amabili, gentili e squisite: John Pugmire, Roland Lacourbe, Philippe Fooz, Paul Halter. E chissà perché, poi, sono tutte all’estero, mentre da noi…Vabbè è un’altra storia), le risposte alle domande che gli ho posto, hanno generato altre domande e poi altre risposte, dando il via ad una corrispondenza fittissima che ha portato, come risultato finale, alla definizione di un ritratto inedito di Halter, pieno di sogni, di verità, di affermazioni, di negazioni. Un ritratto a 360° che non mancherà di affascinare (e di sorprendere talora: per certi versi ha sorpreso persino me!).
La propongo in occasione della pubblicazione ne Il Giallo Mondadori, del suo romanzo inedito – il diciottesimo ad esser pubblicato in Italia – “La Settima Ipotesi”, Le Septième Hypothèse, tradotto da Igor Longo.
Buongiorno, Paul. Ti ringrazio per aver acconsentito a rispondere a delle domande. Innanzitutto, ci vuoi raccontare qualcosa di te, in breve: dove sei nato, infanzia, esperienze lavorative, amori, letture, amici. E soprattutto, come sei arrivato un bel giorno a decidere di cimentarti con la scrittura? Il tuo primo romanzo è stato La malediction de Barberousse. Lo hai scritto di getto, nell’imminenza del concorso, oppure vi avevi pensato in precedenza?
Sono nato a Haguenau, e ho trascorso la mia infanzia, abbastanza felice in questi benedetti 60 anni di tempo, senza subire per nulla la terribile “Maledizione di Barbarossa“, anche se poi abitavo a 200 metri dalla Torre di Pescatori (luogo del delitto principale della storia). L’Amore, le ragazze? Certo, ma prima di questo, ero un appassionato di lettura, di misteri. Ho divorato tutta A. Christie dai 12 ai 16 anni. Amavo anche la serie televisiva inglese Chapeau Melon et Bottes de cuir 1 (= Bombetta e stivali in pelle), poi ho sentito (nel 1970) la canzone “Venus” degli Shocking Blue, e ho comprato immediatamente una chitarra, per arrivare a suonare questa canzone . Poi non ho mai abbandonato la mia chitarra, fino a circa i 25 anni. Mi sono sposato, ho condotto una vita tranquilla, e mi sono riallacciato ai miei primi amori: i romanzi polizieschi. Scoperta di Dickson Carr in quel momento. Nuovo colpo di fulmine! Dopo aver letto di lui tutto ciò che era disponibile in francese, ho deciso di seguire questi puzzle, e così è nata La maledizione di Barbarossa … Ero molto motivato e volevo davvero fare qualcosa di speciale. E ho scritto nella scia (di questa) La quarta porta, nello stesso stato d’animo …
Perché “La maledizione di Barbarossa”, nonostante sia stato il tuo primo successo, ha dovuto aspettare numerosi anni prima di essere ripubblicato, mentre “La Quarta Porta”, dopo aver vinto un concorso, è stato immediatamente pubblicato?
A proposito di “Barbarossa” era stato pianificato con Le Masque che questo romanzo sarebbe stato pubblicato un giorno, ma non subito. Le Masque ha voluto aspettare fino a quando io avessi già una certa notorietà, prima della pubblicazione. Non mi ricordo esattamente, ma è possibile che il corretto apprezzamento di John2 mi abbia ricordato che questo romanzo era ancora in riserva e (quindi) ho poi (1995) parlato a Le Masque al fine di pubblicarlo. Quel che è certo è che non ho avuto “dubbi”, perché mi piace questa storia, che è stato per di più il mio primo tentativo.
Il tuo secondo romanzo è stato “La Quarta Porta. Con esso, hai vinto una prima grande competizione e, soprattutto, è stato un successo. Il romanzo, come tutto le tue opere, presenta delle caratteristiche fisse: ha sfide impossibili (2 Camere Chiuse), ha molta atmosfera e un finale d’effetto.
Perché queste caratteristiche sono così importanti per te?
Sì. Per me, scrivere una storia di questo genere, era soprattutto una sfida. (Ricordate a quel tempo ero sotto una buona influenza, dopo aver letto i principali Carr , ma anche Robert Bloch e Fredric Brown). Carr ha detto: Quando ho scritto un romanzo, ho sempre voluto fare qualcosa di speciale, un libro che avrebbe reso tutti gli altri mediocri” 3 Ho cercato di applicare questo metodo con La Quatriéme Porte .. Devo anche dire che avevo appena letto una biografia di Roland Lacourbe su Houdini. Lì, ho sentito che avevo trovato la mia materia! Perché, a suo modo, si può dire, che Houdini fosse anche un maestro de “l’impossibile! “.
Ho spesso notato che i tuoi romanzi contengono citazioni e riferimenti ad autori e opere che hanno avuto un certo effetto su di te: le tue citazioni sono intenzionali oppure no? Per esempio, il racconto del ponte in La malediction de Barberousse, che cita un racconto di Hoch; o i rimandi a opere del passato nel caso de La mort derrière les rideaux: la pensione del L’assassin habite au 21 di Steeman, oppure la figura della zitella di Murder is Easy di Agatha Christie; o la presenza del gatto guercio, come in Poe, nel finale de L’Image Trouble.
