sabato 17 febbraio 2018

Soji Shimada: The Running Dead - trad. Ho-Ling Wong & John Pugmire - E.Q.M.M. November/December 2017



Lo scorso numero di Novembre/Dicembre 2017 dell’Ellery Queen Mystery Magazine, ha visto il ritorno assieme ad altri autori, di Soji Shimada, il grande scrittore giapponese, autore di alcuni dei più grandi racconti contemporanei con delitti impossibili e del mirabolante romanzo “The Tokyo Zodiac Murders” recentemente tradotto e pubblicato in Italia da Giunti.
Il racconto di Shimada, pur presentato alla fine del 2017 in Occidente, non è purtuttavia un’opera recente: infatti fu già pubblicato nell’edizione giapponese di EQMM nel lontano 1985, come “The Running Corpse”. E ci presenta come protagonista assoluto – nel ruolo di risolutore di enigmi strabilianti – quel Kiyoshi Mitarai, astrologo già incontrato nella sua più famosa avventura, The Tokyo Zodiac Murders (1981).
I fatti si svolgono nell’appartamento di Genji Itoi, proprietario del jazz bar Zig-Zag. Ha invitato per un party a casa sua il narratore e Puff, rispettivamente sassofonista e batterista di un gruppo chiamato The Seven Rings, oltre che Asami, una giovane donna che ha lavorato allo Zig-Zag, il rappresentante di commercio Nasami, il critico Onuki, il trombettista Aka, e l’appassionato di jazz  Kubo. A catalizzare l’attenzione del gruppo è Namura, il rappresentante di commercio, che propone un gioco di prestigio: ognuno dei partecipanti al gioco dovrà prestare qualche oggetto di valore che ha addosso e che ha per lui un significato affettivo, che dovranno essere messi assieme e a ognuno di essi dovrà essere associato un numero. Poi i partecipanti scriveranno su un foglio di carta quale dei sette oggetti li attragga di più e perchè e quale sia la loro preoccupazione massima; poi il foglio verrà appallottolato, e in base a come cadrà verso i numeri, ad ogni lancio da parte di ciascuno, Namura svelerà quale sia la preoccupazione, senza aver visto cosa abbiano scritto gli attori che poi hanno appallottolato il tutto.
Il gioco comincia. E puntuale Namura rivela ad Asami poco dopo qualcosa che la riguarda di natura sentimentale. Tutti sono sbigottiti, tranne Mitarai l’astologo che ha rifiutato di dare qualcosa di sé. Tra gli oggetti c’è una collana di perle, della moglie di Itoi, e un orologio Cartier di Onuki e poi degli anelli e un altro orologio. Kubi, parecchio sbronzo, va al bagno, dopo aver avuto un poco simpatico battibecco con Puff, e ritorna poco dopo mentre il gioco si sta svolgendo. Dopo uno sguardo interrogativo rivoltogli dai presenti, ecco che alcuni di loro, pur infuriando una tempesta di acqua e di vento fuori,  lanciano l’idea di improvvisare a suonare i propri strumenti. C’è chi obietta che così si possa disturbare gli altri condomini, ma il rumore della tempesta e del vento contribuisce a far sentire meno i suoni degli strumenti, mentre gli altri ospiti stanno lì a parlare o ad ascoltare.
Mentre è lì questo concerto improvvisato, scatta la corrente e nel buio, entra Kubo, il tale con il cappello di lana, e di corsa, approfittando del fatto che i presenti siano impegnati o a fare musica o ad ascoltarla, strappa la collana di perle e va via. C'è buio. C'è chi grida, c'è chi vorrebbe fare luce. Il tempo perchè la moglie di Itoi si sia procurata una torcia e che l'abbia puntata nell'appartamento, ed ecco che inquadra proprio Kubo mentre sta imboccando la porta di casa, illuminandogli le spalle ed il cappello, prima che quello si chiuda la porta alle spalle. Poco tempo dopo, il tempo necessario perchè qualcuno si muova in quel macello in cui i musicisti stanno suonando i loro strumenti, e Namura si lancia all'inseguimento di Kubo, e dietro di lui Aka e Puff, lungo il corridoio interno scoperto. Fino alla ringhiera oltre la quale Namura vede Kubo sparire saltando. Ma verso cosa? Verso dove? Non c'è nulla oltre la ringhera. Solo il vuoto. Dall'undicesimo piano.