Non credo che sia davvero intenzionale. Semplicemente, ho fatto riferimento ad autori, libri che ho amato, che hanno segnato la mia infanzia. La storia del Gatto Nero di Poe mi aveva terrorizzato unitamente al film di Clouzot (L’assassin habite au 21), o ancora Murder is Easy da Agatha Christie, come tu hai giustamente indovinato. Quindi è più una questione di piacere personale che di voler onorare loro, anche se lo meriterebbero alla grande. Inconsciamente o no, io non lo so, ho voluto restituire quello che avevo provato nella scoperta di queste storie e di questi film. Penso che si possano trovare altri riferimenti di questo tipo, nella maggior parte dei miei romanzi. Sta a te scoprirli! E penso che sia abbastanza facile per persone come voi che conoscono bene i loro “classici” …
Come si scrive un romanzo? In altre parole, quale tecnica usi? Immagini la fine della storia e da essa vai indietro sino all’inizio, come fanno alcuni; o hai un idea precisa in mente, o forse prendi appunti, come faceva Agatha Christie e dopo scrivi la trama , più o meno delle linee guida; o anche inizi a scrivere, e poi, man mano che vai avanti, inserisci sempre nuovi cambiamenti in base alle idee che ti si formano in mente?
In verità, io cambio spesso circa il metodo, soprattutto per il punto di partenza, che può essere qualsiasi cosa: un’idea, un’immagine, una sfida, una discussione tra amici, una notizia, che è mi è arrivata. Così, nel caso de L’image trouble (Cento Anni prima), mi sono imbattuto in una copertina di un libro che mi ha molto commosso, senza che abbia compreso il perché. Sembrava una buona partenza della storia, e ho debolezza di credere che l’Image Trouble sia stato un buon successo.
Tuttavia, ho ancora le mie piccole abitudini. Così, ho sempre impostato un piano molto specifico prima di iniziare a scrivere. Ma non tutto è definito, è necessario lasciare un po’ alla sorpresa, all’improvvisazione. E una volta che sei lanciato, delle nuove idee affluiscono … che cerco di usare il più possibile. (Perché è difficile cambiare colpevole nel mezzo della storia!)
In caso contrario, prendo appunti. Li scrivo su un pezzo di carta che metto in una scatola (di scarpe). A volte li rileggo, e metto insieme le mie idee. Infine, la “atmosfera” è cruciale. Questa nozione, devo ammettere, proviene spesso dalle mie letture,da i film che mi hanno segnato. A questo proposito, devo molto a Carr e Christie. Mi dico che voglio fare una storia come The Burning Court, Murder Is Easy, ecc. Allo stesso tempo, cerco di innovare, di trovare una nuova illuminazione per un giallo. Oppure, come ho detto sopra, la riflessione di un amico mi può portare molto. Un giorno, Igor Longo, che stava sfogliando un fumetto di Ric Hochet (Le Double qui tue= Il Doppio che uccide), mi ha detto: “Questa è una eccellente storia di bilocazione! Non hai mai usato questa idea come tema principale”. E così è nato La Corde d’argent  (a proposito, apprezzo e ringrazio Igor per il suo intervento!)
Ma ci sarebbero ancora molte cose da dire! Il design di ogni romanzo ha una lunga storia! Il defunto Fredric Brown ha detto che ci vorrebbero 100.000 pagine per descrivere l’elaborazione di un libro che ne avrà 250! E in fede mia, aveva ragione!
Nella tua carriera letteraria, quanto peso hanno avuto scrittori come Carr, Christie, Rawson, Chesterton, Doyle, Talbot? E chi di loro ha pesato più di altri?
L’influenza di Carr e Christie, è enorme, si capisce. E quella di Doyle, naturalmente. Rawson e Talbot sono venuti dopo. Ma di questi ultimi due, non ho mai cercato di riprodurre qualcosa. Le loro trame sono eccellenti, ma manca il “tocco British”, l’atmosfera, il senso del bizzarro. E a proposito di “Bizzarro”, il maestro del genere, è forse Chesterton (che ha notevolmente influenzato Carr in proposito). Il “Bizzarro” è anche una situazione impossibile di prim’ordine. Qui, l’impossile riguarda il comportamento umano. Perché Tal dei Tali mangia il suo cappello all’uscita della Messa? Ancora una volta, le nostre cellule grigie sono messe a dura prova nello sforzo di dare un senso a tale “nonsense”. Per me, per esempio, “The Club of Queer Trades4 è un top, soprattutto la prima grande avventura.
E gli autori francesi, quale influenza hanno avuto su di te? Chi di loro ha avuto una maggiore influenza su di te? E quali opere in particolare?

Senza grande originalità, citerò Gaston Leroux, e il suo famoso “Le Mystère de la Chambre jaune” (=Il mistero della camera gialla) che Carr stimava molto, e a ragione. Vi è un po’di tutto in questo romanzo: i crimini impossibili, maschere strappate (identità rivelate), colpi di scena incredibili, ecc. Ho letto questa storia molto giovane ed è stata probabilmente la mia prima vera “camera chiusa”. Ho scoperto Arsene Lupin più tardi, nei telefilms televisivi. Era più leggero, l’umorismo ha la precedenza sul mistero, anche se era a volte di qualità. Vindy e Lanteaume, non li ho letti che dopo. (Vindry) è tecnicamente buono, ma manca dolorosamente di romanticismo (lo stesso vale per Boileau). In un libro come A travers les murailles (= Attraverso i muri), c’è qualcosa davvero che manca. Per me, Le Mystère de la Chambre jaune è nettamente superiore. Infine, lo ammetto, questo è un punto di vista puramente personale.Questo è tutto quello che posso dire di autori francesi. Il mio “latte materno” sono stati senza dubbio gli intrighi di A. Christie, nella famosa collezione gialla di Le Masque. Una collezione leggendaria, e non avrei mai immaginato che un giorno io potessi farne parte ! E mai avrei potuto immaginare che Le Masque potesse seguire la devianza “noir” di oggigiorno … ma questa è un’altra questione.