Dopodichè Namura  e gli altri due si lanciano per le scale, essendo l’ascensore fermo per il black out, ma quando arrivano giù, non trovano nulla: Kubo si è volatilizzato. Mentre cercano intorno alle macchine parcheggiate, sentono uno stridio di freni, che è prodotto dal treno della sopraelevata.
Kubo è scomparso. Letteralmente volatilizzato. Come ha fatto?
Ma ancor più pazzesco appare il fatto quando la moglie di Itoi riceve una chiamata telefonica: alla stazione Asakusabashi della sopraelevata, vicino alla loro abitazione, hanno trovato il corpo di Kubo, sfracellato da un treno: pare che si sia suicidato, buttandosi sotto.
Qui cominciano le più strampalate ipotesi per spiegare come Kubo, saltato dalla ringhiera del corridoio interno all’undicesimo piano, si sia trovato sui binari della sopraelevata. L'ultimo inatteso colpo, è quando si sa che Kubo è stato sì trovato sotto al treno, ma che prima di finirci sotto, era già morto, essendo stato strangolato.
Come è stato possibile ciò e chi ha ucciso Kubo? Evidentemente qualcuno dei partecipanti al party! Ma come ha fatto?
Lo indovinerà l’astrologo Kiyosahi Mitarai, che proporrà una fantasiosa ma inoppugnabile spiegazione, individuando l’assassino.
Ci troviamo dinanzi ad uno dei più mirabolanti esempi di delitto impossibile che io abbia letto negli ultimi anni.
Come ho detto altre volte nei miei articoli, ritengo che le storie con Camere Chiuse o Crimini Impossibili migliori in assoluto, spettacolari, siano quelle non compiute da un singolo, ma da una coppia, e quelle in cui vi sia una messinscena: in questo caso, ricorrono entrambi i casi. C’è la messinscena, cioè la messa in atto dell’impossibilità è stata allestita precedentemente, e l’atto criminoso prevede che due persone concorrano insieme ad attuarla. Devo dire che nel nostro caso, individuare l’assassino non è tanto arduo, quanto invece lo è spiegare come abbia fatto a far sparire Kubo. Che ci siano due persone che agiscono, è spiegato dalla duplicità di collane che spariscono: quella di perle, che è servita al gioco di illusionismo; e quella di giada, che è stata trovata nelle tasche di Kubo. 
Ma spiegare come il corpo sia andato a finire sulla sopraelevata è il vero gioco di prestigio. Anche in questo caso, avviene che l’impossibilità massima, cioè la sparizione del corpo,  si verifichi senza che lo stesso assassino possa prevederlo: qui cioè il caso gioca la sua parte, e stravolge i piani dell’assassino.  Perché è evidente che se il corpo non fosse finito laddove è stato ritrovato, ma fosse effettivamente caduto dall’undicesimo piano, sfracellandosi sul selciato della strada sottostante, nessuno e benchè meno Kiyoshi Mitarai, avrebbe potuto immaginare l’utilizzo di una corda.
Lascio un indizio ai miei lettori, che poi è un indizio lasciato da Shimada ai suoi, cioè anche a me. L’indizio è contenuto nella prima piantina. Faccio una domanda. Per quale ragione viene indicata la larghezza del balcone? Che forma ha il balcone? 
Shimada qui paga un pesante tributo mi sembra a tanti autori del passato.
Innanzitutto, indossare un indumento in modo da far sembrare una persona un’altra mi ha ricordato subito un celeberrimo racconto di Christianna Brand, in cui c’è anche lì una messinscena, The Gemminy Cricket Case.
Poi mi sembra che Shimada guardi a Poe: Il pozzo e il pendolo. A me sembra chiaro. Ah, già, non ho detto una cosa: il motivo della messinscena, che si collega ad un pendolo. Che non doveva servire per nascondere un assassinio, ma un furto. E poi…
Poi c’è l’omaggio a Ellery Queen che è chiarissimo.
Innanzitutto la simbologia: il numero sette qui ha la sua importanza. Sette è il numero associato alla collana di perle, sette sono gli anelli del gruppo jazz di Puff e del narratore, sette sono i  minuti in cui una volta Aka aveva raggiunto un treno correndo come un pazzo, Asami aveva scelto il numero sette per la sua rivelazione durante il gioco di prestigio.
Poi c’è la sfida al lettore.