I tuoi finali sono spesso bizzarri e sono concepiti come un coup de theatre, riprendendo la tradizione surrealistica e antirealistica di autori francesi come Leblanc, Leroux, Steeman, Very, Boileau, Narcejac, Vindry. Molto spesso ho notato che i tuoi romanzi – e per questo mi piacciono – sono visionari, fanno dei salti pindarici di fantasia, sacrificando il realismo e la logica dei romanzi di marca anglosassone a ciò. Intendiamoci, è una caratteristica tipica dei romanzieri francesi, soprattutto quelli che ho citato (forse tranne Vindry che è quello più legato a Carr e Simenon che è l’applicazione del realismo e la negazione del surrealismo).
Che peso ha la fantasia rispetto agli altri ingredienti nell’elaborazione delle tue opere?
E l’atmosfera che è sempre molto suggestiva, è il risultato di qualcosa connesso allo stile oppure è qualcosa di innato in te, cioè anche quando eri più giovane riuscivi ad evocare suggestioni intense?
Il grosso problema per un romanzo poliziesco, è che la magia del mistero cessa di operare alla fine, quando tutto è spiegato in dettaglio. Abbiamo bisogno di trovare un escamotage per cui il fascino continui a funzionare sempre. L’esempio migliore resta a mio avviso la fine di The Bourning Court di Carr. In altre parole, trovare qualcosa per accreditare il fantastico dopo la spiegazione finale. Come definizione del romanzo poliziesco, Pierre Véry parlava di “favola per adulti” e io sottoscrivo senza riserve questa dichiarazione. Per i bambini piccoli che siamo stati, quelle storie di streghe, di fate e di draghi sono state una vera e propria scuola di preparazione al romanzo poliziesco! E inconsciamente, penso di cercare di trovare questi primi brividi scrivendo le mie storie. Il tema della fiaba è sempre celata al di sotto. Ne “L’homme qui aimait les nuages” 5 , è ancora evidente. L’eroina sembra essere una fata, mentre il colpevole è il “vento”.
Parlando dell’ “atmosfera”, non so sia qualcosa di innato, ma in ogni caso, mi sembra necessaria per scrivere una buona storia. E tanto che se non la sento, non comincio a dare inizio alla mia storia.
9) Tu sei francese, ma non solo. Nella tua formazione letteraria, ha giocato un ruolo solo la tua eredità francese oppure anche quella alsaziana?
Francese, sì, ma come ho spiegato sopra, sono stato particolarmente sensibile ai romanzi polizieschi inglesi. L’Alsazia, si trova solo, credo, ne La malediction de Barberousse . Non si dice spesso di un autore che la sua prima opera è autobiografica? Certo, io amo la mia regione natale, ma sono anche appassionato di esotico. E non è certo il mio unico paradosso …
10) Mi ricordo che una volta Igor fece una distinzione tra i due grandi gruppi del Mystery: gli sperimentali ed i tradizionali. I primi sono quelli che non amano chiudersi in una formula, i secondi quelli invece che continuamente rielaborano, variandoli, dei clichè da cui non si discostano, moltiplicando enigmi e misteri. Lui ti poneva nel primo gruppo (Christie, Queen, Halter, Leroux, Steeman) e non invece nel secondo (Stout, Rhode, Van Dine,  Marsh , Sayers, Crofts, e in parte lo stesso Carr). Che ne pensi?
Tengo Igor in alta considerazione (la cultura poliziesca è veramente prodigiosa), quindi non mi permetterò di contraddirlo. In realtà, ho spesso voglia di scrivere le mie storie con nuova illuminazione. Con successo? Non so … Mi sembra sempre di fare bene, ma i miei lettori a volte non sono d’accordo. In verità (e questo è ciò che è grande nel mestiere di un romanziere), io voglio fare veramente, ciò che viene reso nelle mie storie. Mi piace scrivere storie. Altrimenti, come produrre qualcosa di convincente, se non si è sicuri di sé?
11) Ho notato che ci sono dei motivi ricorrenti in alcuni tuoi romanzi: i bambini e i ragazzi per esempio (la fanciullezza), il macabre, la pazzia. In particolare per esempio diversamente dai romanzi di Carr o di Ellery Queen o di Agatha Christie o di Van Dine in cui di solito gli assassini sono sempre soggetti calcolatori, astuti, talora anche vittime, ma sempre nel pieno possesso delle proprie facoltà, i tuoi assassini sono spesso vittime della pazzia, follia, amnesia, cioè soggetti con tare della mente, quasi non fossero responsabili in fondo delle proprie azioni. Che ne dici?
Sì, mi piace il tema della follia. Ciò consente di presentare modelli vari e sorprendente. Interessanti anche i problemi psicologici legati ai bambini (evitando il sacrosanto stupro dello zio!). Direi che i miei criminali sono spesso “ossessionati” da una passione, una fobia, ecc. Per essere più precisi, avrei dovuto dettagliare ognuna delle mie storie, ma vorrei lasciare al lettore la cura di scoprirlo di persona.