Challenge to the Reader:



For those of you familiar with my work, this case might be too easy.

But for those of you who are new readers, I issue the following challenge:

You now have all the information you need to solve the mystery of the Running Corpse. Good luck!

Sōji Shimada
 
E infine c’è il messaggio del morente, o meglio i messaggi dei morti. 
Un assassino inseguito dal destino, dal fato: che non voleva uccidere. L'assassinio è avvenuto in seguito ad una lotta violenta, ad un litigio: noi diremmo, omicidio preterintenzionale. Poi l'ideatore di un furto, diventato assassino, si disfa del corpo del suo complice, non sapendo che quello aveva rubato una collana di giada della padrona di casa. E quindi sparendo due collane, e non una, si capisce che la storia è più complessa di come non dovesse apparire.
Qui il sovrannaturale compare con delle strane coincidenze che si collegano  con il numero sette. Perché in definitiva sette? Perché è come se qualcuno avesse voluto accusare l’assassino, con una simbologia numerica che portasse direttamente all’assassino. Perché qui il numero sette è l’assassino.
Non resta che leggere il racconto per capirlo.

Pietro De Palma

P.S.
Le piantine nel racconto in effetti non sono due ma tre: evidentemente non ho messo la terza, perchè è inserita nella soluzione.




martedì 13 febbraio 2018

Christianna Brand : La calda nebbia bianca (The Gemminy Cricket Case anche Murder Game, 1968) – trad. Tina Honsel – 1^ edizione Autunno Giallo 1977, 2^ edizione Speciali del Giallo Mondadori n.69 dell’Aprile 2013.




Uscito qualche anno fa, lo Speciale n.69 de Il Giallo Mondadori, curato come sempre dall’inossidabile e lungimirante Mauro Boncompagni, presentava nella formula consueta di due romanzi + un racconto: I Quattro Giusti (The Four Just Men) di Edgar Wallace, La tragedia in casa Coe (The Kennel Murder Case) di S.S.Van Dine e, infine, La calda nebbia bianca (The Gemminy Cricket Case) di Christianna Brand.
Dobbiamo dire, in tutta sincerità, che mai come in questo caso, ci troviamo dinanzi e tre opere di assoluta eccellenza, accomunate da un denominatore comune: un mistero di Camera Chiusa che le riguarda ( in inglese si direbbe Locked Room).
Wallace e S.S. Van Dine sono noti, come i loro romanzi, delle pietre miliari nel genere, ma pur sempre reperibili in altre edizioni, perché molto noti (anche se in Mondadori ambedue mancavano da un bel po’ nelle edicole). Tuttavia, se mai volessi in qualche modo incentivare l’acquisto di questo volume ( a me non viene un centesimo nelle tasche se si vendano o meno più copie), se volessi “convertire come un missionario i soggetti restii al problema del mistero da Camera Chiusa”, userei come esempio il racconto, questo sì pubblicato davvero molti anni fa (Autunno Giallo Mondadori 1977) e leggendario, per l’aura che lo circonda: sicuramente uno dei migliori racconti del genere Locked Room che mai in assoluto siano stati pubblicati. Direi sullo stesso piano di The Third Bullet di Carr e By Unknown Hand di John Sladek.
Per quale motivo? Scopriamolo assieme.
Thomas Gemminy è un noto penalista londinese che, assicuratosi un bel patrimonio personale dalla sua attività forense, si è dedicato ad attività filantropiche a favore di bambini provenienti da situazioni familiari altamente disagiate: in sostanza bambini parenti di noti criminali che, rimanendo nello stesso pessimo ambiente familiare di provenienza, avrebbero potuto sviluppare gli stessi germi delinquenziali dei loro parenti. Questi bambini sono stati da lui e dalla moglie, finchè è vissuta,  allevati, istruiti e tutelati, avviandoli a sicuro avvenire; talvolta ha anche fatto in modo che, quelli in possesso di tare ereditarie, emigrassero, in modo da perdere i riferimenti di base e quindi essere più liberi di crearsi una vita senza sapere nulla del proprio passato. Si distinguono questi soggetti dall’avere due cognomi assieme: il loro e quello del patrigno.
I tre ragazzi a cui Gemminy si sia più affezionato sono tre: Giles Gemminy Carberry, Rupert Gemminy Chester e Helen Gemminy Crane; i due maschi sono entrambi innamorati di Helen e lavorano nello studio legale del patrigno. Tuttavia c’è un incomodo: un terzo “grillo” (così venivano chiamati i suoi ragazzi da Thomas Gemminy), che i due maschi non conoscono, pare pure innamorato di Helen.
Il racconto inizia con Giles che va trovare, presso una casa di riposo, un suo conoscente, anziano d’età, particolarmente versato alla risoluzione di enigmi e gliene sottopone uno molto arduo: Thomas Gemminy è stato ritrovato strangolato, legato e pugnalato ad una spalla, nel suo studio, quasi disadorno, con la scrivania sulla quale è accasciato, divorata dalle fiamme e una finestra rotta nel mezzo. La porta era sbarrata e chiusa dall’interno, dalla finestra rotta al marciapiedi sottostante c’erano più di quindici metri di strapiombo, e l’arma con la quale è stato pugnalato (ed esce ancora del sangue quando irrompono i poliziotti), un tagliacarte, è sparito dalla scrivania.  I poliziotti, la cui Centrale è sita proprio di fronte all’abitazione dell’avvocato, sono stati avvertiti da una telefonata, arrivata dallo studio di gemmino, in cui l’avvocato con voce disperata aveva parlato di “qualcosa che scompare nel nulla”. “di “qualcosa di strano alla finestra”, e di “due lunghe braccia”. Arrivati alla porta dello studio dopo neanche due minuti, trovano Rupert che sta cercando di buttare giù la porta sbarrata; riescono a rompere due pannelli della porta, uno di essi inserisce un braccio e fa scorrere i 2 chiavistelli orizzontale e verticale, poi tutti quanti riescono a spalancare la porta e trovarsi davanti allo spettacolo orrendo: l’avvocato morto, il cadavere in procinto di bruciarsi, la finestra rotta che ancora vibra, dei frammenti di essa sul davanzale e ovviamente, nessuno nella stanza, e la scrivania arsa dalle fiamme. Nel fumo che soffoca e brucia gli occhi, Rupert trova un messaggio che parla di Helen e corre via, un poliziotto esce correndo per andare a chiamare i pompieri, ma tutti gli altri rimangono lì a cercare prove, inesistenti.