12) E ora analizziamo le tue fissazioni: le valigie, la pittura, le tende, per esempio presenti in vari romanzi. Come sono nate ? Ci sono altre fissazioni?
Un giorno un lettore mi ha fatto notare che la maggior parte dei miei titoli presentano spesso elementi d’architettura o delle figure, o entrambi: La Quatrième Porte, La Chambre du fou, La Septième hypothèse, les Sept Merveilles du crime, La Mort derrière les rideaux, etc.. Allora non ne ero cosciente. Le figure apportano di per sé un elemento di mistero: le porte, le finestre. E allo stesso modo puntare sulle “porte”, sulle “finestre”. Una porta socchiusa, una finestra illuminata di notte … questi sono elementi specifici del romanzo poliziesco. E a questo riguardo, mi inquadro in un filone decisamente classico. Le strade, le case per me sono esseri viventi, hanno un anima. Naturalmente, la magia non funziona in un sobborgo moderno. Ma chi ha letto John Ray, per esempio, può capire molto bene cosa intendo.
13) Nei tuoi romanzi talora si riscontrano delle caratterizzazioni sociali e culturali: forse ho interpretato male, ma talora ho visto una tua negazione dell’aborto, una tua condanna di certi atteggiamenti etici libertari. In sostanza per me tu sei sostanzialmente un credente, cattolico o protestante non importa. Ma sicuramente non sei agnostico. E in un certo senso sei anche tradizionalista. Questi tuoi valori, in un certo senso in contrasto con quelle che sono le tendenze culturali e sociali odierne, e anche il tuo genere letterario (Mystery) in un tempo in cui i Noir vanno per la maggiore, ti ha procurato delle noie?
In realtà, io sono molto tradizionalista. Amo tutte le tradizioni, tutte le epoche. Tutte tranne una: quella odierna. La caratteristica del nostro secolo è senza dubbio la bruttezza che si presenta in tutte le sue forme (musica, architettura, idee sovversive, ecc.) E’ fisicamente impossibile per me seguire questa moda. Ho bisogno di un ambiente pittoresco (cioè tradizionale) per sviluppare una storia. Devo senz’altro rappresentare la figura di un fossile agli occhi dei nostri critici, ma non importa. Uno scrittore deve essere innanzitutto onesto. Avendo fino ad oggi scritto una quarantina di romanzi, ritengo di aver contribuito col mio blocco di costruzione all’edificio dell’enigma. Per il resto …
Ho letto in altra intervista che dal confronto con alcune persone, sono nati alcuni tuoi romanzi: per es. hai raccontato in passato che Le toile de Penelope è stata la risposta a Philippe Fooz che ti sfidava a inventare una Camera Chiusa, in cui ci fosse una ragnatela. E io che invece pensavo che anche quella fosse una citazione, un rimando a due romanzi: uno di Abbot prima, ed uno di Rogers dopo…
Hai prodotto altri romanzi, elaborati sulla base del confronto con altre persone? Che influenza e che importanza hanno i tuoi amici nella tua vita?
Preciso: l’idea di “La toile de Penelope” non proviene da Philippe Fooz ma Vincent Bourgeois, un altro dei miei amici belgi. Questa è per me una sublime idea, che ho subito usato in un romanzo. Colgo l’occasione per ringraziarlo ancora una volta, tuttavia precisando che “le idee” fornite dagli amici sono raramente sfruttate. Ma devo allo stesso modo ancora ricordare Roland Lacourbe, che mi ha fornito una quantità di soggetti molto interessanti, situazioni bizzarre, e che soprattutto ha saputo stimolare la mia passione per il mistero con il suo eccezionale talento di narratore. Tra le altre cose, è lui che mi ha ispirato l’idea de Le Septième Hypothèse (“La settima ipotesi”), riesumando la storia di Arabian Nights Murder (“Delitti da Mille ed una notte”) di Carr. Alcuni lettori d’altronde a ragione hanno messo in chiaro l’analogia tra il mio medico della peste e il “profeta barbuto” di Carr.
16) Nei tuoi romanzi abbondano Camere Chiuse, ma anche elementi sovrannaturali. Condividi in definitiva le stesse idee di Carr. Ma tra te e Carr c’è una fondamentale differenza: il sovrannaturale in Carr finisce laddove interviene il detective, espressione di logica e razionalismo (tranne che in The Bourning Court e in qualche racconto), (mentre) nei tuoi romanzi, invece, il sovrannaturale non è detto sempre che non sopravviva. Nei tuoi romanzi il mondo dei vivi e il mondo dei morti sono spesso intimamente connessi. Perché?
Credo che derivi dal mio interesse per il passato. Mi piace quando un puzzle ha le sue radici in un passato misterioso, un sinistro, che fa riferimento ad un caso che si perde nelle pieghe del passato. L’indagine diventa quasi il lavoro di un archeologo. E ‘anche vero che le credenze erano molto più radicate nei periodi remoti. Ciò mi consente di tuffare più facilmente una storia nel soprannaturale. Gli antichi misteri mi affascinano … Darei molto per disporre di una macchina del tempo per tornare indietro e regolare, per esempio, i comandi sulla caduta nell’autunno 1888 nel quartiere di Whitechapel. Potrei anche smascherare il sinistro Jack lo Squartatore …
Siccome tu ne La Quarta Porta, immetti a profusione elementi fantastici, ed essenzialmente lasci in sospeso la reincarnazione di Harry Houdini, come bene si legge in molti altri tuoi romanzi di letteratura fantastica, per esempio il paradosso temporale in L’Image trouble (Cento anni dopo) allo stesso modo di Fear, Burn! di Carr, pensi di essere solo un romanziere di letteratura poliziesca, o anche un romanziere di letteratura fantastica?
Penso di essere nella categoria di scrittori di gialli classici, perché in fondo tutti gli elementi fantastici della storia sono sempre spiegati alla fine, come il paradosso temporale in ” L’image trouble “. Tuttavia, mi è anche capitato di conservare un aspetto fantastico in uno o due dei miei romanzi, come ” Le Chemin de la lumière “, con un ritorno al passato. Questo è senza dubbio un romanzo fantastico, anche se altri misteri si spiegano (l’uccisione della sacerdotessa minoica nel suo tempio circondato da sabbia vergine).
Va notato che il soprannaturale, anche se è evidente, è un elemento chiave delle mie storie, come in Carr. In questo ci distinguiamo da molti scrittori di mistero. Noi amiamo più di altri, le storie di fantasmi. perché in realtà, un problema di camera chiusa non è altro che una storia di fantasmi, poiché solo loro possono attraversare le pareti. E riflettendo, un “mistero” non è di per sé un evento inspiegabile? Quindi, non potremmo definirci come degli “autori di misteri”?
Molto spesso, i tuoi romanzi sono narrati in prima persona, piuttosto che in terza. Questo va, ovviamente, a sollevare il problema della verità di ciò che è stato detto dal narratore, e che può anche essere l’assassino (il che accade in alcuni dei tuoi romanzi, più di uno). Tu adotti il racconto in prima persona (quando capita), per questo motivo, o lo fai per un altro?

Semplicemente, si tratta di una tecnica narrativa, accoppiato con una focalizzazione particolare sulla recitazione. L’uso della prima persona porta il lettore ad identificarsi nel narratore. Ma la terza persona facilita descrizioni accessorie. Ovviamente, devo fare una scelta. Questa è una funzione della storia. E io devo sempre dare priorità alla storia.
19) L’uso della prima persona, identifica il lettore nel narratore, dici.
Siamo d’accordo. Ma l’adozione di questa procedura, per te, è solo una questione di ordine tecnico, o è il frutto dell’influenza di Agatha Christie su di te?

Anche su questo piano (è vero), ho sofferto l’influenza di Agatha Christie. La scoperta del colpevole in The Murder of Roger Ackroyd (“L’assassinio di Roger Acroyd”) è stata una grande sorpresa per me. Ma spesso si dimentica che AC si ripetuta con “la Nuit qui ne finit pas  ” (Endless Night) 6. Un ottimo libro, che mi aveva anche colpito ai suoi tempi. Credo anche che far scrivere “io” quando si parla dell’assassino, fornisce anche qualche bel brivido al romanziere. Se mi ascoltassi, tutte le mie storie avrebbero il narratore come colpevole!
Che valore hanno le traduzioni delle tue opere, sul tuo successo all’estero? Con i tuoi traduttori, ci sono solo rapporti di lavoro o anche relazioni amichevoli? E soprattutto in Italia, qual è il tuo rapporto con Igor Longo? Quanto tempo fa vi siete conosciuti?

In generale, non vi è alcun legame tra l’autore e il traduttore, ma per Igor Longo e John Pugmire (USA), è diverso. Ero in contatto con John prima che cominciasse a tradurre i miei libri. Lui è appassionato di enigmi della camera chiusa, come Igor, anche. Penso che Igor sia uno dei maggiori esperti al mondo per il romanzo poliziesco. L’ho incontrato poco dopo le sue prime traduzioni, quando venne a Strasburgo. Ora sono due amici, e a loro devo un sacco. Entrambi hanno lavorato molto per l’enigma classico. E mi piace cogliere l’occasione per ringraziarli calorosamente. Che Dio benedica le Camere Chiuse!
Oggi pochi autori scrivono mystery (tranne che in Giappone).
Conosco la tua posizione a riguardo della letteratura noir e quindi non ti rifaccio la stessa domanda. Mi piacerebbe sapere se tu abbia incontrato difficoltà in Francia con gli editori circa la pubblicazione dei tuoi romanzi, prendendo in esame la grande maggioranza di scrittori noir, e se tu hai incontrato resistenze ad accettare il mystery in luogo del romanzo noir. E secondo te se vi sia differenza tra il mystery storico e il puro mystery, poiché tutti gli scrittori oggi scrivono mystery storici: evidentemente c’è un’abbondanza di storici, oggigiorno!
Onestamente, no, non ho quasi avuto problemi con le case editrici quando ho ricevuto il premio di Cognac e il premio del Romanzo d’avventura. E dal momento che ero pubblicato dalle edizioni Le Masque, simbolo francese del mistero, mi sentii in perfetto accordo con questa collezione, che mi pubblica ancora 35 romanzi (se non ricordo male.)
Per i gialli storici, sono d’accordo, è diventato una moda da qualche tempo. Non credo che la maggior parte dei lettori apprezzino i dettagli sociali o storici che vengono sviluppati. Se voglio conoscere la vita dei romani o greci dei tempi antichi, compro un libro di storia.