Un’ora dopo viene trovato ucciso un poliziotto di ronda, tale Dinkum Cross, nelle stesse modalità dell’avvocato: legato, strangolato e pugnalato. Anche lui, prima di essere ucciso e poi ritrovato nella vecchia cisterna di una fattoria lì vicino, aveva parlato, da una cabina telefonica in cui si era rifugiato, di “Lunghe braccia” e di qualcosa che era “svanito nel nulla”.
Tocca al vecchio far qui la parte dell’investigatore.
Basandosi sul proprio acume e sulla propria deduzione, ricostruisce le fasi dell’omicidio, elaborando tre ipotesi di delitto, ognuna per ciascuno dei tre giovani, che fosse stato l’assassino. Poi elabora anche una quarta ipotesi, a carico del quarto incomodo, supponendo che potesse essere il poliziotto ucciso e in quel caso che lui poi fosse stato ucciso da uno dei tre per una qualche ragione legata alla vendetta per la morte del vecchio penalista, che in sostanza si opponeva a che uno dei protetti maschi sposasse Helen: sarebbe potuto trattarsi di tara ereditaria a danno di Rupert, Giles o Dinkum, oppure a carico della ragazza. Fatto sta che il movente è questo, l’amore tra Helen e uno dei tre maschi, giacchè la pista legata al patrimonio viene scartata subito in quanto esso è stato destinato interamente alla Fondazione, a favore dei ragazzi disagiati. Tuttavia gli alibi paiono escludere i tre amici: Giles che aveva appuntamento con l’avvocato alle 14,30 ha visto, arrivando alla casa in cui abita assieme a Rupert, l’amico che andava via in anticipo (avendo lui l’appuntamento alle 16 con Gemminy) col soprabito al braccio: in quei momenti la ricostruzione della polizia ha messo in evidenza che stava morendo l’avvocato, quindi i due giovani sono protetti dall’alibi di trovarsi lontano dal luogo dell’omicidio; rimarrebbe Helen, ma Giles afferma che c’era stato un equivoco verbale con lei, essendosi recata non in un posto che si chiamava Bell ma Dell. In sostanza rimarrebbe da vagliare la posizione del poliziotto.
Ma poi il vecchio ritorna sui suoi passi, riprendendo in esame Rupert con un’altra ipotesi, e qui finisce la storia. Anzi finirebbe, se non ci fosse la vera fine, con due colpi di scena finali, uno più travolgente dell’altro, in cui viene indicato il vero assassino e l’identità del vecchio “detective”.
Ho taciuto sia sulle varie ipotesi di ricostruzione del delitto, sia ovviamente sull’identità dell’omicida e su quella del vecchio, e su tantissimi altri particolari, dando il sunto della storia, perché sarebbe ingiusto privare il lettore della gioia di leggere questo gioiello.
Io il racconto l’ho letto qualche anno fa, quando lessi parecchi bei racconti di quell’Autunno Giallo tra cui mi ricordo un racconto di Hoch (Il serpente volante) e uno di Anthony Gilbert che mi colpì. Il mio edicolante, dal quale ho acquistato i due classici in edicola e uno dei due gialli inediti, mi ha permesso di leggiucchiare la prefazione di Mauro Boncompagni, che sostanzialmente condivido, riservandomi qualche osservazione: il Van Dine è bellissimo e se è vero che per originalità del plot e densità dell’intreccio è superiore agli altri due, La Canarina assassinata gli va molto vicino per me, non tanto per la soluzione – che giunge inaspettata, “per opera dello Spirito Santo”, dopo un sopralluogo e la scoperta di un oggetto rivelatore, acquisito per puro caso – ma per le mille sfaccettature della personalità di Vance che vengono rivelate, e ognuna di queste sfaccettature concorre alla soluzione del caso. Laddove in “Coe”, Vance incarna il detective anni trenta, molto poco salottiero e molto serio, in “Canarina”, è invece la quintessenza della frivolezza, del sarcasmo e dell’erudizione; e quando tratta di cose che apparentemente non hanno nessun collegamento con il mistero, alla fine esse hanno la loro importanza perché concorrono in qualcosa alla soluzione, eccezion fatta per i rimandi letterari. Ognuno è padrone di pensarla come crede. C’era addirittura chi (Julian Symons) diceva che: “The decline in the Vance books is so steep that the critic who called the ninth of them one more stitch in his literary shroud was not overstating the case”(Julian Symons :Bloody Murder, 2^ edizione, Penguin Books, 1985, pag.117). E i soli due romanzi di cui parlava veramente bene, erano The Greene Muder Case e The Bishop Murder Case. E chi, come Barzun parlava di The Kennel Murder Case, così: “Though dogs can be dangerous in life and in detection, this imbroglio by the precious and pedantic Van Dine is rather better than the rest of those written after 1930. It is a locked-room murder, there are clues, and Vance is not obnoxious beyond endurance” (Jacques Barzun – Wendell Hertig Taylor, A Catalogue of Crime, Harper & Row, 1971)