Detto questo, io non metto tutto in un carrello. Ci sono buone sorprese. E torno ancora alla mia cara A. Christie, che ci ha offerto un bellissimo libro ambientato nell’antico Egitto: La Mort n’est pas une fin 7. E ‘una bella storia, che si arricchisce di atmosfera, la magia dell’antico Egitto. A.Christie non è caduta nell’ulteriore trappola della descrizione sociale. Le sue priorità sono come sempre: il romanzo, la storia, i personaggi. Spesso mi capita di rileggere un romanzo di Agatha Christie, ed è sempre con la stessa felicità. Il giorno che fossi stanco delle sue storie, sarei stanco della vita!
Tu hai 57 anni, e puoi dire “ho scritto quasi quaranta romanzi”. Scrivi un romanzo per anno, si può dire. L’ultimo è stato “La Tombe indenne”. Non ti è mai venuto in mente di scrivere storie per ragazzi come Jo Nesbo o l’italiano Giulio Leoni? E, mettendo la parola fine a quest’intervista, cosa fai oltre che scrivere romanzi? Stai lavorando a qualche altro romanzo?
Quest’intervista sarà diffusa non solo in francese ed in inglese, ma sarà posta all’attenzione del pubblico italiano. Vuoi dire qualche cosa?
Ti ringrazio del tempo e dell’attenzione che mi hai riservato.
No, non ho intenzione di scrivere regolarmente romanzi per ragazzi. “Spiral” era un’eccezione, una richiesta del direttore della collezione, che mi aveva già sollecitato per un’altra serie (La Nuit du Minotaure = La Notte del Minotauro). Ci sono troppi vincoli, preferisco scrivere storie per i “grandi”!
Attualmente sto rileggendo il romanzo appena finito Le Masque du Vampire (= La Maschera del Vampiro – titolo suscettibile di essere cambiato). Dopo di che, mi dimenticherò per qualche tempo le “camere chiuse” per ricaricare le mie batterie al meglio, facendo qualcosa di diverso (musica, acquerelli, escursioni), come ho l’abitudine di fare dopo aver completato un libro.
Per concludere, mi sia permesso di parafrasare il compianto John Dickson Carr: “Se i miei lettori potranno divertirsi leggendo anche solo la metà delle storie che io abbia scritto, sarò entusiasta!”.
Vorrei aggiungere che io sono molto felice di essere pubblicato regolarmente in Mondadori, tra l’altro, per le sue belle copertine di libri, che sono fonte sempre d’ammirazione dei miei amici collezionisti.

P. De Palma
1 The Avengers, serie televisiva britannica ultrafamosa con Patrick Macnee (John Steed) e tre belle assistenti: Cathy Gale (Honor Blackman), Emma Peel (Diana Rigg), e più tardi Tara King (Linda Thorson)
2 John Pugmire : “The first novel Paul actually wrote was La Malediction de Barberousse… No sooner had I said that than Paul authorized Le Masque to publish it, based, he said, on the fact that I liked it. It came out in 1995”. L’affermazione mi è stata fatta personalmente da John. Sgombra il campo. Paul Halter si ricordò di segnalare a Le Masque che avrebbe potuto pubblicare il libro, una volta saputo che il libro piaceva anche ad uno dei suoi amici più cari. Si fidò cioè del commento di John Pugmire (oltre che del proprio).
3 L’espressione usata da Paul è stata: Carr a dit : « Lorsque j’écris un roman, j’ai toujours envie de faire quelque chose d’exceptionnel, un livre qui frapperait tout les autres de nullité. ». In realtà l’espressione completa e fedele di Carr è: « Mon intention est toujours d’écrire un roman policier véritablement exceptionnel, ce à quoi en toute honnêté j’estime ne pas être encore parvenu. Quand un auteur de mon espèce déclare une chose pareille, il veut en réalité dire qu’il souhaite écrire un roman policier qui frappe tous les autres de nullité. C’est là bien entendu quelque chose d’impossible. Mais on peut toujours essayer. » (Roland Lacourbe, John Dickson Carr, scribe du miracle – Inventaire d’une oeuvre, pag.25)
4 Raccolta di racconti di Chesterton, pubblicata nel 1905. Il riferimento in particolare è al primo capitolo: The Tremendous Adventures of Major Brown
5 L’uomo che amava le Nuvole (inedito in Italia)
6 Nella mia fine è il mio principio
7 Death comes as the End (C’era una volta)

giovedì 29 novembre 2018

William Brittain: L’uomo che leggeva Dickson Carr ( The Man Who Read John Dickson Carr, 1965) – trad. Hilia Brinis – pubblicato in appendice al GM n° 880 del 1965


TENGO A PRECISARE CHE, CONTRARIAMENTE ALLA NORMALITA’, IN QUESTA OCCASIONE INDICHERO’ ANCHE IL COLPEVOLE, PERCHE’ IL PLOT NON POTREBBE ESSERE COMPRESO SENZA INDICARLO. PERTANTO COLORO CHE VOGLIANO NON PRIVARSI DEL PIACERE DI SCOPRIRE L’ASSASSINO, O DI COME SIA SCOPERTO, SONO PREGATI DI NON CONTINUARE A LEGGERE . IL RACCONTO, PERO’, è DIFFICILE A PROCURARSI.
Tramite la piattaforma social Anobii, cui appartengo dal 2008, partecipando a vari gruppi tutti più o meno centrati sul Giallo Classico e sul Mistero della Camera Chiusa, ho fatto la conoscenza di Alberto Cottini, piemontese, collezionista quanto il sottoscritto, opposto come latitudini, ma di gusti letterari assolutamente simili, se non uguali.
Attraverso delle saltuarie email prima, e telefonate poi, la conoscenza si è approfondita, diventando amicizia. Devo dire che così come ho dato ad Alberto alcuni input, lui a sua volta mi ha fornito degli indizi, soprattutto inerenti la letteratura giapponese, che mi hanno aperto alcuni orizzonti. Qualche anno fa, mi ha anche procurato tre romanzi che cercavo: uno della serie di Kate Wilhelm;  l’altro di Carr, nella traduzione integrale di Boncompagni ,Lo spettro e il dottor Fell (avevo solo la vecchia traduzione); e il terzo di Pierre Boileau, Il Quadro Maledetto, assolutamente introvabili dalle mie parti; e un racconto di Bill Brittain in fotocopia, L’uomo che leggeva John Dickson Carr.
The Man Who Read John Dickson Carr inaugurò nel 1965 la serie “The Man Who Read”, composta da racconti, ciascuno dei quali dedicato ad un determinate autore: il secondo fu Ellery Queen, seguito da Rex Stout, Agatha Christie, Conan Doyle, Chesterton, Hammett, Simenon, Creasey, Asimov.
Oggi parleremo del primo, annoverato tra i classici del genere Camera Chiusa.
Edgar Gault è un orfano allevato dallo zio. Tra i due non corre buon sangue: lo zio rimprovera al nipote di non fare nulla per creare le proprie occasioni di affermazione nella vita ma di star a perdere tempo a strimpellare la chitarra o a leggere libri, mentre il nipote è stufo di quello zio che è stato costretto ad occuparsi di lui ma che farebbe a meno della sua presenza. Per di più lo zio vorrebbe cancellarlo dal proprio testamento, e questo Edgar proprio non lo sopporta. Così, in omaggio agli eroi delle sue fantasie adolescenziali, di quando anni prima dodicenne aveva scoperto prima e letto avidamente poi, tutta l’opera di Carr-Dickson, tenendo fede al suo sogno, di costruire cioè una camera chiusa perfetta, che avrebbe fatto invidia a Carr stesso, progetta l’omicidio dello zio.
In un giorno in cui zio e servitù non ci saranno, lui appronterà il delitto perfetto.
La tenuta in cui lui e lo zio vivono è nel Vermont. La casa è dotata di una ricca biblioteca che ha le peculiarità che il piano omicida di Edgar richiede: una porta pesante di quercia che si possa chiudere solo dall’interno  mediante un pesante paletto, delle finestre chiuse da pesanti inferriate che non lascerebbero passare neanche un uccello, e un camino che apparentemente nessun assassino prenderebbe mai in considerazione perché dovrebbe essere magrissimo e poi dovrebbe evitare, cosa impossibile a farsi, di sporcarsi con la fuliggine, di cui è letteralmente zeppa la canna fumaria.
Edgar però non si dà per vinto. Così, in una bella giornata di primavera, approfittando dell’assenza di zio e servitù, si industria a pulire alla perfezione la canna fumaria, mettendo nel camino delle fascine. Poi nasconde nella biblioteca una pesante sciabola sfilandola dal fodero appeso al muro, e attende l’arrivo di suo zio – che la mattina stessa gli ha annunciato che proprio quella sera arriveranno due suoi amici, uno dei quali è il suo legale, che apporranno la firma e testimonieranno la sua volontà di cambiare testamento ed escludere dal godimento dello stesso il nipote pelandrone – andando a vestirsi di tutto punto: camicia, pantaloni e scarpe, tutti di color bianco cangiante. Chi mai potrebbe pensare che lui, vestito con quegli abiti immacolati, si fosse mai issato in una canna fumaria?
Fatto sta che Daniel Gault arriva, e poi arrivano i due amici, il dottor Crowley  e uno dei quali è il suo legale, Stoper.
Edgar fa in modo che i due ospiti sentano la voce dello zio, cosicchè si debba escludere che egli fosse già morto, e poi invitandoli ad aspettarlo, occupando il tempo a giocare a carte, finge di aver dimenticato le carte da gioco in camera sua. Così prega gli amici dello zio di aspettare il tempo che egli vada su in camera sua a recuperare le carte da gioco e, non visto, si reca invece in biblioteca, dove in men che non si dica, trafigge la gola dello zio con la sciabola, lasciandola infissa nel seggiolone su cui la vittima era seduta.
Poi mette in esecuzione tutto il suo piano, e lassù dal comignolo dov’è arrivato in men che non si dica, senza neanche una particella di fuliggine sul suo completo bianco immacolato, lascia cadere dei foglietti impregnati di una sostanza infiammabile al contatto dell’aria, che accenderanno il fuoco, e quando sente la vampa e l’aria calda che sale, si precipita alla finestra del solaio, che aveva lasciato precedentemente socchiusa, e da lì raggiunge le scale e quindi, in men che non si dica, è dagli amici dello zio, con le carte da gioco.
Delitto perfetto? No.
Edgar viene scoperto e deve rinunciare ai suoi sogni di vivere agiatamente grazie ai soldi dello zio. Tuttavia quello che lo rende molto amareggiato non è tanto il fatto che è stato scoperto e che è manifesto il fatto che solo lui può aver ucciso lo zio (mentre se non lo fosse stato, pur il fatto di avere il solo movente valido per uccidere, non sarebbe stato sufficiente a farlo incriminare e magari si sarebbe potuto tirare in ballo un’oscura maledizione o qualcos’altro che stornasse i sospetti da lui), ma che “nessuno avrebbe potuto ammirare il delitto perfetto da lui studiato. Che avrebbe pensato di lui il dottor Fell, ora? Che avrebbe pensato Sir Henry Merrivale? Che cosa avrebbe pensato lo stesso John Dickson Carr? Che cosa mai poteva pensare chiunque , di un perfetto delitto della Camera Chiusa”  finito in quel modo?