Quindi figurarsi quali e quanti possano essere i commenti critici su una stessa opera!
In aggiunta a ciò, osservo altre cose.
Innanzitutto, la qualità del plot è altissima. La tensione e l’intelligenza nel creare le situazioni è miracolosa. Creando il plot, Christianna Brand elabora in parte idee di altri scrittori a lei precedenti: quindi, in sostanza, è una manierista, ma una manierista di altissima qualità e assai intelligente, giacchè laddove utilizza idee non sue, crea delle situazioni assolutamente nuove, che in qualche modo la fanno assurgere a nuovo modello da imitare: mi riferisco al motivo per cui viene ucciso il poliziotto, veramente una grandissima idea. Devo dire in tutta sincerità, che, quando lessi la storia anni fa, cimentandomi nella risoluzione dell’enigma (perché in sostanza c’è anche questo in questo romanzo, una sorta di sfida riferibile a quelli di Ellery Queen: la gara che contrappone il lettore allo scrittore nello spiegare lo svolgimento dei fatti), capii parecchie cose che poi vennero spiegate successivamente. E una delle soluzioni che volli dare, in parte, collimava, con quella finale: mi accorsi di aver capito il trucco. Però se si vede bene, anche la “grandissima trovata” di Christianna Brand, pur essendo “originale”, è nello stesso tempo una variazione di una “grandissima idea rivoluzionaria per l’epoca in cui fu concepita” di un altro autore, francese, di cui non faccio il nome, poi sfruttata largamente. L’idea di Brand e l’idea di questo grandissimo autore sostanzialmente sono le due facce della stessa medaglia: l’autore originario si basò sull’uso distorto di una identità, la Brand utilizza lo stesso procedimento ma utilizzando un oggetto, che in un certo senso ne è il simbolo. Lo ripeto: una trovata veramente geniale!
“Il detective” imprestato alla storia, il vecchio che Giles va a trovare, in quella che io definisco implicitamente “una sfida col lettore”, scarta le varie soluzioni una alla volta, e in questo la Brand ha dei riferimenti storici: The poisoned chocolates case  di Berkeley, in cui ognuno dei partecipanti alla riunione elabora una propria teoria diversa in qualcosa dalle precedenti, e The Greek Coffin Mystery di Ellery Queen, in cui non ci sono diverse spiegazioni associate a diversi soggetti, ma uno solo, Ellery, che elabora 4 soluzioni diverse, e scartandone tre, perviene a quella definitiva: un po’ quello che avviene qui.
Il racconto si chiama “la calda nebbia bianca” in italiano, in riferimento all’obnubilamento mentale dell’omicida: quando sfuggirà a quella calda nebbia bianca che gli invade la mente, riuscirà a ricordarsi come sono andati i fatti. Questa calda nebbia bianca mi ha ricordato Le brouillard rouge, “Nebbia Rossa” di Paul Halter che ha stretti legami col nostro titolo: l’omicida è folle, l’inizio trova la propria spiegazione alla fine nel nostro, quasi alla fine in quello di Halter, e la Nebbia rossa è quella che offusca la mente di Jack The Ripper quando è preso dal raptus dell’omicidio. Ovviamente è Halter che avrebbe potuto prendere qualcosa dal racconto della Brand! Ma soprattutto mi ricorda un altro romanzo, pubblicato recentemente e qui recensito, La casa sulla scogliera di Clifford Orr, in cui il protagonista, dopo che gli è svanita una nebbia che gli invade ilc ervello e non gli permette di ricordare, ricostruisce tutto. Per derivazione mi sembra che Brand abbia mutuato proprio da Orr l'initolazione del racconto.
Aggiungerei che se è vero che Queen si collega a Van Dine, è vero che anche Brand si ricollega a The Finishing Stroke di Queen. La scrittrice, in certo senso, varia il riferimento, sdoppiandolo: si comporta cioè come farà più volte, dopo, Paul Halter nei suoi romanzi: prendere un’idea base e variarla . Chi ha letto il romanzo del ’58 di Ellery Queen mi ha capito (ma ovviamente dopo aver letto questo racconto), chi no, lo reperisca, perché si tratta a mio avviso di uno dei migliori in assoluto della coppia.
Un’ultima osservazione mi sembra pertinente: il modus operandi dell’omicida mi sembra affine a quello dell’omicida in Death From a Top Hat di Clayton Rawson. Infatti in entrambe le opere, la successione degli eventi, dei due omicidi, non è quella effettiva, quella che sembra a prima vista.
Detto questo, non mi resta che augurare a chi leggerà questo racconto, di godere della lettura di questo must.

Pietro De Palma