Racconto molto leggero, di sole sei pagine, è una sorta di parodia, con il suo humour britannico, cosa strana per William E. “Bill” Brittain, newyorkese, nato a Rochester il 16 dicembre 1930 e morto a New York il 16 dicembre 2011. Brittain, che era un insegnante, cominciò a scrivere racconti accolti su magazines del peso di Ellery Queen’s Mystery Magazine  e Alfred Hitchcock’s Mystery Magazine, e pertanto capì ben presto che avrebbe potuto anche non insegnare ma vivere della sua scrittura creativa. Ideò tre serie di racconti, una delle quali è quella citata precedentemente.
Il racconto è un gioiellino, anche se giocato sulla presa in giro. Non ha nulla che non sia stato precedentemente utilizzato da altri, e questo ha uno scopo, perchè Edgar è venuto a contatto con  tutta una letteratura e quindi ha assorbito quello che Carr ha scritto.
Per quanto possa sembrare strano, la traduzione italiana non è integrale: nelle sei pagine tradotte da Hilia Brinis mancano dei riferimenti, di cosiddetta “coloritura”, nomi e titoli di romanzi.. Inoltre,  il testo ci appare come…slavato, insomma di natura meno interessante di quanto sia in effetti. E’ un’impressione reale, che viene spiegata col fatto che il testo originale è molto più fluido e anche più divertente ed è costruito su paradossi:
Edgar è così vestito di bianco che Lemuel Stoper, uno dei due amici, dice: “White, white, and more white,” he sneered, looking at Edgar’s clothing. “You look like a waiter in a restaurant.” Bianco, bianco e ancora bianco…tu sembri un cameriere in un ristorante  (dialogo che in italiano manca)
John Dickson Carr would be proud of me…He hoped that the investigation of his crime would not include any theories involving the supernatural. He remembered his disappointment at the ending in The Burning Court with its overtones of witchcraft. ( John Dickson Carr sarebbe fiero di me…Sperava che l’indagine del suo delitto non includere qualsiasi teoria che coinvolgesse il soprannaturale. Ricordava la sua delusione per la finale di The Burning Court, con le sue sfumature di stregoneria). Anche questo periodo manca nella versione italiana.
Tuttavia, egli, che vuole stupire il mondo intero e Carr in particolare, ricorre purtuttavia ad un metodo di fuga che era stato attraverso il Dottor Fell, precedentemente bistrattato. Brittain, infatti, ad un certo punto, dice:  “The necessity of escape by chimney  somewhat  disappointed  Edgar, since Dr. Gideon Fell had ruled it out during his famous locked-room lecture in The Three Coffins(tuttavia questa considerazione nella traduzione mondadoriana non è presente). Nonostante ciò vi ricorre, perchè aggiunge, che purtuttavia, il piano da lui messo a punto, avrebbe l’approvazione di Carr: “But it was the only exit available, and Edgar had devised a scheme to make use of it that he was sure even John Dickson Carr would approve of.” (altro passo non tradotto).
Un altro passo non tradotto, spiega perchè lo zio dica al nipote di preparare il tavolino da gioco e di invitare i suoi due ospiti ad accomodarsi. Dalla traduzione italiana, si capisce che i due avrebebro dovuto giocare con lo zio. In realtà, precedentemente, in un passo che viene dopo immediatamente l’annuncio del cambio di testamento ( che avverrà la stessa sera, ad opera di Stoper, il  legale di Daniel Gault), si legge un passo che non esiste nella traduzione italiana: “Even the weekly game of bridge, in which Edgar was usually a reluctant fourth to Uncle Daniel, Lemuel Stoper, and Dr. Harold Crowley, was a part of The Plan. Even the perfect crime needs witnesses to its perfection“. In altre parole, lo stesso Gault era parte delle partite di bridge che si giocavano con lo zio ed i suoi due amici.
La presunzione di Edgar è talmente colossale da fargli perdere qualsiasi cautela, ed egli addirittura si permette di ipotizzare che il suo delitto premeditato è talmente perfetto che probabilmente qualcuno scriverà un libro per spiegare il suo crimine, come aveva fatto Carr con l’omicidio di Sir Edmund Godfrey: “Maybe Edgar would even get a book written about his crime-like Carr’s The Murder of sir Edmund Godfrey” (neanche questo periodo è stato tradotto).
Il paradosso dei paradossi sta nella facilità con cui Edgar Gault (notare come Gault richiami moltissimo Gaunt, che è il nominativo di un personaggio carriano in The Bowstring Murders ) viene scoperto, per un suo errore, che Carr sicuramente non avrebbe commesso, e per cui tutta la sua costruzione accuratamente calcolata al secondo, cade rovinosamente.
Molti anche i riferimenti a romanzi carriani, di cui nella traduzione italiana non si fa menzione, e se se ne fa, si compiono anche marchiani errori: è il caso di quando Edgar uccidendo il vecchio zio trapassandogli il collo, ridacchiando, si ricorda di una scena simile in “Carr’s The Bride of Newgate” (in La Sposa di Newgate di Carr); ma la Brinis legge non Bride ma Bridge e così “la sposa” diventa “il ponte” di Newgate !!!!
Insomma….
Pietro De Palma